Cosa sta succedendo in Arabia Saudita?
Liisa Liimatainen 2 September 2013

L’Islam nacque nella Penisola Arabica nel 622, mentre il Regno dell’Arabia Saudita fu creato 1310 anni dopo. L’“idea” dell’Arabia Saudita ha origine alla fine del XVIII secolo, dall’alleanza tra un capo tribù di nome Mohammad Ibn Saud e un predicatore Mohammad Ibn Abd Al Wahhab. L’obiettivo dei due, e successivamente dei loro discendenti, fu di conquistare la Penisola Arabica e crearvi uno Stato islamico dove si potesse seguire l’unica corretta interpretazione dell’Islam, quella del wahabismo. A loro parere, nei secoli, gli abitanti della Penisola Arabica erano si già allontanati dal ‘vero’ Islam. Ma la fondazione di uno stato stabile saudita riuscì solo nel ventesimo secolo e al terzo tentativo: è il Regno dell’Arabia Saudita e, ancora oggi, ritiene di essere lo Stato che promuove l’unico vero Islam. Infatti, l’Arabia Saudita di oggi, ancora guidata dalla dinastia Al-Saud, insieme al clero che la sostiene, continua a imporre ai propri cittadini una vita che rispetti le rigide regole di un’interpretazione estremamente dogmatica dell’Islam.

Benché esistano dei chiari segni di cambiamento, sia nel campo dell’interpretazione dell’Islam che nel pensiero in generale, nell’insieme il governo dell’Arabia Saudita mette ancora ai margini coloro che cercano di farsi promotori di interpretazioni e dottrine riformatrici. Succede spesso che tali riformatori – che si tratti di intellettuali, blogger o scrittori, alcuni dei quali hanno semplicemente scritto delle lettere al re chiedendo l’avvio di riforme – vengano arrestati e incarcerati. È questo il modo in cui il governo interviene nella vita del Paese nel tentativo evidente di impedirne l’evoluzione verso lo Stato di diritto e verso una società in cui vigano diritti civili. Eppure, anche in Arabia Saudita non si possono non notare alcuni segni sempre più evidenti del fatto che una notevole parte dei cittadini sembra non essere più disposta a obbedire.

Nel mio libro Un’altra faccia dell’Arabia Saudita: donne coraggiose e cyber-gioventù, pubblicato in lingua finlandese, ho voluto immergermi nel profondo della vita e dei cambiamenti in atto in questo grande Paese, dando la parola a decine di cittadini dell’Arabia Saudita che ho incontrato personalmente e che operano in vari settori della società. Il libro è suddiviso in quattro sezioni che trattano i seguenti argomenti: le donne, i giovani, la Provincia Orientale – dove vive la minoranza sciita del Paese e dove è localizzabile la principale fonte della ricchezza dell’Arabia Sauditra, il petrolio – le questioni politiche. Ogni sezione è introdotta da un’intervista a una persona “chiave”. Si tratta di personaggi che, in un modo o nell’altro, sono rappresentativi delle rispettive sezioni del libro. Dopo aver presentato ognuno di questi personaggi, illustro quali sono i principali problemi nei settori della società ai quali essi appartengono. Successivamente, per completare la “diagnosi” della situazione in cui versa ogni settore sociale al quale mi sono interessata, le interviste si estendono anche ad altre persone. Attraverso questi racconti in prima persona, spero che chi legge possa avvicinarsi gradualmente ai problemi reali dell’Arabia Saudita e cominciare a trarne un bilancio.

Lo spazio più ampio nel mio libro è dedicato alle donne, perché a mio avviso in questo momento sono la più grande e importante forza di cambiamento dell’Arabia Saudita. La prima e più lunga sezione del libro parla dei loro problemi, delle loro attività e dei loro pensieri. Per lo più, le donne che ho incontrato sono attiviste della società civile, ma una parte di loro svolge una vera e propria funzione di “bulldozer” che apre nuove strade all’interno del sistema.

La maggior parte delle mie interlocutrici possiede una formazione universitaria. Intervistare donne comuni in Arabia Saudita è molto più difficile. Se la barriera linguistica può essere superata con l’aiuto di un interprete, in alcuni casi la barriera culturale è molto più difficile da abbattere. Molte donne di ceto inferiore escono poco di casa. Anche il loro Mahram, ossia il loro parente di sesso maschile che svolge nei loro confronti una funzione di “guardiano”, spesso non approva che la moglie, la madre, la figlia o la sorella venga intervistata. Tuttavia, sono riuscita a parlare anche con qualche donna ‘comune’, soprattutto nelle zone più sviluppate, cioè nella Provincia Orientale e nella citta di Gedda, dove il mondo del lavoro ha già accolto numerose donne. A Riyad le uniche eccezioni sono state le prime commesse che ho trovato in una profumeria di un centro commerciale e che hanno scelto di parlare con me.

