Elezioni nel Maghreb, malinconia in Egitto
Federica Zoja 25 September 2007

Il Cairo, Egitto

Ma che cosa ha frenato davvero l’ascesa del Partito della giustizia e dello sviluppo? Risponde Diaa Raswan, politologo del Centro studi politici e strategici Al-Ahram del Cairo (Acpss), esperto di movimenti radicalisti e Fratellanza musulmana (Fm): “Non credo che la questione sia ‘che cosa non ha convinto gli elettori marocchini’, ma piuttosto che cosa ci aspettavamo tutti noi osservatori. Infatti, non dobbiamo dimenticare che in Marocco gli islamisti sono cresciuti rispetto allo scrutinio precedente e che ora sono al 2° posto in Parlamento”. Si pensava a un risultato ‘esplosivo’, “ma io vedo che con passo stabile, senza recessioni, quel partito avanza, anche se con velocità diversa rispetto a quelli di altri paesi – spiega Rashwan ampliando il campo di osservazione – Ovunque, nei paesi musulmani, in situazioni di multipartitismo i movimenti islamici sono destinati ad ottenere forti maggioranze in Parlamento. Perché la loro esperienza del tessuto sociale supera nettamente quella degli altri”.

Anche la Fratellanza musulmana egiziana ha una diffusione capillare sul territorio, vanta membri in tutti gli strati della società ed è il movimento di opposizione al regime di Hosni Mubarak più forte e organizzato. “Quello egiziano però è un sistema mono-partitico – riferisce il politologo – in cui il Partito nazionale democratico (Ndp) ha il controllo assoluto delle istituzioni, compreso il Comitato che autorizza la nascita di nuove formazioni politiche. E le nuove leggi vanno in quella direzione”.
Fra gli articoli della Costituzione egiziana rivisti dal Parlamento in primavera, quello numero 5 è stato modificato in modo da bandire tutti i partiti che hanno un fondamento religioso. Un provvedimento chiaramente destinato a sbarrare la strada una volta per tutte agli Ikhwan muslimin (Fratelli musulmani), già comunque banditi in Egitto dal 1954.

Ecco quindi che gli 88 seggi vinti dalla Fm alle elezioni parlamentari del 2005 sono ufficialmente attribuiti a deputati indipendenti e che gli altri partiti di opposizione, insieme, raggiungono appena il 2% dei seggi. L’Ndp monopolizza più del 75% dell’Assemblea popolare, composta da 454 parlamentari. “Finché l’Ndp sarà al potere non cambierà nulla, la Fm non diventerà legale e i piccoli come Tagammu (Partito unionista), Wafd (Delegazione), Ghad (Domani) rimarranno deboli”, prevede Diaa Rashwan. Radicalmente diversa la situazione politica in Marocco, dove “ci sono molti partiti, forti e di lunga tradizione, e la competizione è effettiva”. Fino ad ora, forme di alleanza fra le diverse anime dell’opposizione egiziana “non hanno funzionato”, come il Fronte nazionale costituitosi nel 2005, cui gli Ikhwan hanno aderito, ma all’ultimo minuto. Rashwan non crede però che la Fratellanza possa optare, in caso di incerta successione al presidente Mubarak, per il ricorso alle armi.

In proposito, Frédéric Vairel, ricercatore del Centro di studi e documentazione economica, giuridica e sociale del Cairo (Cédéj), appena rientrato dal Marocco, è dello stesso parere: “Sul piano pratico – spiega a Reset – per almeno trent’anni i Fratelli musulmani non hanno fatto ricorso alla violenza, dunque le persone che ne fanno parte sono cambiate. E anche il reclutamento dei membri è cambiato. Non ci si rivolge certo alle stesse persone per proporre un ‘colpo grosso’ oppure piccole manifestazioni all’università e la candidatura alle elezioni”. Il 10 dicembre del 2006, però, un episodio ha messo in allarme l’opinione pubblica: al termine della preghiera del venerdì presso la moschea universitaria di Al Azhar, insieme ai soliti manifestanti anti-Occidente e anti-regime, hanno marciato anche giovani mascherati e in uniforme, a suggerire l’esistenza di un gruppo paramilitare vicino ai Fratelli musulmani.

