«Ora tutto è nelle mani di Washington»
Valeria Talbot intervistato da Federica Zoja 8 June 2010

L’attacco dalle forze israeliane alla ‘flottiglia’ turca di pacifisti diretti a Gaza, terminato con la morte di 9 civili e il ferimento di almeno altre 25 persone, ha irrigidito i rapporti fra Ankara e Tel Aviv, già messi a dura prova dall’operazione militare israeliana Piombo Fuso nella Striscia (27 dicembre 2008-18 gennaio 2009). Si aspettava un’escalation del genere? E, soprattutto, è credibile l’ipotesi di un complotto turco, paventato da alcuni osservatori?

Nei giorni precedenti all’arrivo delle navi di fronte a Gaza, si parlava della spedizione pacifista, sulla stampa internazionale. C’era tensione, ma non si poteva immaginare un uso della forza così sproporzionato da parte delle forze israeliane. Non so francamente quanto sia fondata questa tesi di un complotto turco, non vedo quali ne sarebbero le motivazioni e gli obiettivi. E’ vero che la Turchia negli ultimi anni si è riappacificata con l’Iran e con la Siria, che sono diventati partner economici importanti. Ma la strategia politica turca rimane quella di garantire la stabilità regionale. La Turchia non vuole problemi con nessuno dei propri vicini, coltiva il dialogo.

Questo anche per avere le carte in regola per un futuro ingresso nell’Unione europea?

Senza andare lontano e pensare all’Europa, è sufficiente considerare il quadro regionale. La Turchia ha accordi militari ed economici con Israele, su cui, nonostante le dichiarazioni delle prime ore, non intende retrocedere. Il ministro della Difesa turca ha garantito che le relazioni con Tel Aviv non sono in discussione. Non dimentichiamo il ruolo di Ankara come mediatore fra Tel Aviv e Damasco. La Turchia non trarrebbe alcun vantaggio da uno scontro con Israele. Questo nonostante sia diventata di recente il campione della causa palestinese, a seguito delle prese di posizione a favore di Gaza.

Come dire, Ankara è disponibile a farsi carico dei negoziati fra Israele, da un lato, e gli interlocutori palestinesi, siriani e dell’intera regione, dall’altro. Ma le regole non le può fare solo Tel Aviv.

Sì, la Turchia si è impegnata seriamente nei negoziati fra israeliani e siriani, ma poi, un anno e mezzo fa, l’operazione Piombo Fuso ha vanificato gli sforzi fatti, suo malgrado. Successivamente, Israele non ha più considerato i turchi affidabili a causa della loro difesa di Gaza. Ed ora, quanto successo alcuni giorni fa provoca, a mio giudizio, un’altra interruzione nel processo di pace. Non giova a nessuno, neanche ad Israele.

Quindi lei non si aspetta nessun cambiamento sostanziale nelle relazioni fra i due paesi, Israele e Turchia. Piuttosto, una situazione di maggiore isolamento per Tel Aviv e una nuova battuta d’arresto per il processo di pace.

Forse non possiamo più parlare di partnership strategica fra i due paesi, ma gli accordi rimangono validi. Intanto, però, Israele rischia davvero di rimanere isolata in Medio Oriente, perché la reazione internazionale è stata unanime, al di là del mancato accordo su una risoluzione comune. Ora tutto dipende dalle pressioni che gli Stati Uniti eserciteranno su Tel Aviv: solo l’America, non certo l’Unione Europea che non trova una voce unica e credibile, può sbloccare la situazione dell’embargo della Striscia di Gaza e delle trattative fra israeliani e palestinesi, che però dovranno ripartire da zero. Il mancato incontro fra il presidente americano Obama e il premier israeliano Netanyahu, annullato per volontà del primo, è un segnale forte.

Il governo turco non rischia di scontentare l’opinione pubblica nazionale non prendendo misure contro Israele, dopo le dichiarazioni infuocate delle prime ore?

Coloro che abbiamo visto manifestare per le strade della capitale turca non rappresentano tutta la popolazione, anche se si tratta certamente di una novità significativa. Resta da vedere come si evolveranno le relazioni tra Turchia e Israele alla luce dei recenti avvenimenti. L’attacco israeliano ai pacifisti indubbiamente non ha giovato ai già tesi rapporti bilaterali e isolerà Tel Aviv ancora di più nella regione. E per i palestinesi di Gaza molto dipende dalle azioni della diplomazia americana.

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