Già da molti anni, molte donne saudite rivendicano pari opportunità e uguaglianza con gli uomini. La prima campagna da loro intrapresa per rivendicare il diritto di guidare un’automobile risale all’inizio degli anni ’90. Oggi le donne chiedono di poter lavorare e uscire di casa senza essere sorvegliate un maschio di famiglia. Il potere del Mahram (padre, fratello, marito o figlio) sancisce la mancanza di indipendenza giuridica della donna saudita. Infatti, il cambiamento della posizione giuridica della donna è senza dubbio la riforma più importante che riguarda le condizioni delle donne in Arabia Saudita.

Diverse donne tra le più anziane presenti nella prima più ampia sezione del mio libro hanno partecipato alla campagna per il diritto alla guida degli anni ’90. Alcune di loro persero il lavoro, ma nonostante ciò non si sono arrese. Ora ci sono tantissime giovani che insieme alle veterane cercano di cambiare le condizioni della donna saudita. Come tante della loro generazione, le giovani donne comunicano molto attraverso i social media. Oggi tra gli utenti sauditi di internet, più del 50 percento ha un account Twitter. In questo l’Arabia Saudita ha superato tutti gli altri paesi del mondo, tanto che qualcuno comincia a parlare addirittura di una rivoluzione attraverso Twitter.

La posizione delle donne è in continua trasformazione. In molte università, il numero delle studentesse ammonta già al 60 percento. Nel mondo del lavoro le donne sono ancora poche, ma spesso rappresentano una parte molto attiva e pronta a combattere per la propria carriera, un aspetto apprezzato anche dai datori di lavoro del settore privato. Le donne stanno conquistando molti nuovi settori del mercato del lavoro, nei quali hanno ora il permesso di lavorare: ma la disoccupazione, la povertà e la penuria di alloggi influiscono molto sulla vita di moltissime di loro. E benché – anche nei ceti sociali più bassi – la povertà diffusa e soprattutto la mancanza di diritti sembrino cominciare a stimolare le reazioni di qualcuno, sono ancora milioni le donne che in Arabia Saudita accettano di vivere in condizioni di piena sottomissione.

Il libro, in secondo luogo, dà la parola ai giovani, che rappresentano i due terzi della popolazione del Paese. Molti di loro sono tormentati da problemi sociali simili a quelli delle donne. Infatti, una parte dei giovani istruiti – inclusi coloro che non vengono toccati da questi problemi economici più gravi – agiscono per contrastare quello che percepiscono come un elevato grado di ingiustizia della loro società. Lavorano per i diritti dei cittadini, per il diritto alla partecipazione politica e per la libertà di espressione. Ed è proprio di queste questioni che i giovani sauditi discutono intensamente soprattutto nei social media.

Questa gioventù consapevole delle ingiustizie sociali, una “bomba a orologeria” che dal 2011 ha finito per travolgere numerose società del Medio Oriente, nel lungo periodo rappresenta senza dubbio una concreta minaccia anche per l’attuale assetto politico e sociale dell’Arabia Saudita. Il governo del Paese ha investito ingenti somme di denaro nell’istruzione e inviato decine di migliaia di giovani a studiare all’estero, ma il sistema nazionale, molto tradizionalista, fa sì che spesso i giovani non riescano a trovare lavoro.

Oltre ai numerosi problemi legati alla condizione delle donne, in Arabia Saudita esiste anche un enorme problema “uomo”: spesso, infatti, sono proprio gli uomini a frenare il cambiamento, che essi siano lavoratori o disoccupati.

Benché il settore pubblico sia ormai sovraccarico, molti uomini sauditi desiderano un impiego comodo nella pubblica amministrazione con orari di lavoro molto ridotti. Tanti non accettano un lavoro nel settore dei servizi, benché questo offra migliori possibilità di impiego. Il settore dei servizi è occupato da nove milioni di stranieri, ma il governo comincia a rendersi conto dell’insostenibilità di questa situazione, in cui molti sauditi vivono esclusivamente dei proventi del petrolio. È per questo che il governo vorrebbe ridurre la manodopera straniera, benché il settore privato preferisca tuttora assumere lavoratori stranieri, meno cari e più facilmente licenziabili.

