Islamismo e diritti umani: un dialogo impossibile?
Filippo Dionigi 16 January 2008

Il contesto mediorientale rappresenta un severo banco di prova per l’universalismo dei diritti umani, in particolar modo se si considera la crescente influenza del pensiero politico islamista. Come si può valutare il ruolo dell’Islamismo nel processo di implementazione dei diritti umani? Nonostante una diffusa percezione dell’islamismo come ostile ai diritti umani, proprio in corrispondenza alla sua ascesa si sono sviluppati una letteratura ed un insieme di documenti che adottano il linguaggio dei diritti umani e lo proiettano sul progetto politico islamista. Tuttavia, per un’analisi più approfondita, bisogna entrare nel merito e chiedersi come i diritti umani siano diventati una parte integrante del progetto politico islamista.

Per cercare di ricondurre l’approccio islamista ad una categoria familiare si consideri l’islamismo come una forma di comunitarismo che rivendica la legittimità delle istituzioni sociali (diritti umani inclusi) in funzione dei valori costitutivi della comunità di appartenenza. Ciò significa che il riconoscimento effettivo di diritti inalienabili della persona necessariamente deve passare attraverso una giustificazione la cui fonte di legittimità derivi dai principi etici comunitari pertinenti al contesto mediorientale. Il pensiero politico islamista asserisce che l’etica islamica è la fonte di tali principi, pertanto i “diritti umani islamici” sono considerati l’unica legittima estensione dei diritti umani al contesto arabo. In questo senso l’islamismo è una forma di comunitarismo poiché rispecchia la critica contestualista al fondazionalismo universalista e asserisce la necessità di una fondazione locale dei diritti che rispecchi la “concezione di bene” contestuale. Un ulteriore fattore che ha supportato l’approccio islamista ai diritti umani è quello dell’orientalismo che ha contribuito all’interpretazione eticamente monista del contesto mediorientale. Come è stato detto su Reset da Nadia Urbinati e Michael Walzer, il comunitarismo islamista non solo si fonda sulla retorica dell’identità minacciata e la conseguente necessità di preservare i valori dell’Islam, ma trae vantaggio anche dal paradigma delle “civiltà”.

Sebbene l’approccio islamista ai diritti umani rappresenti un passo avanti per il processo di universalizzazione per il fatto stesso della sua esistenza, non mancano critiche a tale fenomeno, in particolare circa il tipo di ripercussioni che questo approccio ha sul concetto stesso di diritti umani. L’islamismo ha svolto un ruolo importante nell’affermazione di una via islamica ai diritti umani come si deduce da esempi quali: la Universal Islamic Declaration of Human Rights (1981), la Cairo Declaration of Human Rights in Islam (1990) che a loro volta hanno influenzato l’Arab Charter of Human Rights del 1994 e quella del 2004. In questi esempi, infatti, i diritti umani sono considerati una parte integrante dell’etica islamica e la sharī‘ā è citata come fonte del diritto. Tuttavia, questo processo di assimilazione non lascia il concetto di diritti umani immutato ma lo declina alla luce del progetto politico islamista non senza conseguenze. In proposito Fred Halliday ha notato come l’approccio islamista ai diritti umani non comporti l’assimilazione ma piuttosto l’appropriazione del concetto da parte della teoria politica islamista. Seyla Benhabib ha messo in luce come la giustificazione locale dei diritti in contrapposizione a quella universale comporti una certa selettività circa quali diritti possono essere riconosciuti in un contesto particolare.

