Velo, curdi e politica estera: i nodi di Ankara
Marco Cesario 27 May 2010

Il problema del nazionalismo

Attiva sui mercati del bacino mediterraneo e del commercio con l’Asia, la Turchia cerca di coniugare l’eredità del nazionalismo storico di stampo kemalista con il rampante liberismo delle relazioni commerciali. Secondo Fuat Keyman – docente di relazioni internazionali presso il Collegio di scienze amministrative ed economia della Koç University – una nuova forma di nazionalismo sta prendendo forma oggi accanto a quella storica kemalista e a quella radicale (di stampo anti-occidentale e antisemita): il nazionalismo liberista, che vede nel mercato un feticcio e si fonda sull’esclusione delle classi. L’enfasi è messa sui successi economici della Turchia e sulla feticizzazione della bandiera turca. Le altre forme di nazionalismo continuano a sopravvivere, confondendosi e spesso strumentalizzando il nazionalismo ufficiale. Il movimento nazionalista curdo mette però in questione la totalità di questo paradigma.

La questione curda

Più difficile e spinosa la questione curda. Dilek Kurban – ricercatrice presso l’European Center for Minority Issues – ricorda che malgrado l’interruzione dell’offensiva militare nell’Iraq settentrionale, essa resta uno dei maggiori problemi del paese. Accantonata quella militare, si cerca di trovare una ‘soluzione politica’. Il nazionalismo turco cerca di strumentalizzare l’eredità giuridica kemalista per negare diritti alle minoranze. Se prima il problema era spaziale e legato ai territori storici dei curdi, con la diaspora si è allargato ed è diventato di dimensione nazionale. Con il processo di adesione della Turchia alla Ue e la pressione della comunità internazionale, l’establishment turco ha cominciato ad occuparsi della questione curda. Malgrado iniziative positive (inaugurazione di un canale televisivo nella loro lingua), i curdi restano ancora segregati. La lingua viene studiata privatamente ed è vietata durante le campagne elettorali. La parola ‘curdo’ non figura in nessun testo di legge turco.

Politica interna: la questione del velo e la rinascita dell’Islam radicale

Il problema del rapporto tra religione e politica in Turchia è tutt’altro che semplice e può essere sintetizzato dalla questione del velo. Yesim Arat – docente di relazioni internazionali presso la Bogaziçi University di Istanbul – ricorda che fu la Diyanet, la Presidenza per gli Affari Religiosi – che dal 1924 che amministra il culto islamico e gestisce la presenza della religione nella sfera pubblica – a promulgare il celebre divieto d’indossare il velo negli uffici pubblici e nelle università. Con l’ascesa al potere del partito dell’AKP sembra esserci stato un capovolgimento di paradigma. Considerato come un prolungamento del controllo patriarcale nei confronti del corpo della donna, il velo oggi diventa la punta di diamante di un’opera moralizzatrice che cerca di delegittimare il ruolo della donna nella sfera pubblica. Arat denuncia le pericolose infiltrazioni religiose nella vita pubblica con un dato significativo: il 70% delle donne turche oggi indossa il velo. In diversi contesti lavorativi le donne che non portano il velo sono discriminate. La religione sta infiltrando anche il sistema di educazione nazionale e i criteri di assunzione negli uffici. Si spinge le donne a lavorare in casa e non fuori. Secondo Arat è in atto un attacco alla tradizione laica della Turchia.

Politica estera dell’AKP: un’arma a doppio taglio

Si parte dall’ultimo dato, quello dell’accordo tra Turchia, Brasile e Iran per il trasferimento all’estero di una parte consistente dell’uranio arricchito in possesso di Teheran. Soli Özel – docente di scienze politiche e relazioni internazionali presso la Bilgi University di Istanbul – dietro l’attivismo turco in campo internazionale vede una componente fortemente ideologica. Özel non usa mezzi termini e parla addirittura di “islamizzazione della politica estera”. Al centro delle preoccupazioni, la solidarietà con le altre nazioni musulmane. Özel cita il caso della visita del presidente sudanese Bashir, di una visita di Erdogan in Darfur (in cui dichiarò: “Non vedo nessun genocidio”) e della denigrazione dello stato d’Israele nei discorsi politici quotidiani. Özel cita anche il sondaggio della BBC sull’elezione di Obama: i soli due paesi in cui la percezione del cambiamento della politica estera americana è considerato pari a zero sono il Pakistan e la Turchia. Segnali certo inquietanti che fanno dire ad Özel che l’AKP di Erdogan sta progressivamente trasformando la Turchia in uno stato islamico ‘soft’. Oltre le ombre però Özel vede anche luci: malgrado la componente ideologica, l’AKP resta un partito moderato e disposto a dialogare con l’Occidente.

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