“Le diaspore non sono ghetti, sono ponti che uniscono”
Vartan Gregorian, presidente della Carnegie Corporation, con Daniele Castellani Perelli 21 February 2007

“Qualunque sia la lingua che cominci a leggere, quella lingua ti domina consciamente o inconsciamente. Ho letto in armeno la letteratura asiatica, armena e russa”, ci spiega in questa intervista, e aggiunge che essere armeno ancora influenza i suoi valori, che sono “sopravvivenza, i valori trascendentali della religione, del linguaggio e della consapevolezza”. Vartan Gregorian è stato rettore della Brown University. È membro di numerosi consigli direttivi e ha ricevuto molte onorificenze tra cui la National Humanities Medal (1998) e la Medal of Freedom (2004). E’ anche membro del comitato scientifico di Reset DoC.

Lei ha vissuto e lavorato in Iran, Libano, Afghanistan, Stati Uniti, ovunque. Come si definirebbe? Armeno, armeno-americano, irano-armeno-americano?

Mi sento un cittadino del mondo. Ho lasciato la mia terra a quattordici anni. Ero già meticcio allora, perché dovetti frequentare una scuola russo-armena, poi una turca, poi ancora una iraniana fino ai quattordici-quindici anni. Infine me ne andai in Libano, in una scuola francese. L’identità appartiene a ciò a cui vuoi appartenere tu. E così io sono un armeno per nascita, un americano per cittadinanza, e dal punto di vista culturale mi definirei come prevalentemente influenzato dalla letteratura armeno-asiatica, da quella russa, da quella francese e inglese, e infine dalle traduzioni italiane. Le spiego perché: il monastero di San Lazzaro del XVII secolo, a Venezia, vanta le traduzioni armene dei più grandi classici italiani, francesi, tedeschi e inglesi, e così molti dei classici li lessi in armeno, pubblicati a Venezia. Può vedere quanto sia complessa la mia vita.

Cosa la fa sentire ancora armeno, dopo così tanti anni che ha lasciato la sua terra?

Sento di esser io stesso minoranza, nel senso che do molta importanza alle minoranze, e come appartenente alla minoranza cristiana in Medio Oriente non mi sento a disagio: è una cosa che rafforza la tua identità, che tu lo voglia o no. Se vieni trattato come un armeno, e cioè non come un membro della maggioranza, allora il tuo ruolo è quello di una minoranza. Inoltre, qualunque sia la lingua che cominci a leggere, quella lingua ti domina consciamente o inconsciamente. Ho letto in armeno la letteratura asiatica, armena e russa.

Lei associa anche a dei valori, a un certo modo di pensare, l’essere armeni?

Assolutamente sì. A questi valori: sopravvivenza, i valori trascendentali della religione, del linguaggio e della consapevolezza. La religione classica armena è officiata in tutte le chiese sin dal lontano quinto secolo. Gli armeni accolsero il Cristianesimo come prima religione di Stato undici anni prima dell’Editto di Milano dell’Imperatore Costantino. Poi c’è l’alfabeto. Prima del 102 inventarono un loro proprio alfabeto, che è ancora usato. Nel 412 tradussero la Bibbia in armeno. Quindi la religione è parte della loro nazionalità, e, sebbene non abbia delle credenze teologiche, anch’io sono influenzato in vario modo da questa specie di contesto spirituale.

C’è una grande differenza, o persino una rivalità, tra gli armeni turchi, quelli iraniani e quelli che risiedono in Armenia?

No, è la stessa cosa che succedeva una volta tra gli ebrei. Gli ebrei dell’Europa dell’Est sono ortodossi, e siccome non parlavano bene il tedesco venivano guardati in modo diverso dagli ebrei dell’Europa occidentale. Quando non hai un paese, come succedeva agli armeni, ogni regione ti impone le sue proprie regole. Quando arrivai in America nel 1956 inizialmente non capivo l’armeno parlato dagli armeno-americani, perché avevano 40-50 dialetti. I dialetti vanno bene, ma quando ne hai così tanti allora la parola scritta diventa fondamentale.

Ho letto una sua bella intervista, in cui descrive la sua affascinante biografia. Ha detto: “Le diaspore non sono ghetti, sono ponti che uniscono comunità più ampie”.

