Un’occasione per l’Occidente, anche nella crisi
Gianni Del Vecchio 25 November 2008

Ruba le industrie e i posti di lavoro in Europa e Stati Uniti, fa aumentare la disoccupazione, è stata la causa dell’aumento del prezzo del petrolio e del grano, sottrae poco a poco fette di benessere all’Occidente declinante. E, non paga, ormai primeggia anche nelle discipline sportive. La Cina spesso è questo nell’immaginario collettivo dell’opinione pubblica alle due sponde dell’Atlantico. Grazie anche alle strumentalizzazioni elettorali della politica, che spesso ha lucrato sulla paura dell’“invasione gialla” per fare il pieno nelle urne (in Italia gli strali dell’asse Lega-Tremonti ne sono un perfetto esempio). E invece non è così, o almeno è solo una piccola parte della verità, eccezion fatta per il versante sportivo dove il medagliere olimpico non ammette dubbi. Basta poco, due-tre semplici considerazioni economiche, per dimostrare che la Cina è anche una risorsa per l’Occidente. Lo è stata negli ultimi cinque anni e a maggior ragione lo sarà nei prossimi cinque.

Cominciamo dal futuro. Paradossalmente, per le economie occidentali la vera manna è l’arrivo della crisi a Pechino. La chiusura, qualche settimana fa, di Smart Union Group, uno dei maggiori produttori di giocattoli d’Oriente, è stato il segnale, quasi come la caduta di Lehman Brothers per il sistema finanziario americano. E infatti i dati economici diffusi in questi giorni confermano la frenata: la produzione industriale di quella che ormai è “la fabbrica del mondo” rallenta, è ai minimi da 7 anni; le esportazioni a ottobre fanno segnare il passo, in calo di otto punti rispetto alla crescita di luglio; e di conseguenza il pil ne risente, visto che nel terzo trimestre del 2008 è cresciuto “solo” del 9 per cento, rispetto al più 12 per cento dell’anno precedente. Si tratta di tassi di crescita che Europa e Stati Uniti si sognano, ma nonostante ciò il governo cinese è prontamente intervenuto per sostenere l’economia reale. Con un piano imponente: 586 miliardi di dollari di spesa pubblica, rivolti a sostenere i consumi, aiutare le piccole e medie imprese, costruire opere pubbliche e aiutare le esportazioni.

E proprio questo maxi-stimolo alla domanda interna è la grande occasione per le economie occidentali. Le imprese europee e americane potranno partecipare ai mega-appalti pubblici, così come devono cominciare a considerare il mercato cinese come uno sbocco per i propri prodotti. “Nei prossimi anni dovrebbe accadere, anche se in modo differente, quello che è successo nei primi anni 2000 – spiega Stefano Chiarlone, autore del libro “L’economia della Cina. Dalla pianificazione al mercato” (Carocci) nonché economista nell’ufficio Research and Strategy di Unicredit – Assisteremo a parecchie imprese europee che costruiranno strade, ponti e ferrovie in Cina. Dal ’98 al 2003 Pechino è cresciuta anche grazie alla spinta degli investimenti pubblici, a tutto vantaggio di imprese straniere specializzate nel settore degli investimenti. Anche l’Italia peraltro ha esportato macchinari industriali con un discreto successo”. Non bisogna poi dimenticare come un eventuale ulteriore aumento del reddito pro-capite, soprattutto nei grandi centri come Pechino o Shanghai, potrebbe spingere a consumi più sofisticati e ad alto valore aggiunto, come ad esempio prodotti di lusso e tecnologici. E anche in questo caso le imprese dell’Occidente non hanno che da guadagnarci.

Passando dal futuro al recente passato, il risultato non cambia. Negli ultimi cinque anni l’invasione dei prodotti cinesi ha fatto più bene che male alle nostre economie. “Almeno fino a metà 2007 le merci cinesi di largo consumo, come le t-shirt o i giocattoli, hanno contribuito in parte a tenere bassa l’inflazione in Europa – sottolinea Chiarlone –. L’altra faccia della medaglia è che hanno costretto quelle imprese poco specializzate e a basso valore aggiunto a reinventarsi, pena la scomparsa”. E’ questo sicuramente il caso italiano: anche grazie a questa spinta, la classica industria tessile è passata dal produrre vestiti di media-bassa qualità a prodotti migliori e più costosi. E così tutte quelle altre aziende che hanno ristrutturato con successo. Lo dimostra il dato sulle esportazioni italiane: nei settori tradizionali si è lungamente notata una forbice fra l’andamento dell’export in valore, in aumento, e quello in quantità, costante o in diminuzione. In altri termini, l’Italia esporta meno ma meglio. Questo però conferma uno dei luoghi comuni sulla Cina, e cioè che la sua comparsa ha comunque provocato una diminuzione dei posti di lavoro in Occidente: “Ma la vera domanda che dobbiamo porci è un’altra: quelle aziende che sono scomparse per la concorrenza cinese avrebbero vissuto a lungo senza il fattore Pechino? Credo che alla fine un processo di ristrutturazione sarebbe avvenuto comunque, magari più tardi e in misura minore, ma sarebbe avvenuto lo stesso”.

Ma davvero è tutto oro quello che viene dal Dragone? Ci sono aspetti negativi dell’avvento cinese sui mercati internazionali degli ultimi dieci anni? “Principalmente il fatto che la Cina è parzialmente corresponsabile assieme agli Stati Uniti della bolla finanziaria, che è scoppiata questa estate e che ora sta facendo sentire i suoi effetti sull’economia reale”, osserva Chiarlone. A grandi linee il circolo vizioso che s’è prodotto è questo: Pechino ha tenuto in questi anni lo yuan molto debole, il che ha portato al grosso boom delle esportazioni; il grosso avanzo della bilancia commerciale ha portato nella casse cinesi una grande liquidità, investita acquistando una quantità elevata di titoli di stato degli Stati Uniti. In altri termini gli americani si sono indebitati con i cinesi per comprare le loro merci. Ma in questo modo la Cina ha contribuito a tenere bassi i tassi d’interesse negli Usa e quindi ha favorito l’eccesso di liquidità che ha innescato il vortice della finanza creativa e dei mutui subprime. Quindi la crisi è nata in parte anche a Pechino. Ma, ironia della sorte, sempre a Pechino può cominciare la riscossa, sempre che il piano di stimolo della domanda interna del governo cinese propaghi gli effetti benefici anche in Europa e negli Usa. Mai come ora la Cina è vicina.

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