Il dibattito continua: un nuovo libro su Tariq Ramadan
Daniele Castellani Perelli 18 December 2007

Il volume della direttrice dell’associazione Reset Dialogues on Civilizations è stato recentemente presentato a Milano, Roma e Napoli, all’interno di incontri che hanno visto partecipare importanti intellettuali (tra cui lo stesso Ramadan) e che hanno generato vivaci dibattiti, anche grazie alla presenza, nel pubblico, di esponenti della comunità musulmana italiana. Il primo incontro si è svolto a fine ottobre a Roma, e ha visto confrontarsi Giuliano Amato e Giuliano Ferrara. Il primo, ministro degli Interni del governo Prodi, ha lodato il libro di Fürstenberg, che “entra nel cuore della questione con grande leggerezza e senza alcuna unilateralità, offrendo un aiuto prezioso a conoscere questo personaggio, al di fuori del mito e delle ostilità che in ambo i campi riesce a suscitare”. Di particolare importanza le parole di Ferrara, direttore de “Il Foglio”.

Negli scorsi anni Ferrara, bollato a volte come il principale “neocon” italiano, ha fatto parte di quel gruppo di intellettuali che, sulla scia del pensiero del vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam, non hanno fatto sconti a Tariq Ramadan, accusato più volte, non si sa bene su quali basi, di antisemitismo e collusione col terrorismo. Da qualche tempo Ferrara, tuttavia, sembra aver cambiato idea sul professore di Oxford e sul dialogo con l’Islam moderato. Ha invitato Ramadan nella sua trasmissione televisiva, e ha accolto con entusiasmo (contrariamente a Magdi Allam) la lettera che 138 “saggi” musulmani hanno scritto a Benedetto XVI. Così non sorprende che anche Ferrara, nonostante conservi alcune riserve su TR, definisca il libro di Fürstenberg “un viaggio dentro un grande problema epocale, scritto con una profonda implicazione dell’io dell’autrice che ascolta, osserva, frequenta le assemblee a cui partecipa Ramadan e rende conto di opinioni e giudizi intellettuali attraverso una documentazione molto ricca”.

Il dibattito è continuato a Milano, dove davanti allo stesso Ramadan hanno parlato diversi esperti di Islam e mondo arabo. Come Paolo Branca, professore di lingua e letteratura araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, secondo il quale “il libro permette finalmente di aprire un percorso di riflessione più serio sul personaggio di TR”: “In questa figura ci sono delle questioni delicate – ha aggiunto Branca – ma non è affatto minaccioso quello che scrive nei suoi libri”. Per Lilli Gruber, europarlamentare e autrice di “Figlie dell’Islam”, “TR è un reale motore del cambiamento, che sa tutto di noi, mentre noi di lui non sappiamo niente”: “Questo libro è coraggioso perché un quotidiano come il Corriere della Sera lo definisce un personaggio che predica l’odio, la violenza e la morte”. Ramadan, da parte sua, ha ribadito che “è possibile essere del tutto musulmani e del tutto europei”: “La cultura europea non è meno musulmana di quella egiziana – ha spiegato – In Egitto, nella mia cultura di origine, molte cose sono contrarie alla mia etica, e so che molte cose della cultura europea sono invece molto vicine alla mia etica”. “Voglio ringraziare Nina per questo libro – ha aggiunto Ramadan – non perché sia un libro generoso nei miei confronti, ma perché sono ormai nella posizione di ringraziare le persone che cercano di essere oggettive, di leggermi”.

Anche a Napoli, infine, i relatori hanno cercato di raccontare le mille sfumature di questo personaggio. Massimo Galluppi, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Napoli l’Orientale, ha espresso dubbi sul ruolo della donna nel pensiero di Ramadan. Galluppi non ha negato neanche che in TR ci sia un’ombra di reticenza sulla legittimità dello stato di Israele, ricordando quando in un’intervista a Foreign Policy TR disse semplicemente che “Israele esiste”: “Una risposta corretta – ha commentato Galluppi – ma un po’ fredda”. Sull’accusa secondo cui TR userebbe un doppio linguaggio (uno per gli occidentali, uno per i musulmani radicali), lo studioso ha invece tagliato corto: “Il doppio linguaggio è una pratica comune nelle democrazie, non c’è niente di male”. La vivacità dei dibattiti è merito delle qualità del libro, che rifugge dalle visioni integraliste e pregiudiziali, e che anzi osserva con equilibrio e attenzione l’evoluzione della controversa figura rappresentata da Tariq Ramadan. Ma il merito di tanto interesse (testimoniato anche dalle recensioni apparse su Repubblica, Sole 24 ore, Mattino, Unità e Europa), sta anche nel carisma del protagonista del libro, e soprattutto nel suo essere diventato l’emblema di un certo Islam. E’ per questo che è stato al centro di un grande dibattito internazionale, in cui Timothy Garton Ash e Ian Buruma l’hanno difeso, mentre Ayaan Hirsi Ali e Paul Berman l’hanno accusato di ambiguità.

L’associazione Resetdoc e il suo sito www.resetdoc.org hanno seguito sin dall’inizio l’evolversi di questo dibattito, e l’attenzione e l’equilibrio con cui hanno saputo raccontare il dibattito sono stati riconosciuti da diversi giornali e siti internazionali, come dimostrano le generose citazioni del tedesco Die Zeit, dell’americano Dissent, dello svizzero Neue Züercher Zeitung e di www.signandsight.com, una rivista online tedesca in lingua inglese, che è stata tra le principali promotrici della discussione. Una polemica europea, perché Tariq Ramadan è europeo e insegna ad Oxford, ma che ha avuto un’eco fondamentale anche nell’altra metà dell’Occidente, quell’America che ha negato il visto d’ingresso allo stesso Ramadan (cui era stata assegnata una cattedra all’Università di Notre Dame), quell’America che cerca una bussola per capire il mondo musulmano, dopo l’orrore dell’11 settembre e la catastrofe della guerra in Iraq.

Non stupisce allora l’attenzione che anche i media statunitensi hanno dedicato a Ramadan nell’ultimo anno. Garton Ash, come detto, l’ha difeso, sulla New York Review of Books. Come ha fatto anche Ian Buruma sul New York Times. Lo ha invece attaccato, tra gli altri, Paul Berman su The New Republic. L’ultima puntata della querelle si è registrata sul New York Times, con un acceso scambio epistolare tra Buruma e Berman. Vi si parla di Ramadan per parlare di Islam moderato, di Iraq e di Iran (più precisamente, dell’idea del neocon Norman Podhoretz, consigliere del repubblicano Rudy Giuliani, di bombardare l’Iran). Usa, Europa, Iraq, Iran. Tutto, magneticamente, a partire dalla figura di Ramadan. C’è da scommettere che il dibattito di cui è protagonista non finirà qui.

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