E’ così, soprattutto in America, dove la mobilità è sia all’interno delle classi sia all’esterno, nelle terre, nella cultura, attraverso le religioni. Anche se non parli l’inglese puoi andare tranquillamente al Queens o a Brooklyn, perché saprai comunque come comprarti qualcosa da mangiare, dove trovare una sinagoga, un cimitero o la casa di un funerale. E’ possibile anche vivere in un ghetto, ma le diaspore americane hanno portato 400 giornali solo a New York, 400 pubblicazioni in vietnamita, cinese, russo, francese, italiano, ungherese, ceco e così via. Sono cose che collegano non solo gli ebrei, gli italiani, gli armeni di New York, ma anche tutti gli altri frammenti delle diaspore armene, ebraiche, italiane, ceche, polacche, ucraine e russe degli interi Stati Uniti, e attraverso loro collegano anche la Russia, Israele, l’Armenia. Per questo le diaspore sono comunità molto dinamiche, non chiuse in sé. Grazie alle opportunità che offre l’America non ti permette di rinchiuderti in un ghetto.

Crede che, da questo punto di vista, l’Europa sia diversa?

L’Europa è molto diversa. Ho sempre pensato che tutto ciò di cui si aveva bisogno in Francia, per sentirsi parte di quella comunità, fosse la lingua francese. Il francese era il passaporto per l’essere francese, l’inglese era il passaporto per l’essere britannico, ma evidentemente non è più sufficiente, perché la religione, la classe e i tabù culturali stanno emergendo come fattori essenziali. In America, invece, grazie al dinamismo della società, c’è la mobilità geografica, e su tutto domina il concetto delle opportunità individuali. In Europa è tutto più complicato, perché questa mobilità non esiste. La cultura si muove, i prodotti si muovono, ma non credo, per fare un esempio, che centinaia di migliaia di persone di spostino dalla Francia alla Germania o dall’Italia alla Tunisia.

Torniamo all’identità armena. Lei userebbe la parola “genocidio” per le uccisioni di massa perpetrate dall’Impero Ottomano ai danni della popolazione armena?

Sì, lo userei. La parola “genocidio” è stata coniata da Raphael Lemkin proprio per descrivere l’esperienza armena, in quanto in vario modo rappresentava un prototipo per tutti i successivi genocidi. Nel genocidio prima si separano uomini e donne, e poi si selezionano gli uomini più forti, affinché non possano lottare. Poi si confiscano loro le proprietà, e li si costringe a una marcia nel deserto. Tutto ciò mentre c’è la guerra, senza cibo, acqua, medicine. Ricordiamoci, per la storia europea, le atrocità commesse dai tedeschi nei confronti dei belgi, le deportazioni durante la prima guerra mondiale (e il Belgio non era l’Impero Ottomano). Io lo considero un genocidio. Non so perché la Turchia di oggi si rifiuti ancora di riconoscere qualcosa che ha avuto luogo durante l’Impero Ottomano. La responsabilità non fu della Turchia moderna, ma dell’Impero Ottomano.

Cosa pensa della legge francese che vorrebbe punire chi nega il genocidio armeno?

Come armeno sono favorevole, ma come cittadino del mondo sono contrario, perché mi piace la libera discussione, e mi piacerebbe anche vedere una libera discussione in Turchia. Ma se eliminiamo il reato di negazionismo, allora vale anche per chi nega il genocidio, ed è un problema che la Germania, ad esempio, sta affrontando: se elimini il reato di negazionismo puoi finire con il favorire il ritorno dell’estrema destra neonazista. E’ un tema delicato. Come intellettuale che crede fermamente nella libertà di pensiero e di espressione non credo nelle limitazioni, e non ho problemi ad immaginare il giorno in cui il reato di negazionismo non sia più necessario. Gli intellettuali dovrebbero discutere liberamente, purché non si alteri la realtà. Le dirò una cosa di cui in genere si parla poco. Tanti anni fa ho tenuto un discorso sul genocidio armeno alla Cattedrale di St. Patrick, saranno stati 20-25 anni fa. Inizialmente dissi che il genocidio non era mai esistito, e feci arrabbiare un bel po’ il mio pubblico. Dissi che gli ebrei non potevano essere creduti, gli americani e i britannici non potevano essere creduti perché in pieno conflitto non potevano che ricorrere alla propaganda. Continuai con la lista: gli italiani non potevano essere creduti, i francesi nemmeno, e così tutte le fonti che venivano dai paesi che avevano combattuto contro l’Impero Ottomano, ad eccezione degli americani. Facciamo che si sbagliavano tutti. Ma ditemi: perché i ministri, i comandanti e i generali tedeschi e austro-ungarici (che erano alleati dell’Impero Ottomano) inviavano dispacci al Cancelliere tedesco e austriaco in cui raccontavano questi assassinii?