Nonostante tutto ciò, i giovani costituiscono una forza altamente trasformatrice all’interno della società. Non solo sono spesso più attenti alle condizioni disastrose in cui versa il loro Paese in molti settori, ma l’intensità con cui si aggiornano attraverso internet e i social media permette loro di fare dei paragoni tra le proprie condizioni e quelle dei Paesi vicini interessati da uno sviluppo socio-politico spesso più rapido. Molti di loro cominciano a percepire come troppo rigide anche le norme che regolano l’incontro tra i due sessi e in genere la vita, benché la maggior parte di loro non si spinga fino a mettere in discussione l’Islam. La gioventù orientata al cambiamento è infatti convinta che il problema non stia nell’Islam, ma in quelle interpretazioni che si basano su culture ancora intensamente tribali e patriarcali.

La terza sezione del libro parla della Provincia Orientale, ossia della zona che si affaccia sulle coste del Golfo Persico. Se da una parte l’industria petrolifera di questa provincia è la fonte della ricchezza dell’intera Arabia Saudita, nello stesso tempo è anche il territorio in cui vive la maggior parte dei musulmani sciiti – di per sé una minoranza – presenti nel Paese. In questa sezione del libro i rappresentanti di questa minoranza raccontano le discriminazioni che devono subire e come queste hanno plasmato la coscienza politica dei giovani di questa regione. La “guerra fredda” tra l’Arabia Saudita e l’Iran, acuitasi soprattutto negli ultimi anni, è all’origine di una crescente diffidenza da parte della maggioranza sunnita nei confronti della minoranza sciita, a volte sospettata e spesso accusata di agire per conto dell’Iran. Inoltre, il clero radicale salafita – appartenente anch’esso alla maggioranza sunnita – ha da sempre alimentato un clima di odio nei confronti degli sciiti, clima che si riverbera anche nei giudizi e nelle politiche promosse da una parte della dinastia reale.

Il profondo conflitto politico e sociale tra sunniti e sciiti che attraversa da tempo anche il Regno del Bahrein – di un arcipelago che si staglia proprio di fronte alla costa della Provincia Orientale dell’Arabia Saudita – ha contribuito alla radicalizzazione di una parte della popolazione sciita della Provincia Orientale. La maggioranza sciita del Bahrein rivendica democrazia già da molto tempo, ma le rivoluzioni che hanno scosso gli altri paesi arabi hanno acutizzato un conflitto che dura fin dall’indipendenza del Bahrain ottenuto nel 1971. Negli anni, il lungo conflitto interno del Bahrein ha visto anche l’interferenza delle truppe dell’Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo Persico, motivo per il quale anche gli sciiti dell’Arabia Saudita si sono mobilitati. Le rivolte dei Paesi arabi hanno alimentato le speranze di quella parte della società saudita che punta a riformare l’Arabia Saudita. Nella Provincia Orientale le proteste hanno causato numerosi scontri tra i giovani e la polizia. In due anni, in questi scontri sono morte 17 persone (dato del marzo 2013).

La società petrolifera Aramco ha partecipato alla creazione delle ricchezze petrolifere della Provincia Orientale, ma il modello sociale da essa istituito ha suscitato una vasta risonanza anche oltre i confini dell’industria petrolifera. L’Aramco ha insegnato alla popolazione della Provincia Orientale a rispettare puntualmente gli orari di lavoro e a operare con efficienza. Infatti, da molti punti di vista, la Provincia Orientale rappresenta – insieme all’Hegiaz sulla costa del Mar Rosso – la parte più sviluppata della società saudita. Le due popolazioni costiere sono abituate a vivere in culture aperte che conoscono le differenze. Infatti, l’insofferenza delle province costiere verso l’immobilità della capitale da tempo non fa che aumentare.

L’ultima sezione del libro è dedicata alla politica. L’operato degli attivisti per i diritti umani e civili cresce e diventa sempre più significativo. Tra di loro ci sono sia liberali che islamisti, ma finora non ci sono stati segni di lavoro in comune tra le due tendenze, benché ambedue comincino a capire che presto dovranno collaborare, soprattutto adesso che la società saudita sembra risvegliarsi. Un alto funzionario dell’amministrazione statale ha descritto il cambiamento avvenuto in due anni (dalla primavera del 2011 alla primavera del 2013) in questo modo: “Prima la popolazione aveva paura del governo, ora il governo ha paura della popolazione. A parere di tanti che riflettono sul futuro del loro Paese, l’Arabia Saudita dovrà intraprendere un cammino di grandi riforme nei prossimi 5-10 anni oppure ci sarà il rischio di una rivoluzione”.

Gli anni a venire in Arabia Saudita saranno interessanti. E gli avvenimenti interni dell’Arabia Saudita toccheranno tutti noi. È il più influente Paese a livello mondiale per quanto riguarda la politica petrolifera e un forte alleato dell’Occidente. Gli alleati occidentali dell’Arabia Saudita hanno già ritenuto per decenni che uno dei requisiti fondamentali dell’economia mondiale è la stabilità dell’Arabia Saudita. Le rivolte nei Paesi arabi hanno già dimostrato quanto sia fragile quel tipo di stabilità sociale che non rispetta le esigenze della popolazione. Questo è un insegnamento che il governo dell’Arabia Saudita non ha ancora accettato. Ciò potrebbe anche essere un errore tragico.

