“Una polemica che danneggia la causa palestinese”
Una conversazione con Ernesto Ferrero, direttore della Fiera del libro di Torino 21 February 2008

Direttore Ferrero, ci può spiegare il meccanismo della scelta dell’ospite d’onore? Israele è stata invitata o scelta dopo una candidatura?

Di solito veniamo contattati da Paesi che intendono far conoscere meglio la loro letteratura e la loro cultura in Italia. Così è successo negli anni scorsi con l’Olanda, il Canada, la Catalogna, la Svizzera, il Portogallo, il Brasile, la Grecia, la Lituania. Nell’estate del 2007 l’ambasciata di Israele ci ha espresso il desiderio di portare alla Fiera di Torino la cultura del suo Paese, per una migliore conoscenza tra le due società civili. Le istituzioni che animano la Fiera (Il Comune e la Provincia di Torino, la Regione Piemonte) hanno vagliato la richiesta e l’hanno accolta.

Secondo i sostenitori del boicottaggio, la scelta di Israele è prettamente politica, per festeggiare il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico. È così?

Nessun intento politico, propagandistico o celebrativo. Si tratta di far venire a Torino scrittori, musicisti, scienziati, artisti che fanno parte di una libera cultura, molto vivace, nota e apprezzata in Italia e nel mondo.

All’inizio di quest’anno è stato annunciato che l’Egitto sarebbe stato l’ospite d’onore alla Fiera 2008. Cosa è successo?

Da tempo abbiamo in corso contatti cordiali con l’Egitto. Tra l’altro lo scrittore Gamal al Ghitani, che ho incontrato al Cairo, mi conosce benissimo. La partecipazione dell’Egitto, inizialmente prevista per quest’anno, è stata spostata al 2009 non per far posto a Israele, come qualcuno ha scritto, ma perché il prossimo anno si tengono a Torino, che è già sede di un famoso Museo Egizio, il secondo nel mondo dopo il Cairo, importanti mostre archeologiche dedicate all’antico Egitto. Abbiamo dunque pensato, d’accordo con gli egiziani, di collegare la Fiera a queste mostre, perché così i vari eventi si rafforzeranno l’un l’altro.

Come giudica la posizione di Tariq Ramadan, che sta guidando il fronte del boicottaggio e dichiara che “scegliere lo Stato di Israele non è né saggio né giusto nei confronti dei palestinesi”?

Noi invitiamo degli scrittori, non "lo Stato". Ramadan ragiona in termini esclusivamente politici, mentre a noi interessano gli aspetti culturali. Sembra che egli non sappia che cos’è una fiera del libro, eppure lo scorso anno è stato nostro ospite, malgrado sia un personaggio molto discusso anche in Italia. Ha potuto parlare liberamente e lo abbiamo ascoltato con interesse. Adesso lasci parlare gli altri, tanto più che gli autori invitati non sono affatto contro la causa palestinese, ma uomini di dialogo e di pace. Egli sembra dimenticare che la maggior parte degli scrittori israeliani sono molto critici con il loro governo. Proprio in questi giorni abbiamo letto un intervento molto duro di David Grossman. E Amos Oz ha dichiarato che Israele "non fa niente per la pace". Perché uomini come Grossman e Oz non dovrebbero parlare a Torino? Farli tacere non mi sembra né giusto né saggio per i palestinesi. Quello che noi offriamo è proprio uno spazio libero dove discutere civilmente di ogni cosa.

Come valuta la proposta del premio Nobel Dario Fo di invitare più scrittori palestinesi per controbilanciare la presenza israeliana?

Gli scrittori palestinesi come Ibrahim Nasrallah, Suad Amiry, Sahar Khalifeh e altri ancora li avevamo già invitati, ma hanno declinato, dicendo che non vogliono festeggiare la nabka o l’apartheid. Ma non è questo che chiediamo loro. Anzitutto nessuno festeggerà niente. Il 60° anniversario di Israele sarà solo l’occasione per discutere criticamente una storia tanto drammatica e dolorosa. Ci saranno storici come Zeev Sternhell e Ilan Pappé, di cui credo tutti conoscano le tesi. Proprio in questi giorni abbiamo invitato anche Jamil Hilal e Farouk Mardam Bey, il bravissimo direttore della collane arabe di Actes Sud.

Che rapporto ha avuto la Fiera del libro di Torino nelle precedenti edizioni con il mondo arabo, gli scrittori arabi?

Negli anni scorsi abbiamo avuto il piacere di avere nostri ospiti molti scrittori provenienti dal mondo arabo: Mahamoud Darwish che è venuto più volte, Murid al Barghuti, Ibrahim Al-Koni, Bensalem Himmish, Adonis…In Italia sono molto letti autori come lo stesso Adonis, Tahar Ben Jelloun, Khaled Fouad Allam, che è anche un deputato del Parlamento italiano. Come Lei sa bene, anche i suoi libri, Amara Lakhous, hanno avuto un buon successo. E vari autori algerini, tunisini e libici hanno accettato di venire a Torino.

Lei, in quanto scrittore, ha espresso un forte sconforto per gli scrittori che chiedono di boicottare altri colleghi. Perché?

Io credo che gli scrittori debbano essere uomini di dialogo e di pace. La letteratura è qualcosa che unisce. Di uno scrittore è importante quello che scrive, non il passaporto, la razza o la religione. Che scrittore è quello che non vuol lasciar parlare un altro scrittore solo perché il suo governo fa certe cose?

Lei è preoccupato per lo svolgimento della prossima Fiera?

Io spero che alla fine prevalga la ragione. Come spesso accade, certe reazioni istintive, che posso anche capire, nascono da una conoscenza incompleta dei fatti. La Fiera di Torino non è "dedicata" a Israele, come qualcuno ha scritto. Ci saranno anche gli scrittori di Israele, ma animeranno venti o trenta incontri su un totale di 600 o 700 che sono in programma. C’è posto per tutti. In cinque giorni vengono 300.000 visitatori. Perché non far sentire loro anche la voce dei palestinesi? Perché rinunciare a farli conoscere meglio?

Ha un appello a rivolgere all’opinione pubblica araba?

In Italia c’è molta simpatia per la causa palestinese e molto interesse per la cultura araba. Gli italiani hanno molti difetti, ma sono aperti, curiosi, non razzisti, addirittura accaniti esterofili. La Fiera del libro è sempre stata, nei venti anni della sua storia, un luogo di incontro e di dialogo. Dalla Nuova Zelanda all’India, dal Medio Oriente all’Africa, dall’America alla Cina sono venuti centinaia di scrittori. Mi lasci dire che queste polemiche non aiutano la causa palestinese, al contrario la danneggiano, aumentano il suo isolamento. Noi confidiamo in tutti gli arabi di buona volontà. Noi vogliamo costruire ponti, non nuovi muri. Unire, non dividere ancora di più. Ci auguriamo di poter ospitare alla Fiera 2009 la Palestina e gli scrittori palestinesi.

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