Ciò avviene anche nel caso islamista in cui sono riconosciuti solo quei diritti umani che non sono in contrasto con la concezione etica di cui l’islamismo si fa portavoce esclusivo. Si possono fare alcuni esempi con riferimento ai documenti citati sopra. Ann Elizabeth Mayer ha illustrato come la Universal Islamic Declaration of Human Rights sia in contrasto con gli standards internazionali per quanto riguarda la tutela dell’eguaglianza. Mayer sostiene che la Universal Islamic Declaration of Human Rights permette la discriminazione della donna nei suoi diritti alla famiglia e al matrimonio, non garantisce parità di trattamento per le minoranze (in particolar modo religiose) e limita gravemente la libertà di pensiero, coscienza e religione. Un altro esempio è quello della Cairo Declaration of Human Rights in Islam che si differenzia dagli standards internazionali poiché prevede la possibilità delle punizioni corporali (un crimine proibito dallo ius cogens) oltre ad essere un testo quantomeno ambiguo per ciò che concerne l’eguaglianza di genere. Poiché la Arab Charter of Human Rights del 1994 riprende tali dichiarazioni, ne eredita anche le discrepanze attirando le critiche della comunità internazionale. Ad ulteriore riprova, l’influenza islamista nel processo di implementazione dei diritti umani nel mondo arabo si rileva anche dalle numerose riserve alla ratifica delle convenzioni internazionali. Tali riserve sono dovute alla pressione politica (diretta ed indiretta) dei movimenti islamisti sui governi nazionali nel processo di ratifica delle convenzioni. Il principale obiettivo delle riserve è quello di affermare l’etica islamica come unica fonte del diritto sulla quale i movimenti islamisti pretendono il monopolio. Non è un caso che il maggior numero di riserve interessi proprio la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione contro le Donne.

Dagli esempi citati sino ad ora si potrebbe essere tentati di fare un bilancio negativo circa il contributo islamista e cedere alla tesi dell’incompatibilità della teoria politica islamista con i diritti umani o alla più generale incompatibilità dell’Islam con istituzioni politiche moderne. Ma questa sarebbe una conclusione parziale e storicamente determinista dell’analisi dell’approccio islamista ai diritti umani, sebbene nella teoria tale posizione sia stata largamente condivisa, e, nei fatti, abbia avuto un ruolo fondamentale per giustificare l’interventismo e l’ingerenza politica da parte delle potenze straniere nella regione araba. La critica a questo tipo di ragionamento è che l’islamismo ed il relativo approccio ai diritti umani non possono essere circoscritti a quanto passa attraverso il “filtro” politico soprattutto se teniamo conto del grave deficit democratico della regione araba. Al contrario, bisogna rendere conto della natura complessa e plurale del discorso politico islamista guardando anche al contributo (minoritario) della teoria islamista che sostiene la riformabilità delle istituzioni sociali islamiche alla luce delle condizioni storiche odierne. É già stato concesso troppo spazio alle teorie dell’incompatibilità e dello scontro per via di una congiuntura politica favorevole a queste teorie.

Dal processo di implementazione dei diritti umani nel mondo arabo sono state escluse le voci più “ospitali” che possono dar luogo ad una fondazione islamica dei diritti umani senza alterarne la natura. Pensatori (islamisti) come Abdallahi Ahmed an-Naim e Nasr Amid Abu Zayd sono stati esclusi dal dibattito nel mondo arabo in quanto apostati e sono generalmente considerati poco rappresentativi in Occidente perché non rispecchiano lo stereotipo islamista. Le voci dell’islamismo che credono nella possibilità di una riforma dell’esegesi tradizionale hanno un margine d’influenza nel dibattito ridotto dalla preponderanza del neo-fondamentalismo nel contesto arabo e dell’orientalismo sul versante opposto. La tesi allora è che proprio l’alterazione del dialogo determini il fallimento dell’approccio islamista ai diritti umani. Il livellamento del dialogo su un’unica posizione ha alterato il processo di assimilazione dei diritti umani in favore di un’unica concezione che, sebbene adotti il linguaggio dei diritti umani, lo priva del suo significato.

Al contrario, tutti i documenti di tutela dei diritti umani sono l’esito di un processo di confronto fra prospettive contrapposte e rispecchiano le condizioni storiche e sociali in cui sono stati redatti. Ad esempio la Carta Africana dei Diritti Umani e dei Popoli è caratterizzata da aspetti che denotano il contesto storico e sociale postcoloniale in cui fu concepita, e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani include i diritti economico-sociali sopratutto per l’influenza del blocco socialista nel dibattito preparatorio. I diritti umani sono caratterizzati da un’incertezza semantica che lascia un margine di interpretazione relativo a contesti etici e storici particolari ma che non può soccombere a logiche di potere incoerenti con l’obiettivo di tutela della dignità della persona. L’attuale condizione del dibattito nella regione araba esclude la possibilità di un processo dialogico di assimilazione dei diritti poiché lo appiattisce su un’unica prospettiva. La possibilità di un’efficace assimilazione dei diritti umani nel mondo arabo è vincolata ad un processo dialogico inclusivo che rispecchi il pluralismo di tale contesto.

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