Commenta Vairel, impegnato nello studio comparativo dei movimenti sociali in Marocco e Egitto: “Ci sono state oscillazioni all’interno della confraternita sulla riorganizzazione del movimento dopo quello che è successo. La difficoltà ora consiste nel capire se, quando ci sono così tanti militanti, si riesce ad occuparli e controllarli, mostrando loro che la causa avanza, oppure possono sfuggire. Può essere che (quell’episodio) sia stato permesso dall’organizzazione stessa per dare ai giovani l’impressione che sono importanti e che hanno un ruolo nella confraternita. Ma potrebbe essere anche un fallimento strategico della stessa, un calcolo sbagliato dei rischi e della reazione del regime”. In Marocco, gli islamisti hanno abbandonato da tempo qualsiasi proposito rivoluzionario, compiendo una lunga trasformazione in seno alla società: “I quadri del Pjd, a partire dalla metà degli anni ’80, hanno teorizzato l’abbandono dell’azione rivoluzionaria – sottolinea il ricercatore del Cédéj – Un percorso non violento, di riavvicinamento al Parlamento e alla politica quotidiana. Il tutto accompagnato da revisioni dottrinarie, cioè ogni nuova tappa politica si accompagna a un riferimento esegetico. Si tratta di gente che vuole entrare in politica perché ciò corrisponde anche a una loro esigenza sociale: medici, avvocati, imprenditori, professori universitari, la cui ascesa professionale passa attraverso l’ingresso in politica”.

E se i Fratelli musulmani vantano una presenza capillare sul territorio e la vicinanza alle fasce sociali più deboli, gli islamisti marocchini hanno “una ‘clientela proveniente dalla piccola e media borghesia, gente alfabetizzata che ha un rapporto con la religione diverso rispetto a quello delle campagne. Sono piccoli intellettuali locali”, interessati a un processo di riforma della religione.
“Quello che bisogna notare è che nelle bidonvilles marocchine, stigmatizzate come riserve di kamikaze, il Pjd, come gli altri partiti, non ha pubblico – evidenzia Vairel – Le baraccopoli quindi sono abbandonate dallo Stato e dai partiti”. Il Pjd è comunque il primo partito marocchino: “In termini di numero di voti, ma non in termini di seggi. Questo è il risultato della divisione del paese in circoscrizioni, studiata dal ministero degli Interni con cura. L’ingegneria elettorale ha una lunga tradizione in Marocco, fin dalle prime elezioni dopo l’indipendenza (dalla Francia, nel marzo del 1956, ndr)”.

Si intuisce che la soglia concepita ‘dall’ingegnere elettorale’ è intorno al 20% massimo, in modo che nessun partito sia in grado di “appoggiarsi sulla gente, facendo a meno della monarchia”. E se in Egitto l’Ndp e la presidenza sono fratelli siamesi, “il re marocchino, con la scusa del pluralismo, ha fatto la scelta di non avere nessun partito troppo vicino. Questo permette di creare uno schermo, di avere persone che gestiscono gli affari pubblici ma se sbagliano non è colpa del Palazzo”. In sintesi, il predominio del re è immutabile: i numerosi progetti di pianificazione danno ai sudditi l’idea che sia il re ad agire e che la Camera non abbia alcuna utilità. Ed ecco spiegato l’astensionismo. “La differenza (rispetto al passato, ndr) è che quest’anno abbiamo a che fare con un tasso di astensione reale – riferisce Frédéric Vairel – Il ministero degli Interni non è andato a raccogliere la gente con gli autobus affinché votasse, alcuni candidati l’hanno fatto”.

Inferiore anche la compravendita di voti. Infine, a convincere gli elettori a stare a casa “la carta elettorale spezzettata in 33 partiti diversi, con una proposta islamista triplice” e quindi frammentata. “Spenta” la campagna elettorale, “poco seguita” perché tenutasi in piena estate. Nel frattempo, gli islamisti egiziani attraversano uno dei momenti più aspri della loro storia: “Il quotidiano della Fratellanza musulmana è comunque da sempre sotto pressione – ricorda il professor Vairel – con il ricorso continuo alla clandestinità per il finanziamento. Detto questo, è vero che dall’inizio dell’anno i Fratelli sono diventati ancor di più l’obiettivo della repressione del governo. Questa volta sono colpiti con intensità e in alto, vengono arrestati anche i pezzi grossi dell’organizzazione e deferiti alla corte marziale”. E’ possibile che “i servizi di sicurezza abbiano scoperto che i Fratelli, dopo il successo alle elezioni del 2005, stiano reclutando più militanti che in passato e che il regime sia inquieto per questo. Da parte americana, intanto, questo genere di arresti non provoca nessuna reazione. Ma può anche essere una modalità del regime di preparare la successione, per evitare che, quando questa avverrà, l’organizzazione sia troppo forte”, ipotizza il ricercatore.

Scarsi i legami riscontrati dallo studioso del Cédéj fra movimenti marocchini e egiziani: “In Marocco, l’islamizzazione politica ha una dimensione più endogena, anche se questo non le ha impedito di nutrirsi delle correnti ideologiche provenienti proprio dall’Egitto, cioè il pensiero di Hassan El Banna o Sayyid Qutb. Ma in Marocco storicamente non ci sono Fratelli musulmani, anche se spesso a torto vengono chiamati così gli islamisti marocchini”. Per entrambi però potrebbe essere alle porte la prova del nove, quella che determinerà se di veri partiti di governo si tratta, pronti ad attuare programmi economici e sociali. O solo di abili predicatori, capaci di adattarsi ad ogni clima politico.

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