«La scuola deve avere una morale pluralista e non religiosa»
Philippe Borgeaud intervistato da Marco Cesario 6 July 2009

La proposta di introdurre un corso di religione obbligatorio nelle scuole di Berlino, conferendogli uno statuto pari a quello del corso di etica (introdotto nel 2006), è stata severamente bocciata nel referendum del 26 aprile scorso. Qual è la sua opinione in merito?

In primo luogo non capisco cosa s’intenda per ‘corso di religione’. In quanto storico delle religioni, la definizione di ‘corso di religione’ mi sembra ambigua. Non riesco a capire se si tratta di un corso sulle religioni oppure un corso in cui s’introduce la religione all’interno dell’insegnamento. In secondo luogo non vedo alcun rapporto con l’etica. Vogliamo davvero un’etica universale? Vogliamo realmente proporre un ventaglio sconcertante della molteplicità delle visioni del mondo? Non capisco quest’amalgama tra un tipo d’insegnamento storico e antropologico sul fenomeno religioso e un insegnamento etico che è di tutt’altro ordine.

Etica secolare e religione. Il dibattito resta aperto. Occorre forse integrare i due aspetti in una stessa formazione scolastica pubblica?

Credo che sarebbe auspicabile una formazione sulla storia delle religioni, ma non ad un livello qualunque. La mia opinione personale è che non c’è bisogno di offrire questa formazione ad alunni di 7 o 8 anni. Occorre innanzitutto insegnare loro a convivere con le differenze. Questa è la cosa più importante. Condivido però la necessità d’introdurre dei corsi di tipo civico che permettano di fare della classe uno spazio di libero pensiero in cui si può dibattere sulle differenze. Da questo punto di vista, la storia delle religioni potrebbe essere un alleato prezioso. Ma non le religioni in quanto tali. A mio avviso non è una cosa buona introdurre un catechismo plurale all’interno della scuola. Occorre invece osservare queste cose da lontano, con uno sguardo distaccato, come diceva Levi Strauss. La cosa positiva sarebbe quella d’introdurre quest’approccio anche nelle scuole pubbliche, perché permetterebbe di educare alla tolleranza e di comprendere l’altro nelle sue differenze. Una pluralità di catechismi all’interno della scuola mi sembra un’idea pericolosa.

Il patrimonio delle religioni dal punto di vista storico o morale può integrare la formazione pubblica scolastica?

Quello che è interessante è il patrimonio dell’umanità quando riflette sull’azione delle religioni. Si tratta di una riflessione storica. Si può riflettere sulle crociate, sui roghi, sulle grandi correnti mistiche. Ma non credo che le religioni debbano introdurre la loro morale all’interno delle scuole. La scuola deve avere una morale plurale e non religiosa.

Parliamo della situazione in Svizzera. A livello d’insegnamento della religione negli istituti pubblici, costituisce un modello perché vanta una grande ricchezza e varietà di esempi.

E’ vero. La Svizzera è un mondo a sé. E’ un microcosmo con tutte le diversità dell’Europa. Ci sono dei cantoni dove non esiste separazione tra religione e lo stato e dei cantoni in cui questi ultimi sono completamente separati. Quanto all’insegnamento delle religioni o del fenomeno religioso la situazione è estremamente variegata. A Ginevra, ad esempio, si è voluta mantenere una laicità quasi totale fino ad oggi, ma si comincia già a discutere dell’introduzione o meno dell’insegnamento religioso nelle scuole. Questo tipo d’insegnamento però già esiste, con forme diverse, nei cantoni vicini come Neuchâtel, Vaux o Valais.

In Francia si parla spesso di ‘laicità positiva’ facendo riferimento ai valori repubblicani e costituzionali. Ma le comunità religiose spesso additano il principio della laicità come una forma d’ideologia dello stato che cancella la specificità del patrimonio religioso. E’ possibile comprendere la storia, l’arte, la filosofia senza una conoscenza adeguata della religione?

No, non credo si possa comprendere la storia senza conoscere le religioni. Ma conoscere le religioni non vuol dire praticarle. D’altronde non si possono praticare più religioni alla volta. Si tratta dunque di una conoscenza da osservatore, una conoscenza antropologica, scientifica. Lo sguardo antropologico è uno sguardo d’astronomo perché osserva le cose a distanza, senza animosità e con una certa empatia. Non credo sia necessario penetrare intimamente nelle diverse tradizioni religiose per capirle. Esteriorizzarsi rispetto alla tradizione religiosa è un gran passo verso la tolleranza. Ma si tratta di un esercizio delicato e complicato.

A livello europeo il discorso si fa ancora più scivoloso. Dopo il vespaio sollevato da intellettuali e difensori della laicità di fronte alla prospettiva d’introdurre nel Trattato costituzionale europeo dei riferimenti alle radici cristiane dell’Europa, s’impone un vero dibattito, ma anche delle direttive più chiare.

Anche nel dibattito a livello europeo, le scuole non dovrebbero essere considerate dei luoghi di diffusione delle religioni, ma soltanto delle piattaforme di diffusione del sapere. Anche quello sulle religioni. Bisogna comunque evitare che le religioni diventino un argomento tabù e che non si possa discuterne a livello scolastico. Nelle scuole si dovrebbe poter parlare di tutto. La scuola deve essere considerata come uno spazio di libertà e di riflessione. La sfera religiosa è un campo che la scuola dovrebbe analizzare e comprendere, ma che non dovrebbe mai introdurre al suo interno.

L’emergere di fatti legati al contesto delle comunità religiose (il problema della formazione degli imam per esempio) può provocare contrasti tra le comunità e i poteri pubblici. Questi ultimi, e con essi in generale anche l’istruzione pubblica, non lasciano una parte della società senza punti di riferimento e nella totale assenza d’informazione?

Questo è un problema che si pone, ma non bisogna risolverlo a livello scolastico ma universitario. C’è un desiderio di formazione universitaria. La questione si pone anche per i teologi cattolici o protestanti. Mi sembra molto positivo che un prete conosca il greco o l’ebraico. C’è dunque una formazione che l’università può dispensare. Riguardo alla formazione degli imam, se fossi musulmano io preferirei un imam colto e formato anche in un istituto pubblico e non solo privato. Vorrei inoltre che possedesse anche un apparato di strumenti critici e storici.

La formazione dei quadri religiosi potrebbe essere accompagnata da una formazione sui principi della laicità, sulla costituzione, sui valori repubblicani, ma anche sui metodi scientifici e storici…

Mi sembra fondamentale che qualcuno che è chiamato a comunicare con numerose persone e insegnare cose religiose abbia una formazione minima riguardo alle nostre pratiche sociali ed intellettuali. Ma occorre sapere che ci sono anche atei o persone semplicemente indifferenti alla religione. L’insegnamento deve tener conto di tutto ciò. Nel campo dell’insegnamento della religione non esiste alcun privilegiato, ma nessuno deve essere ignorato.

www.marcocesario.it/

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x