arabo
  • Conversazione con Manuel Castells. Di Giancarlo Bosetti 1 aprile 2011
    Negli ultimi anni e anche nel suo saggio più recente, Comunicazione e potere, Manuel Castells ha teorizzato l’instaurarsi di un progressivo equilibrio tra i vecchi poteri mediatici (comunicazione di massa, entertainment, società di telecomunicazioni, produzioni televisive ecc.) e le nuove opportunità offerte dalla telefonia mobile, dai social network e da tutti quei dispositivi ormai sempre più diffusi a livello globale. Sembra si sia trattato di un bilanciamento senza un esito predeterminato. Anche prima dell’ondata di rivolte nei paesi arabi, si sono già visti molti casi in cui si è assistito al trionfo della volontà popolare e della trasparenza contro le censure e le prepotenze del potere politico (dalla Spagna alle Filippine, dalle novità di molte campagne elettorali, per non parlare del boom innescato da WikiLeaks) e si sarebbe portati a essere più ottimisti in un’ottica di democratizzazione. In altre occasioni, si è invece costretti a un giudizio più pessimistico, tenuto conto del peso e dell’influenza del «vecchio» paradigma tv, del costo della pubblicità tv nelle campagne elettorali e del livello di controllo che i poteri economici, i magnati, i monopolisti e gli interessi finanziari di una ristretta cerchia di persone continuano a esercitare sull’opinione pubblica. Quel che sta attualmente accadendo nel mondo arabo sembra improvvisamente sancire la fine di tale equilibrio.
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