La legge talebana non è quella del Corano
Nasr Abu-Zayd 25 May 2009

La regressiva decisione assunta dal governo afghano sotto la pressione dei gruppi integralisti, non importa quali essi siano, segna un ritorno al Medioevo. La sharia rivendicata da quei gruppi radicali, e persino da altri gruppi che amano definirsi moderati, non è che la formulazione giuridica di gruppi simili operanti nell’islam medievale, fondata su una certa loro visione e interpretazione del Corano e della tradizione profetica. Se confrontata con il dibattito giuridico dei pionieri del diritto islamico, questa sharia è assolutamente lontana dal palese significato delle fonti fondamentali dell’islam. Prima di presentare la posizione del Corano circa i temi concernenti le donne, lasciate che illustri ciò che il profeta ci ha tramandato al riguardo; intendo riferirmi al comportamento di Maometto nei confronti delle sue mogli, delle figlie e degli elementi femminili della sua famiglia. Più che i detti a lui attribuiti e successivamente raccolti e canonizzati, vorrei assumere come punto di riferimento la persona stessa di Maometto.

Quei detti sono infatti pieni di affermazioni che contraddicono il suo comportamento e il suo modo di fare così come ci vengono descritti nella sua biografia (Sira). Il Maometto delle sure non ha mai alzato la voce contro alcuna delle sue mogli: il Corano testimonia, anzi, il contrario. A causa dei conflitti sorti tra loro, le mogli di Maometto gli crearono difficoltà a tal punto che Maometto stesso intervenne con la minaccia del ripudio se avessero continuato ad angustiarlo. Egli fu un marito affettuoso ed un padre amorevole per le sue figlie. Tutte le donne che sposò, compresa la più amata, Aisha, non riuscirono a fargli dimenticare la prima moglie morta, Khadija. Una volta, Maometto si adirò con Aisha perché questa non riusciva a frenare la propria gelosia nei confronti di Khadija, che Maometto continuava a rimpiangere. Parlando di lei, egli disse: “Ebbe fiducia in me quando nessuno della mia tribù l’aveva, mi ha dato quando ho avuto bisogno”. E’ risaputo che Maometto non ebbe altre mogli durante la vita di Khadija.

Quando Alì, suo cugino e genero, voleva prendere oltre a Fatima, figlia di Maometto, una seconda moglie, come del resto era consentito dal Corano, egli si oppose dicendo: “No, non Fatima; lei è parte di me ed io sono parte di lei”. Questi integralisti devono dirci se, vietando a suo genero ciò a cui aveva diritto, Maometto agì in contrasto con il Corano. Oppure devono capire che la poligamia è soltanto tollerata, non è un diritto giuridico. Bisogna mettere bene in luce la differenza tra ciò che è permesso e ciò che costituisce un diritto. Aisha, madre dei credenti, la più amata tra coloro che hanno raccontato la vita di Maometto, fu coinvolta nella guerra civile che scoppiò tra Alì, il quarto califfo, e alcuni dei compagni del profeta che non erano soddisfatti del suo comportamento in occasione dell’assassinio del terzo califfo. Quegli integralisti ritengono che Aisha abbia disobbedito al Corano laddove prescrive alle mogli del profeta di starsene nelle loro case? In questo caso, essi dovrebbero condannare il comportamento di Aisha oppure mettere in dubbio la loro interpretazione di ogni cosa: del Corano, della sunna e della storia. Aisha comprese esattamente il contesto di quello specifico passaggio del Corano e pertanto si impegnò nella vita pubblica.

Oggi, il discorso del Corano circa le donne può essere classificato in due modi, ciascuno dei quali è collegato ad uno spazio specifico. L’assoluta uguaglianza dei diritti e dei doveri è esplicitamente sottolineata, sia nella pratica religiosa che in relazione al premio e alla punizione dopo la morte. La stessa assoluta uguaglianza è espressa nel campo della riproduzione cosmologica e naturale: la vita nasce da questo contatto tra maschio e femmina. Nel processo creativo della riproduzione, uomo e donna sono partner uguali. E’ nel campo della vita sociale che il Corano riconosce le differenze e cerca di modificare l’attuale società maschilista. Il Corano ha modificato la tradizione araba, praticata per lungo tempo, secondo cui il figlio maggiore era l’unico erede del patrimonio paterno, ed ha fatto sì che l’eredità venisse distribuita tra tutti i figli, le figlie e la moglie. Ironicamente, riguardo all’eredità, il Corano parla soltanto della “moglie”, e non delle mogli del deceduto. Le donne, dunque, sono incluse nella divisione. Nel Corano, il matrimonio è presentato in termini di serenità e di amore reciproco; moglie e marito si completano. Sono una cosa sola. Rispetto alla definizione di matrimonio presente nella sharia, dove il contratto matrimoniale è un contratto di compravendita e la donna è mercificata, il Corano pone il matrimonio in una posizione molto elevata.

Nel Corano, le differenze in campo sociale sono soltanto riconosciute, ma non completamente legittimate. Esse furono invece legittimate ed ulteriormente sviluppate nel senso opposto a quello del Corano dai giuristi che formularono quella che oggi è conosciuta come sharia. La sharia, in definitiva, non è che un’interpretazione storica del Corano espressa secondo norme medievali a cui il Corano stesso si oppone. Il problema e la sfida che si pone oggi ai musulmani è di riconoscere, rispettare e attuare, in una società quale è quella moderna in cui l’uguaglianza, la libertà e i diritti umani sono la regola, l’assoluta parità così come è stabilita nel Corano al più alto livello. Riusciremo a promuovere i contenuti sociali del Corano ad una sfera cosmologica, etica e spirituale o continueremo il declassamento medievale dei valori coranici sotto la spinta delle rivendicazioni della sharia?

Nasr Hamid Abu Zayd è docente universitario di letteratura e linguistica presso l’Università di Leiden ed è il titolare della cattedra Ibn Rushd per l’Islam e le Scienze Umane presso la University of Humanistics di Utrecht in Olanda.

(Traduzione di Antonella Cesarini)

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