L’ultima creatura mediatica
Amara Lakhous 6 October 2009

Cosa hanno in comune le donne di Kabul con Ursula Andress, l’icona super sexy degli anni sessanta? Apparentemente nulla, ma in realtà sembra che ci sia qualcosa: l’opinione pubblica italiana ha scoperto l’estate scorsa una parentela fra il famoso costume di Ursula, la partner di James Bond e quel velo integrale che copre tutto il corpo femminile. E come succede nel mondo animale, accoppiando due razze diverse si ottiene una razza nuova, ovviamente correndo qualche rischio. Ad esempio, nel caso dei cani, l’esperimento ha dato vita al pitbull! Per ora possiamo stare tranquilli, perché la coppia bikini-burka ha generato solo il burkini.

I media italiani hanno dedicato ampio spazio alla nuova creatura. La protagonista della vicenda è stata la quarantenne marocchina Najat Rezki, una mediatrice culturale marocchina residente a Verona. Sul Corriere della Sera si poteva leggere questo titolo: Musulmana in piscina col «burkini», le mamme: «Spaventa i bambini». La signora Rezki ha fornito ai giornali qualche dettaglio: il ‘burkini’ è stato comprato in Marocco per 200 euro (tre mensilità di un impiegato nel Maghreb!). “Lo spavento dei bambini – ha spiegato – è solo una scusa per coprire la parte razzista delle mamme. E poi non siete voi che dite che le donne musulmane sono chiuse e non escono di casa, che dovrebbero integrarsi? Ma come possiamo fare se non abbiamo la libertà di fare ciò che possiamo fare, rispettando comunque i nostri valori senza urtare i vostri?”.

La signora marocchina ha ragione nel sostenere che lo spavento di bambini sia soltanto un pretesto, però non penso che il suo ‘burkini’ sia conforme alle regole dell’Islam. Questa vicenda è un esempio molto significativo per capire come una questione molto seria possa diventare banale e mero gossip. Il nocciolo del problema riguarda il controllo sociale sul corpo femminile nello spazio pubblico. Il velo islamico nasce per “disciplinare” la presenza della donna fuori dalle mura domestiche. Tenere i due sessi separati è una priorità. Il timore della promiscuità non fonda le sue radici solamente nel mondo musulmano, ma in tante società tradizionali e conservatrici, in cui ‘la tutela morale e psicologica’ del maschio significa l’esclusione delle donne dallo spazio pubblico.

Nella concezione musulmana, la promiscuità (ikhtilat), significa l’incontro di uomini e donne nello stesso spazio, quindi aumenta il rischio di fitna, cioè della tentazione. Questa parola proviene dalla radice araba f-t-n che ha tanti significati: mettere alla prova, tentare, sedurre, eccitare, e soprattutto creare disordine. La sociologa marocchina Fatima Mernissi fa notare che la paura della fitna deriva dal fatto che, nella concezione musulmana, la donna ha il potere enorme di attrarre e far perdere la ragione all’uomo, e di conseguenza di indebolirlo e rovesciare il rapporto dominato/dominatore, inferiore/superiore, passivo/attivo (1). Dalla fitna nasce l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica. Anche qui si può parlare di una discontinuità fra le donne al tempo del Profeta e le donne d’oggi. L’esempio riguarda l’accesso alla moschea, in quanto luogo di culto e di studio. L’uomo e la donna di fronte a Dio sono credenti alla pari, hanno stessi diritti e doveri. Tuttavia oggi, in tanti paesi islamici, è permesso alla donna di andare in moschea soltanto per la preghiera del venerdì.

La società musulmana dunque si fonda sulla separazione netta tra maschio e femmina. Già nell’infanzia, si mitizzano le differenze. Ricordo mio padre e la sua fissazione per i capelli: noi maschi dovevamo avere i capelli sempre corti, per non somigliare alle femmine, e le mie sorelle dovevano mantenerli lunghi per non essere scambiate per maschi. Ricordo ancora il litigio fra mio padre e mio fratello maggiore, all’inizio degli anni ottanta, quando andava di moda indossare delle collanine nere per uomo. Mio padre era contrario, tanto che ha costretto mio fratello a vivere questa moda in clandestinità.

La mitizzazione delle differenze raggiunge livelli impensabili e surreali. Per le contadine di Giza (Egitto), la circoncisione femminile non rappresenta un atto di violenza nei loro confronti, ma una pratica necessaria per salvaguardare la bellezza della donna e la specificità femminile. Così, nella loro percezione, il clitoride è come un pene, quindi confonde i due sessi (2). Il progetto degli integralisti musulmani si fonda sulla separazione dello spazio tra l’uomo e la donna. Ricordo bene la battaglia degli studenti e delle studentesse integralisti all’Università di Algeri nel 1990 per dividere la mensa. Alla fine hanno ottenuto quello che volevano: il piano terra per gli studenti e il primo piano per le studentesse.

Quindi l’unico spazio riconosciuto alla donna è la casa, e non può lasciarla senza il permesso del padre, o del marito o del fratello. E’ molto noto il proverbio diffuso nel mondo arabo: “La donna lascia la sua casa solo due volte nella sua vita: lascia la casa del padre per andare da quella del marito, lascia quella del marito per andare nella tomba”. In Siria c’è un altro proverbio che dice: “Il mondo della donna è la casa e la casa dell’uomo è il mondo”. La questione di coprire il corpo della donna nello spazio pubblico va affrontata all’interno del complesso sistema del controllo sociale. Pertanto penso che il ‘burkini’ sia un semplice capriccio un po’ provinciale. Questa moda è iniziata in Francia, prima di approdare a Verona. Ovviamente questa vicenda è stata sfruttata dalla Lega Nord per parlare ancora una vota dei problemi insormontabili per l’integrazione degli immigrati musulmani. Il burkini è anche un falso problema. Le priorità sono altre: ad esempio, i musulmani (immigrati e convertiti) residenti nel Belpaese non hanno ancora luoghi di culto decenti per poter pregare e aspettano da decenni un concordato con lo Stato.

Amara Lakhous è uno scrittore e antropologo algerino. È l’autore del romanzo “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” (Editore E/O, vincitore del premio Flaiano nel 2006).

Note: 

(1) Vedi Mernissi F., Beyond the Veil: Male-female dynamics in a modern Muslim society, Schenkman Publishing, New York, 1975.
(2) Khattab H., “Women’s Perceptions of Sexuality in Rural Giza” in Giza, Egypt: The Population Council: Monographs in Reproductive Health , n.1. 1996, p. 20.

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