E l’Egitto non sa più per cosa tifare
Federica Zoja 4 December 2007

Il Cairo, Egitto

Ottimismo misurato, delusione, pessimismo. Nel dopo-Annapolis le reazioni della stampa egiziana alla conferenza tenutasi nel Maryland si tingono di ogni sfumatura, nell’attesa di poter valutare, dopo l’avvio dei negoziati, le modalità concrete con cui la diplomazia statunitense intende impegnarsi per ravvivare il processo di pace arabo-israeliano nel corso del 2008. E nella confusione di interminabili editoriali, fanno capolino teoremi Iran-centrici. La televisione di Stato egiziana ha seguito con attenzione lo svolgimento della conferenza di Annapolis, con interventi in studio e collegamenti dal Maryland che ne hanno evidenziato il valore storico. Ottimiste, seppur con moderazione, le emittenti si sono fatte portavoce della linea politica presidenziale. Allineate anche le testate giornalistiche quotidiane filo-governative, in particolare Al Gomhuria (La Repubblica), che ha più volte utilizzato l’espressione “nuova speranza di pace” per il Medio Oriente.

Al Ahram (Le Piramidi), invece, ne ha sminuito gli esiti, titolando il 29 novembre “Annapolis: Israele scarta la possibilità di giungere a un accordo con i palestinesi il prossimo anno”. L’editoriale di Morsi Attallah affonda il coltello nella piaga, accusando gli Stati Uniti di “non conoscenza del Medio Oriente e della sua storia”, a suo giudizio ragione principale del fallimento della conferenza e di qualsiasi piano americano nell’area. E Al Akhbar (Le notizie), quasi a rassicurare i lettori anti-israeliani, ha optato per “Annapolis: gli arabi confermano che non normalizzeranno le loro relazioni con Israele prima di un ritiro totale”. Insomma, c’è tutta la voce del presidente Hosni Mubarak nelle pagine delle tre testate, e l’ambigua politica estera egiziana: da una parte ‘tirata per la giacca’ dagli Stati Uniti e da Israele, con cui ha siglato un trattato di pace nel 1979, e dall’altra dai paesi della Lega e dalla propria opinione pubblica, ancora in larga parte convinta che il cessate le armi sia stato un tradimento verso la nazione araba. In termini di risultato portato a casa dall’Egitto, sui giornali governativi spiccano le parole del ministro degli Esteri Ahmed Aboul Gheit, che attribuisce al Cairo il merito di aver convinto Siria e Libano ad intervenire ad Annapolis. Ironico e tagliente Al Masri El Youm (L’egiziano oggi), che sopra alla foto del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, colto mentre si infila gli occhiali da vista, ha titolato: “Dov’è la road map?”.

Quanto alle motivazioni che avrebbero spinto l’amministrazione del presidente George W. Bush a riprendere in mano il dossier israelo-palestinese, all’unanimità i media egiziani hanno diagnosticato un tentativo estremo di salvare la faccia, prima che la storia archivi i due mandati Bush come una catastrofe. Il paragone più frequente è con Camp David II, conferenza organizzata da Bill Clinton al termine del proprio incarico e rivelatasi un insuccesso. Il quotidiano indipendente Al Badil (L’alternativa) ha esaminato l’affaire Annapolis dal punto di vista della Lega Araba, chiedendosi il perché della partecipazione dei paesi membri. La conferenza, infatti, ha lasciato “tutte le loro piaghe aperte: il Libano senza presidente, il Sudan che rischia di esplodere, il Nord dell’Iraq minacciato da un’invasione turca e la Palestina, in particolare Gaza, in uno stato terribile”. Per Al Masri El Youm, con l’editorialista Magdi Mehanna, Damasco esce perdente dall’incontro, perché presentatasi all’appuntamento solo per evitare nuove accuse, ma senza effettiva capacità negoziale. Di parere esattamente opposto il settimanale Ahram Weekly. Nettamente pessimisti gli indipendenti Al Karama (La dignità) e Al Wafd (La delegazione), convinti che ad Annapolis sia stata gettata via la ‘road map’ e che Israele abbia ottenuto il riconoscimento della Lega Araba.

Il settimanale Ahram Weekly, poi, riportando i commenti di opinionisti ed esperti politologi, avanza l’ipotesi che Annapolis sia servita a preparare un attacco militare americano contro l’Iran, come già riferito a ResetDoc da Amr Al Shobaki, politologo del Centro studi politici e strategici Al-Ahram del Cairo (Acpss), intervistato alla vigilia dell’incontro: “Non sono molto ottimista – aveva dichiarato lo studioso – non mi sembra ci sia la pressione internazionale sufficiente su Israele. Secondo me si tratta di un’operazione di facciata per giustificare di fronte all’opinione pubblica un’eventuale decisione americana di intervenire in Iran”. Secondo il settimanale in lingua inglese, nel Maryland si sarebbe creato un fronte anti-Iran, non un fronte per la pace. La stessa tesi formulata dal quotidiano americano New York Times e da quello israeliano Haaretz il 28 novembre. Entrambi prospettano una spaccatura fra Islam sunnita moderato filo-americano, facente capo all’Arabia Saudita, e uno estremista sunnita e sciita, guidato dall’Iran.

Poi, dal processo di pace in Medio Oriente si passa alla politica nazionale egiziana. La stampa di opposizione avanza l’ipotesi di un prossimo viaggio del presidente Hosni Mubarak, 79enne, a Gerusalemme per spianare la strada al figlio Gamal, dato per successore ‘al trono’. In passato, secondo El Arabi, Mubarak avrebbe rifiutato la proposta americana di un premio Nobel per la pace in cambio del viaggio in Israele. A 30 anni dalla visita di Anwar El Sadat, Mubarak non si è mai recato nel paese confinante, se non per il funerale di Yasser Arafat. Infine, tutti i mezzi di comunicazione egiziani, compresi i blog più significativi, hanno reso conto di proteste spontanee anti-Israele al Cairo e in altre città nei giorni del vertice statunitense: avvocati, medici e studenti – si segnalano universitari in sciopero della fame in vari atenei – avrebbero manifestato, in luoghi e con modalità diverse, a favore della causa palestinese, sempre sotto il controllo delle forze di sicurezza. “Non credo ci saranno risultati – aveva riferito a ResetDoc Amr Al Shobaki – i palestinesi sono divisi all’interno, Gerusalemme e i rifugiati non sono questioni in agenda. Ma potrei essere smentito, ci si prova sempre a cambiare le cose. Annapolis potrebbe essere almeno un piccolo passo in avanti”.

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