“Il rischio e’ che scoppi una guerra quasi per caso”
Una conversazione con Gary Sick, ex consigliere alla Casa Bianca 8 March 2007

Sul New York Times Thomas L. Friedman ha scritto che in Medio Oriente l’alleato naturale degli Stati Uniti non è l’Arabia Saudita, ma l’Iran, un paese la cui popolazione è giovane, laica e filo-occidentale. È d’accordo?

L’Iran è stato nostro alleato fino alla rivoluzione del 1979, e se guardiamo ai veri interessi dei due paesi ci accorgiamo che hanno molti obiettivi in comune, a partire dalla stabilizzazione dell’Iraq e dell’Afghanistan. Ma dobbiamo fare i conti con la storia. C’è stata la crisi degli ostaggi, e da allora il discorso si è radicalizzato. Da più di 25 anni, a ogni manifestazione i politici iraniani urlano “Morte all’America”, e questo non può portare a buone relazioni. L’America, a sua volta, considera l’Iran come un paese radicale e fanatico, e tutto ciò rende impossibile che i due contendenti si parlino.

Però nel 2001 i rapporti tra i due paesi non erano terribili come ora. Entrambi facevano parte, ad esempio, del fronte anti-talebano. Cos’è andato storto dopo?

È vero, è un’ottima domanda. Abbiamo collaborato con successo in Afghanistan, ma immediatamente dopo (fu una questione veramente di settimane) il presidente Bush inserì l’Iran nell’“asse del male”. Gli iraniani rimasero di sasso, non potevano crederci, perché pensavano di aver fatto delle aperture importanti verso gli Stati Uniti. Non ci siamo mai ripresi da quella vicenda. Gli iraniani hanno offerto di riaprire il dialogo nel 2003, ma noi abbiamo fatto finta di niente, non abbiamo nemmeno risposto alla loro lettera. Anche l’Iran ha perso le sue occasioni, e a questo punto io non vedo ragioni per essere ottimisti.

Recentemente alcuni iraniani sono stati arrestati in Iraq. Gli Stati Uniti accusano Teheran di armare i ribelli. Possiamo dire che Iran e Stati Uniti hanno già cominciato la loro guerra, ma su suolo iracheno?

Gli iracheni hanno detto in modo molto chiaro che non vogliono che i due paesi combattano una guerra sul loro territorio. La parola “guerra” è esagerata, ma certamente c’è un conflitto in atto, e penso che gli americani, arrestando degli iraniani ospiti del governo iracheno, abbiano prodotto un’escalation, ed è una cosa che a me fa paura. Perché l’Iran ha la capacità di vendicarsi, sia in Iraq sia altrove. Noi ci comportiamo come se l’Iran non avesse questa possibilità, ma temo che se l’Iran rispondesse a queste nostre provocazioni allora assisteremmo a un drammatico precipitare della situazione. C’è il rischio che scoppi una guerra quasi per caso. L’Iraq non è il luogo in cui si sta combattendo una guerra tra Iran e Usa, ma potrebbe rappresentare il motivo di una guerra.

Quindi lei concorda con i suggerimenti di dialogo avanzati dal rapporto della commissione Baker…

Sì, e trovo che sia un grave errore che gli Stati Uniti stiano sprecando l’occasione di seguire quelle indicazioni. Il rapporto Baker è molto intelligente, e ha il pregio di essere bipartisan.

La nuova composizione del Congresso americano, dopo la vittoria democratica alle elezioni di mezzo termine, può modificare l’impostazione dell’amministrazione Bush?

I nuovi rappresentanti democratici che sono entrati nel Congresso sono contro l’Iran tanto quanto l’amministrazione Bush. Ci sono persone favorevoli da tempo all’apertura del dialogo con Teheran, ma mi riferisco soprattutto al senatore Chuck Hagel, un repubblicano. Sono voci isolate, e i democratici sono più o meno sulle stesse posizioni dei repubblicani.

È ancora possibile un attacco americano a singoli obiettivi nucleari iraniani?

Personalmente credo di no. Il segretario alla difesa, il consigliere per la sicurezza nazionale e il presidente ripetono che non stanno programmando una guerra. Ci credo. Ma la cosa che mi preoccupa è che se continuiamo ad alzare il livello della retorica e mandiamo ancora più soldati in Iraq, a un certo punto questo può causare una risposta che oggi non ci aspettiamo.

Bush e il presidente Ahmadinejad, dopo le recenti sconfitte politiche, non sono entrambi delle “anatre zoppe”?

È così, e in qualche modo è una coincidenza affascinante. A Bush mancano solo due anni prima della fi ne del mandato. Ahmadinejad ha ancora due-tre anni prima delle prossime elezioni, e il sostegno di cui gode è molto limitato. Non è detto che quest’ultimo perda le prossime elezioni, ma oggi è in grande difficoltà. Anche per queste ragioni, purtroppo, non credo che finché Bush e Ahmadinejad saranno al potere potremo vedere grandi progressi nel rapporto tra Stati Uniti e Iran.

A 28 anni dalla crisi degli ostaggi, di cui lei è stato uno dei protagonisti, si sarebbe aspettato che le relazioni tra i due paesi sarebbero state ancora a questo punto?

Per tutti questi anni abbiamo assistito a una sorta di guerra fredda, che è diventata una norma nel rapporto tra i due paesi. Sarei sorpreso se questa guerra fredda oggi finisse.

Questa intervista è stata originariamente pubblicata dal quotidiano Europa

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