Le condizioni della pace
Incontro con Ferhat Kentel (Sehir University), di Nicola Mirenzi 30 November 2011

“La questione curda è una questione antica, che risale almeno alla fondazione della Repubblica turca nel1923”, ci ricorda Kentel. “Lo Stato turco non ha mai riconosciuto i curdi come una minoranza specifica facente parte della popolazione nazionale. E la questione si è radicalizzata soprattutto dopo il colpo di stato del 1980. Quando le torture e gli abusi subiti dai curdi sono sfociati nella lotta armata del Pkk. Per questo – prosegue Kentel – credo che molto dipenda dalla politica dello Stato. Quando lo Stato diventa più intransigente, anche il movimento curdo lo diventa. E oggi il punto è capire se questa lotta troverà uno sbocco politico oppure proseguirà sulla strada della violenza”.

L’impressione del professore, però, è che “il governo dell’Akp voglia imporre un soluzione unilaterale” che renderebbe “la questione ancora più insolubile. Per il futuro prossimo sono pessimista – confessa – ma sono ottimista riguardo il lungo periodo. Perché credo che la società turca abbia dentro di sé la capacità di assorbire i conflitti e di trovare i modi per vivere insieme”.

Il governo Erdoğan – oggi al suo terzo mandato – aveva aperto in passato alla possibilità di una pacificazione del conflitto curdo con la cosiddetta “iniziativa democratica”. La quale aveva suscitato molte speranze, ma anche molte preoccupazioni. Oggi, quello spirito riformatore, sembra essersi arenato. Nel momento forse più inopportuno. Quando la Turchia, cioè, si sta apprestando a riscrivere la sua costituzione.

“L’atteggiamento dell’Akp – spiega Kentel – è cambiato radicalmente dopo il ritorno a casa di 34 militanti del Pkk nell’ottobre del 2009. Un passaggio concordato col governo come segno di apertura di un processo di pace. Ma questi militanti, dopo aver attraversato la frontiera di Habur al confine tra Turchia e Iraq, vennero accolti da migliaia di curdi come degli eroi. E il nocciolo nazionalista della società turca reagì in maniera veramente dura. Dicendo che il Pkk stava celebrando la sua vittoria per colpa di Erdoğan e che per la Repubblica Turca quello che stava accadendo era una vera e propria umiliazione. Questo rigetto dell’opzione democratica ha portato il governo dell’Akp a fare dei passi indietro nella sua apertura. E da quel momento penso che ci sia stato un cambiamento. L’Akp si è spaventato. Non ha avuto la forza di andare avanti per la sua strada. E così anche la mentalità tradizionale dello Stato è riemersa all’interno dell’Akp. Da quel momento l’Akp ha cercato di mettere il Pkk in un angolo tentando di obbligarlo ad arrendersi. Ma è molto difficile che ci riesca, perché a sua volta il Pkk non vuole saperne di arrendersi. E oggi siamo esattamente a questo punto. Ci sono ancora margini di manovra. Ma se prevarrà la via pacifica o quella della guerra nessuno può ancora saperlo”.

Il processo che si è innescato intorno alla preparazione della nuova costituzione, secondo Kentel, può avere però degli effetti benefici sia per la democrazia turca in generale sia – anche se in seconda battuta – sulla risoluzione della questione curda. “Per la prima volta nella storia della Turchia, le persone, i gruppi, la società civile stanno discutendo apertamente di come cambiare la costituzione. La carta fondamentale è diventata una questione veramente sociale. Mentre sinora era sempre rimasta una questione riservata ai circoli giuridici, degli avvocati, insomma delle persone appartenenti ai piani alti dello Stato. Oggi la costituzione è diventata un patrimonio sociale, è la società che ne parla. Da questo punto di vista, sono ottimista. Perché se nella società si afferma l’idea che una costituzione più avanzata, che preveda più libertà e diritti, è utile a tutte le persone, questo sì che può creare le condizioni per una risoluzione vera della questione curda”.

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