La lunga marcia anti-Sisi.
Parla Hamdeen Sabahi
Intervista di Azzurra Meringolo 22 May 2014

Storico nasseriano che ha iniziato a fare politica nei corridori dell’università egiziane degli anni ’70, Hamdeen – come lo chiamano i suoi – è conosciuto per la sua abilità di pronunciare apertamente frasi scomode. Nel ’77 denunciò in diretta televisiva la corruzione del governo del presidente Anwar Sadat e la sua politica della porta aperta agli States e a Israele. L’uomo che lunedì e martedì sfiderà alla presidenza Abdel Fattah el Sisi – l’ex capo delle Forze Armate – è stato il più giovane prigioniero politico caduto nella morsa repressiva di Sadat.

Il 95% degli egiziani all’estero ha già votato per Sisi. Perché ha deciso di sfidarlo sapendo che l’ex generale vincerà con un plebiscito?

La mia performance elettorale non è già scritta dal destino. Dipende dalla reazione della società egiziana. Io rappresento i settori più poveri e i più giovani. Sulla carta, la maggioranza del paese. Tutta la mia carriera politica è stata dedicata a loro e il mio futuro, come quello del paese, dipende soprattutto dai giovani. È su di loro che sto puntando le mie energie, per creare una classe politica in grado di sfidare i nostri avversari. Le presidenziali sono la prima sfida di questa nuova epoca, ma non sono né l’unica, né l’ultima.

Alcuni di questi suoi giovani elettori boicotteranno le urne. Come risponde a chi la accusa di legittimare, con la sua candidatura, il ritorno al potere dei militari?

Il boicottaggio è uno strumento politico che appartiene al passato, quando non vi erano i requisiti per una vera competizione politica. Ora il clima politico permette sfide reali, per questo partecipare alle elezioni è parte di una strategia politica che mette al centro l’inclusione della popolazione in quelle dinamiche decisionali dalle quali è stata esclusa per troppo tempo. Nel corso della campagna elettorale, molte persone che avevano inizialmente dichiarato di boicottare sono tornate sui loro passi perché hanno capito che mi sto assumendo le responsabilità di partecipare alle complesse dinamiche politiche. Sono pronto, nel caso, a fare un’opposizione responsabile.

Non sto legittimando il ritorno dei militari al potere. Sto legittimando il diritto degli egiziani di partecipare alla vita politica del loro paese e di farlo in maniera democratica per realizzare quegli obiettivi della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Questi possono davvero trasformare l’Egitto.

Durante le parlamentari del 2011, il suo partito decise di entrare a far parte del blocco guidato dalla Fratellanza. Che ruolo avranno i Fratelli Musulmani – ora nuovamente clandestini – nel nuovo Egitto che ha in mente?

Mi relaziono con i Fratelli Musulmani come mi relaziono con tutti gli altri egiziani. Quando loro sono stati repressi e incarcerati ingiustamente, io li ho difesi. Quando all’indomani del 25 gennaio, anche loro hanno deciso di partecipare alla rivoluzione li abbiamo accolti a braccia aperte. Quando hanno deciso di prendere parte al gioco politico egiziano, non solo noi, ma tutti gli altri partiti hanno accettato questa novità. È quindi iniziata la normale competizione politica. Io ho sfidato Mohammed Mursi (il presidente islamista deposto il 3 luglio scorso, ndr )alle presidenziali del 2012. Quando mi ha offerto la carica di vicepresidente ho rifiutato, preferendo stare all’opposizione per dare suggerimenti. Mursi però non li ha mai ascoltati. Impossessandosi del potere è diventato sempre più autoritario. Per questo abbiamo creato il Fronte di salvezza nazionale (un’alleanza di partiti di varia estrazione unita dalla comune opposizione al potere islamista di Mursi e del suo governo, ndr)per sfidarlo. Io sono stato tra coloro che hanno chiesto agli egiziani di scendere in strada il 30 giugno 2013 per iniziare una nuova rivoluzione indispensabile per realizzare gli obiettivi della rivolta del 2011.

Quanto è sostenibile la stabilità di un Egitto nei cui giochi politici non sono inclusi i Fratelli Musulmani?

I Fratelli Musulmani hanno perso legittimità politica. Non solo non hanno sostegno popolare, ma è la loro idea di democrazia ad aver perso credibilità. Hanno mostrato di voler realizzare una democrazia in grado di garantire i loro interessi, non di proteggere quelli dell’intera società. Quando il popolo egiziano è sceso in strada per chiedere l’uscita di scena di Mursi, la Fratellanza ha incitato i suoi alla resistenza violenta. Per questo penso che la decisione di bandirla nuovamente sia stata giusta. Non possiamo accettare partiti che fanno della violenza un’arma della battaglia politica.

In futuro però, qualora la Fratellanza si impegnasse a rispettare le regole che governano la competizione democratica, accettando dinamiche pacifiche, io sarei pronto a darle gli stessi diritti garantiti agli altri egiziani. La Costituzione del 2014 vieta la formazione di partiti su base religiosa, ma qualora diventassi presidente, gli orientamenti islamisti pacifici non saranno ritenuti problematici.

La vittoria di Sisi mostrerà il trionfo dell’esercito, la più forte e stabile istituzione egiziana. Qual è l’ingrediente che manca al suo paese per trasformarsi in un regime civile?

Per completare il percorso, la rivoluzione deve andare al potere con i suoi valori e i suoi obbiettivi. Fino a quando questo non accadrà, in Egitto non ci saranno le condizioni per la creazione di uno stato civile, trasparente e democratico che accetta il ruolo di una società civile attiva.

Questo articolo è stato pubblicato anche su
AffarInternazionali

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