Auto-rivoluzioni di massa
Conversazione con Manuel Castells. Di Giancarlo Bosetti 1 April 2011

Quest’intervista è tratta dall’ultimo numero della rivista Reset (Numero 124, Marzo-Aprile 2011)

Chiediamo a Manuel Castells se non gli sembra che sia successo qualcosa di rivoluzionario: a un certo punto è stata definitivamente oltrepassata una soglia cruciale. È d’accordo?

Sì, per quanto se avessimo seguito da vicino quanto sta accadendo nelle società di tutto il mondo, soprattutto nella fascia di popolazione al di sotto dei 30 anni, ci saremmo accorti che i segnali c’erano tutti. Come Lei ha giustamente osservato, nel mio saggio pubblicato ad agosto del 2009 l’analisi proposta – sostenuta da tutta una serie di case studies condotti in svariati contesti – indicava già chiaramente come i network orizzontali di comunicazione tipici di internet e del wireless offrissero ai movimenti sociali opportunità di gran lunga maggiori in termini di auto-mobilitazione e auto-organizzazione, dal momento che la comunicazione è la chiave di ogni attività umana e che internet e il wireless (due tecnologie che ultimamente stanno convergendo tra loro) hanno definitivamente infranto il monopolio della comunicazione filtrata da governi e aziende. Il potere è nell’antenna del proprio dispositivo di comunicazione mobile, perché è quello che connette tra loro le menti delle persone.

Ho qui davanti la copertina di «Foreign Affairs» di gennaio/febbraio 2011, dedicata al potere dei social media. Le tecnologie della comunicazione, dice il sottotitolo, «aiuteranno a promuovere la libertà, ma potrebbe volerci un po’…» Stando all’analisi di Clay Shirky, l’utilizzo dei telefoni cellulari con fotocamera ha un potere deflagrante di fronte a un potere che cerca di nascondere crimini e torture. E c’è da dire che tutto è successo in fretta, più in fretta del previsto.

Sono d’accordo. Stava già accadendo da tempo. Il punto è che le élite culturali tradizionali sminuiscono l’importanza di ciò che non conoscono perché la rapidità dei mutamenti sociali le rende intellettualmente obsolete. Quindi difendono il proprio orticello e finiscono per produrre argomentazioni che si suppongono più o meno realistiche, piuttosto che dimostrare di avere una mente aperta ai nuovi trend del progresso sociale.

Oggi viviamo in un contesto di trasparenza? Tra le fasce più alte e quelle più basse della società e il potere politico, alla luce delle disparità che caratterizzano tutta la nostra storia, assistiamo forse a un mutamento irreversibile?

È irreversibile perché la tecnologia della comunicazione opera una disintermediazione della comunicazione di massa e perché ci troviamo nel pieno della rivoluzione digitale. Due studenti, Martin Hilbert della University of Southern California e Priscila Lopez della Open University of Catalonia, hanno pubblicato questo mese un articolo su «Science», che è forse la rivista scientifica più autorevole al mondo, in cui per la prima volta calcolavano formato e distribuzione di tutta l’informazione esistente sul pianeta. Così, scopriamo che il 94% dell’informazione è digitalizzata, e che tale processo di digitalizzazione è andato accelerando negli ultimi dieci anni. Una volta che l’informazione è in formato digitale può essere trasmessa e ricombinata elettronicamente, e dal momento che è molto difficile riuscire a controllare le reti (l’Egitto ci ha provato e ha fallito su tutta la linea), il mondo in cui viviamo è caratterizzato da un flusso perlopiù libero di comunicazione. Certamente i messaggeri possono essere identificati e puniti, ma i messaggi vanno avanti per la loro strada. Così stando le cose, se i poteri esistenti non possono controllare le menti, la gente è libera, almeno intellettualmente. Come questo si traduca in autonomia sociale e libertà politica dipende dai processi specifici e dalle specifiche società, ma sicuramente stiamo assistendo all’alba di una nuova era di profondi cambiamenti sociali e politici.

Possiamo immaginare quanto sarebbe stata diversa la storia del XX secolo se alcuni di questi dispositivi oggi alla portata di tutti fossero stati disponibili anche all’epoca dei regimi fascisti, nazisti e comunisti. Mi rendo conto che questa ipotesi può essere offensiva, blasfema, per milioni di vittime.

Qui non sono completamente d’accordo. È vero, se il mondo avesse saputo dell’Olocausto ci sarebbe stata una reazione più forte. Ma avremmo sempre dovuto fare i conti con le divisioni e i panzer di Hitler. Il mondo conosceva le atrocità commesse da Franco, eppure nessuna democrazia ha dato una mano alla Repubblica spagnola, e Eisenhower nel 1953 ha salvato il dittatore dall’isolamento, fuori da ogni realpolitik. A trarre vantaggio dalle rivoluzioni in termini di comunicazione sono le persone, non gli Stati. Anzi, fondamentalmente ai governi queste rivoluzioni non piacciono, perché li privano del controllo, e la loro libertà di manipolazione delle informazioni ne risulta significativamente diminuita.

Nessuno potrà più negare quanto sta accadendo in una pubblica piazza, nessuno potrà più coprire eventi imbarazzanti etichettandoli come segreti di Stato. Come potrebbe mai Gheddafi negare che molta gente sia stata uccisa per ordine suo?

