“Ma ora questa guerra sta rafforzando l’estremismo”
Karel von Schwarzenberg con Giancarlo Bosetti 14 January 2009

Pochi giorni prima del conflitto, insieme a Havel, Desmond Tutu, Hans Küng, l’arabo El Hassan bin Talal e altri influenti intellettuali, ha scritto un documento che prevedeva la crisi di Gaza, dove «sono in gioco i fondamenti della moralità umana», invocava «alternative non-violente» e propugnava l’idea di istituire nell’area un protettorato capace di garantire la sicurezza a Israele ma anche «di proteggere i palestinesi dai loro elementi più pericolosi, i palestinesi dagli israeliani e forse anche gli israeliani da se stessi». E sosteneva che «il fattore chiave per costruire una riconciliazione sarà la crescita economica a Gaza».

Ora ha dismesso i panni del tessitore di relazioni culturali internazionali (Schwarzenberg è anche tra i fondatori di Reset-Dialogues on Civilizations) e vestito quelli di ministro in carica, ma conferma: «Un movimento di guerriglia non lo si riesce a distruggere né con le bombe dagli aerei né con gli altri mezzi a disposizione dell’esercito. Ci vuole uno sforzo molto lungo e un processo che ha bisogno di mezzi psicologici. Prima di tutto bisogna che le condizioni di vita della striscia di Gaza migliorino».

Ma Israele vuole neutralizzare la minaccia dei missili.

Le forze di Hamas sono indebolite e non saranno in grado di lanciare missili sul territorio israeliano per qualche tempo. L’obiettivo primario degli israeliani è quello di mettere fine alla fornitura di armi che arrivano dalla frontiera egiziana. C’erano più di 900 tunnel. Se il rifornimento finisce Israele accetterà il cessate il fuoco.

Realisticamente quale può essere il ruolo della presidenza dell’Unione nel semestre che tocca a un piccolo paese come la Repubblica cèca in una Europa che rimane divisa anche sul Medio Oriente?

In sostanza la nostra funzione è quella di moderare le divergenze e di esprimere un punto di vista comune tra i 27 stati dell’Unione. In una situazione straordinaria come questa la presidenza deve assumersi un ruolo dirigente come è avvenuto per la presidenza francese con la crisi del Caucaso. Al momento abbiamo due crisi contemporanee: quella tra Ucraina e Russia, che ha minacciato le forniture di gas all’Europa e che siamo riusciti a ricondurre a un accordo solo in queste ore con l’impegno diretto del primo ministro cèco Topolanek: il gas torna a fluire. Adesso siamo al lavoro in Medio Oriente, con incontri in Egitto, a Gerusalemme, a Ramallah, poi ad Amman. Abbiamo incontrato i leader israeliani e palestinesi insieme a Sarkozy. Dopo molti contatti e aggiustamenti abbiamo avuto una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ma il cessate il fuoco non c’è ancora.

Perché gli israeliani pensano di dover “finire il lavoro a Gaza”, il che significa occupare il cosiddetto “corridoio di Filadelfia” sotto il quale passano i tunnel da cui vengono contrabbandate armi e razzi. D’altra parte anche Hamas pensa di vincere così perché questa campagna in cui molti palestinesi vengono uccisi, molte donne e bambini, sarà sfruttata per il sul suo futuro.

La presidenza cèca dell’Unione è apparsa, sulla stampa, come sospetta di unilateralità per due ragioni: perché Praga è stata protagonista di un accordo recente sulla dislocazione dei radar americani anti-missili in funzione anti russa e perché al suo governo è stata attribuita una dichiarazione in base alla quale Israele sta semplicemente difendendo il suo diritto alla sicurezza.

Sono due cose diverse. Un momento. Gli Stati Uniti e i loro radar nella Repubblica cèca non c’entrano con questo conflitto, anche se nel nostro mondo tutto è collegato con tutto, ma questo non significa che noi non possiamo essere accettati come credibili rappresentanti dell’Unione. Anche i Russi, nel momento in cui serviva l’accordo con l’Ucraina, hanno accettato il nostro ruolo. Il primo ministro cèco ha avuto vari incontri con Putin ed era ancora due giorni fa Mosca. Le differenze di vedute sui radar sembrano di minore importanza rispetto a questa crisi.

E la infelice dichiarazione di Topolanek?

Questo era un vero, assoluto equivoco. Il primo ministro ha ricevuto una telefonata del suo portavoce mentre stava sciando. C’era una cattiva connessione, come capita, e al portavoce che gli sottoponeva un comunicato ha risposto che quel testo gli sembrava troppo debole e “difensivo”. Il portavoce ha capito male e ha attribuito la parola “difensivo” alla azione di Israele a Gaza. Mi deve credere, la storia è proprio questa. Del resto la posizione della presidenza sulla guerra era già stata ufficializzata, pubblicata e comunicata ai paesi arabi. L’equivoco ha provocato un po’ di agitazione, ma erano solo voci infondate.

Ma il Jerusalem Post le attribuisce una frase sull’aumento del numero dei razzi lanciati da Hamas.

Sì, ma questo è semplicemente un fatto. Hamas ha improvvisamente aumentato i lanci su Israele provocando la reazione di Israele in una misura che certo non si aspettavano.

Ma come può la presidenza di turno ridurre a unità posizioni diverse come quelle che dividono l’Unione?

Ci sono sempre state certe differenze nell’Unione, ma alla fine si sono accordati sull’appoggio a questa missione. Ovviamente io sono in contatto con tedeschi, francesi e inglesi, i problemi non sono insuperabili. E anche la visione italiana è a sua volta diversa, anche se vicina a quella tedesca. Se si guarda a come certi media arabi attaccano il presidente Sarkozy, c’è da stupirsi, perché le differenze non sono così grandi.

Chiederete l’invio di altri contingenti militari europei nell’area?

Al momento di questo non si è discusso, perché un paese che ha il peso dell’Egitto non accetterebbe soldati stranieri sul suo territorio, come il presidente Mubarak mi ha detto molto chiaramente. E al momento neppure Israele li accetterebbe.

Che cosa cambierà con il cambio alla Casa Bianca?

Ci sarà un cambio di stile, un cambio di linguaggio rispetto alla presidenza Bush, ma dobbiamo renderci conto che non ci sarà un cambio negli interessi americani che rimangono tali, anche se la Casa Bianca farà probabilmente uno sforzo maggiore verso l’Africa e i paesi in via di sviluppo, forse guarderà più al Pacifico che all’Atlantico. Hillary Clinton metterà in gioco la sua esperienza e intelligenza, anche se, in base alla Costituzione americana, il segretario di stato dipende totalmente dal capo del governo, molto più del ministro degli esteri italiano, tedesco o cèco.

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