Il più conosciuto attivista del Paese per i diritti politici, Mohammad Fahad Al-Qahtani, condannato nel marzo 2013 a dieci anni di carcere, mi disse già nel 2011 che il governo dell’Arabia Saudita dovrebbe affrettarsi fare delle riforme, finché godrà ancora del sostegno della maggioranza della popolazione. Dopo sarà troppo tardi, perché l’attivismo civile è aumentato enormemente e chiaramente preoccupa il governo del Paese. Proprio per questo il titolo originale del mio progetto sull’Arabia Saudita era Una tempesta si alza nel deserto e potrebbe ancora dimostrarsi di grande attualità.

Nel libro interviene soprattutto la parte più colta della società saudita. Nel regno della vasta monarchia petrolifera ci sono ancora milioni di sauditi che credono che sia il loro Paese a seguire nel migliore dei modi le regole del vero Islam. Gran parte dei cittadini dell’Arabia Saudita non mettono in discussione il modus governandi deglla Casa Reale degli Al-Saud, e molti ritengono giusto che il governo compri il favore della popolazione con i soldi del petrolio, anziché la cominciare realmente a riformare il sistema scolastico del Paese, la sua cultura, la sua economia e le sue strutture politiche. Una società basata sui diritti civili è ancora del tutto sconosciuta a moltissimi sauditi, ed è per questo la maggior parte della popolazione si accontenta delle concessioni sempre più misere che cadono dall’alto. Ma è ormai evidente che, prima o poi, l’incessante aumento del tasso di povertà che colpisce ampi strati della popolazione risulterà preoccupante anche agli occhi della maggioranza, finora silenziosa.

Per decenni l’Arabia Saudita ha utilizzato i suoi petrodollari per esercitare, in vari modi, la propria influenza sulle comunità musulmane e sulle interpretazioni dell’Islam di altri Paesi. Ma da qualche anno a questa parte milioni di musulmani del mondo hanno cominciato ad avere più fiducia nella propria capacità di interpretare l’Islam in modo tale che esso corrisponda alle esigenze delle persone del mondo d’oggi e affinché, come le altre religioni, l’Islam possa vivere all’interno della storia e dei cambiamenti. Proprio per questo motivo, de le forze sociali che ribollono all’Arabia Saudita di oggi cominceranno realmente a cambiare il proprio Paese, è indubbio che questo avrà delle forti ripercussioni anche sulla vita del restante miliardo e mezzo di musulmani del mondo.

È importante che un pubblico interessato a ciò che avviene nel mondo abbia anche un’immagine più definita dell’Arabia Saudita di oggi. Altrettanto vale per il mondo imprenditoriale, per il quale al giorno d’oggi l’Arabia Saudita rappresenta una meta di grandi e redditizi investimenti. La cooperazione, finora soprattutto economica e industriale, tra l’Unione europea e il Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico (CCG) sembra cominci ad estendersi anche alla politica. Proprio in questo contesto noi europei dovremmo ricordare che nella Penisola del Golfo Persico vivono anche cittadini consapevoli e non solo fedeli sudditi degli Al-Saud e del clero conservatore.

Le rivolte in Tunisia e in Egitto sono esempi di sorprese che a cui ci troviamo ad assistere quando formiamo le nostre opinioni e i nostri senza fare caso alle tendenze che emergono nelle società stesse, ma solo in base al “mainstream” e alle versioni ufficiali (e spesso legate al potere) di ciò che realmente accade in ogni paese. Il mio lungo lavoro da giornalista mi ha insegnato questo: le società dei paesi lontani da noi sono state dimenticate quasi del tutto, e non solo dal giornalismo, ma anche dalla ricerca degli analisti politici internazionali. Le rivoluzioni arabe sono servite come un avvertimento del fatto che le società possono risvegliarsi anche dopo lunghi periodi di “apnea”. Non possiamo cullarci nell’idea di avere un Medio Oriente stabile alla cui base c’è il soffocamento della vita sociale e politica.

Per questo il mio libro vuole essere un omaggio ai cittadini dell’Arabia Saudita, a coloro che trovano il coraggio di pensare, organizzarsi e operare nel loro Paese nonostante vi corrano il rischio di finire in carcere e addirittura di subire una condanna a morte e, con poche eccezioni, più che in qualsiasi altro Paese del mondo.

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