Non lo nega infatti, piuttosto contava sulle sue connessioni con Exxon, BP e Berlusconi. Io credo che alla fine crollerà, ormai è inutile per i suoi alleati, ma prima trascinerà con sé migliaia di persone per colpa della codardia e ipocrisia delle potenze occidentali, in particolare dell’Italia, della Gran Bretagna e delle multinazionali del petrolio.

Nel mondo arabo teatro dei recenti eventi un ruolo importante è stato svolto da Al-Jazeera, il network tv satellitare che si è occupato di riportare i fatti anche quando i poteri locali hanno cercato di dipingere le cose in modo diverso. Finalmente anche l’America sembra aver compreso la reale funzione di questa emittente del Qatar per il mondo arabo, dato che il network ha appoggiato l’opposizione in diversi paesi (fatta eccezione per il Qatar stesso). Com’è possibile che gli americani non si siano accorti prima di questo suo ruolo?

Lo hanno fatto, solo che non potevano annientarla, anche sparando ai suoi giornalisti e uccidendoli in Iraq o bombardandone gli impianti. L’Emiro del Qatar è così furbo da offrire basi militari agli Usa, finanziamenti alle università americane e un’informazione professionale eccellente e relativamente libera (tranne quando si tratta del Qatar stesso) sia al contesto arabo che al mondo in generale. Dal suo punto di vista è una situazione vantaggiosa per tutti e gli americani devono accettarlo, limitandosi a sperare che la Cnn faccia meglio.

Le tecnologie orizzontali di «auto-comunicazione di massa» (self-mass communication, come la chiama Lei) che si sono sviluppate così in fretta ai fini dell’intrattenimento, della conversazione privata, per chattare, giocare, ascoltare musica e condividere le foto dei propri figli, sembrano produrre conseguenze diverse nei diversi contesti. In situazioni drammatiche, in società oppresse e povere, pare siano veramente diventate un’arma di libertà, uno strumento di sicurezza, rivoluzionario. Nelle società affluenti invece abbiamo a che fare con la tendenza a «estremizzare» (going to extremes) teorizzata da Cass Sunstein: cerchie autoreferenziali di individui che diventano sempre più faziose. In America, così come in Europa, non sembra che queste tecnologie riescano ad aiutare la sfera politica a tenere a freno il populismo galoppante. Al contrario.

Non sono d’accordo. In tutti i casi internet sta agevolando i movimenti popolari e una più libera espressione della società, a prescindere dall’establishment politico. Il punto è che i modi in cui la libertà viene sfruttata non sono garantiti dalla libertà stessa. In America, Obama non sarebbe stato eletto senza l’impiego di internet in una straordinaria campagna popolare che ha mobilitato i giovani e le minoranze. L’ho dimostrato nel mio libro. Ma anche quello dei Tea Party è un movimento popolare, in effetti semifascista e populista, e anche per la sua diffusione e influenza internet si è rivelata cruciale, perché Obama ha perso la battaglia per conquistare le menti della gente e la sinistra è completamente smobilitata, malgrado la battaglia del Wisconsin (un esempio di caro vecchio movimento di lavoratori) appaia oggi come un segnale di contrattacco. Non possiamo cedere al determinismo tecnologico. Internet garantisce la libera comunicazione, ma i contenuti di tale libertà dipendono dagli attori sociali e dalle dinamiche della mobilitazione in un dato contesto.

Le nostre riflessioni sulle conseguenze inaspettate nella vita sociale non si esauriscono mai. Senza dubbio presto scopriremo che non tutto era così inaspettato, perché gli esseri umani sono animali razionalizzatori. Tuttavia mi consenta di chiederLe, da cittadino europeo della costa mediterranea, anche se adesso si trova in California: qual è la Sua reazione di fronte a cambiamenti così forti nella nostra area?

Penso che l’Europa stia attraversando una profonda crisi di legittimità politica. Le istituzioni politiche, i partiti, i leader, tutti senza eccezione, sono intrappolati nella propria storia, nei propri interessi personali e burocratici, e in alcuni casi nella propria corruzione. Sono completamente tagliati fuori dalla società, e in particolare dalla società futura, vale a dire dalle generazioni più giovani, e dalle donne. L’Italia è paradigmatica in questo senso. Il fatto che un personaggio corrotto e sgradevole come Berlusconi possa venire eletto più volte è legato allo sconforto che ormai gli italiani nutrono nei confronti dell’intera classe politica. A questo punto, è essenziale la ricostituzione dell’autonomia politica a livello della base popolare, e questo dipende complessivamente dall’instaurarsi di comunicazioni orizzontali tra gli individui, che bypassino la presa dei media tradizionali. In questo senso il mondo arabo, nella sua forma laica e democratica, può indicare la strada all’Europa, secoli dopo che la cultura araba ha già illuminato le fino ad allora barbare società cristiane.

Manuel Castells è uno dei più importanti sociologi contemporanei. Catalano d’origine, ha insegnato per anni all’Università di California a Berkeley e oggi a Los Angeles all’Annenberg Center, presso l’University of Southern California. Tra le sue opere, “La città delle reti” (Marsilio – «I libri di Reset», 2004), la monumentale trilogia “L’età dell’informazione” (Università Bocconi, 2008), “Comunicazione e potere” (Università Bocconi, 2010).

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x