Crede che lo Stato turco, che aveva condannato il giornalista turco-armeno Hrant Dink per offesa alla “turchità”, sia in qualche modo corresponsabile del suo omicidio?

Credo sia pericoloso creare un clima in cui il nazionalismo abbia la meglio sul liberalismo. La Turchia ha una grande tradizione umanistica, ma ai nazionalisti è concesso di dominare tutto, creando così un’atmosfera che a mio parere è completamente non necessaria. Non mi pare che ci siano paesi che nel mondo abbiano leggi che impediscono la critica della russità o dell’italianità. Non succedeva nemmeno nell’Unione Sovietica, dove non si poteva criticare il partito. Non so neanche cosa significhino quelle espressioni, sinceramente.

Recentemente il governatore di Isfahan Morteza Bakhtiari ha affermato: “La pacifica coesistenza di musulmani e armeno-cristiani nella città di Isfahan, fondata su tutto ciò che le loro religioni hanno in comune, può rappresentare un esempio per il mondo”. E’ d’accordo?

Iraniani e armeni si conoscono a fondo, visto che convivono da più di duemiladuecento anni. Non siamo certo estranei gli uni agli altri. Sin dal 17esimo secolo in Iran, sotto l’impero safavide, gli armeni sono cittadini modello (ne ho scritto nel mio saggio sugli armeni di Isfahan). Contribuirono al fiorire del commercio e allo stesso tempo fornirono classi di professionisti per l’Iran. Sebbene non fossero uguali ai musulmani, erano una minoranza protetta, e l’Iran ha permesso loro di conservare la propria lingua e la propria religione. Ricordiamoci anche che le genti di Isfahan furono prese da Julfa, vicino al confine tra Armenia e Iran settentrionale, e poi deportate fino a Isfahan perché il nuovo signore, Shah Abbas, aveva distrutto tutta la loro città affinché nessuno vi facesse più ritorno. Per questo motivo, in qualche modo non c’era una casa a cui tornare ma allo stesso tempo fecero di Isfahan la propria casa. Sappiamo come cristiani e musulmani possano coesistere. Non abbiamo mai mangiato pubblicamente durante il Ramadan, ci siamo sempre rispettati tra di noi, ma è anche vero che ci sono stati tempi in cui gli armeni erano discriminati. Agli armeni è permesso praticare la propria religione, ma tuttavia siamo solo un’insignificante minoranza. Saremo anche un modello, ma siamo solo un’insignificante minoranza.

Secondo dei siti armeni, l’amministrazione Bush avrebbe in mente una drastica riduzione negli aiuti regolari verso gli armeni, e ciò avrebbe provocato le forti critiche delle lobby e delle organizzazioni armeno-americane. Ci sono ragioni geopolitiche dietro questa scelta?

Sinceramente non ho letto di questa proposta. Gli Stati Uniti sono stati molto generosi verso gli armeni, e oggi l’Armenia è in una posizione molto difficile. I suoi confini sono stati chiusi dalla Turchia e non sono stati riconosciuti de jure. I due paesi non hanno relazioni diplomatiche. Anche i suoi confini con l’Azerbaijan sono bloccati e la pipeline del Caspio è stata deliberatamente progettata per bypassare l’Armenia, che non ha combustibili. L’Armenia deve affidarsi a reattori nucleari di scarsa qualità, secondo me pericolosi, perché si trovano in zone sismiche e andrebbero quindi tolti di mezzo. Inoltre per i combustibili deve affidarsi alla Russia e all’Iran, e su tutto ciò che viene dalla Georgia, il che, visti i rapporti tra Russia e Georgia, le crea molti problemi. E’ un paese in qualche modo alla mercè di tutti,e l’aiuto americano e quello di altri paesi servirebbe a stabilizzare la regione. Al Congresso americano ci sono oggi 170 parlamentari che hanno sponsorizzato la risoluzione sul genocidio, e la presidente della Camera Nancy Pelosi ha annunciato che la farà votare. Forse quella proposta, di cui non ho però letto, serve a tranquillizzare la Turchia che gli Stati Uniti sono dalla parte dell’Armenia, o forse serve a correggere un errore aritmetico nel bilancio per l’Iraq.

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x