Servono notizie degne di fiducia
Otto Schily 16 July 2008

Questo testo è il discorso tenuto dall’autore alla Conferenza internazionale di Doha, organizzata in Qatar da Reset Dialogues on Civilizations il 26 febbraio 2008.

Credo nella non violenza, perché la violenza è la controparte del dialogo. A volte, gli psicologi dicono che se si diventa violenti, vengono a mancare la possibilità e la capacità di parlare all’altro e ascoltarlo. Perciò se vogliamo migliorare, in politica dobbiamo cercare e adottare strategie non violente. D’altro canto, i rapporti tra mezzi di comunicazione e politica sono delicati, a volte ritengo addirittura che non dovrebbero essere così stretti. In base alla mia esperienza di ministro degli Interni, ruolo che ho ricoperto in Germania per sette anni, posso affermare che noi politici siamo, allo stesso tempo, produttori e consumatori di notizie. In quanto consumatori, dobbiamo fare affidamento su come le informazioni vengono presentate e pubblicate dai media e, sebbene siamo assistiti da esperti, a volte i media sono molto più veloci delle nostre indagini. In altre occasioni, dipendiamo dai mezzi di comunicazione, ed è un altro pericolo. Altre volte ancora vogliamo influenzarli e, infine, ne veniamo sfruttati. Si è discusso molto della complessità del reale e del mondo nel suo insieme, ma quando viene chiesto a un politico di spiegare il conflitto mediorientale in sessanta secondi è chiaro che è molto difficile dare una risposta esauriente.

Perciò come può un uomo politico utilizzare questo tipo di strumenti, con i loro limiti di spazio e tempo e la loro velocità? Non dovremmo, poi, concentrarci solo sulla televisione, perché i mezzi di comunicazione sono qualcosa di più: ci sono la stampa, internet, la radio. A volte le persone sostengono che sia molto meglio ascoltare che vedere, perché si ricavano impressioni più precise. Ciò che si guarda non resta impresso nella mente, quanto piuttosto nelle emozioni. Quando partecipo a un talk show, capita che qualche amico si congratuli dicendomi che ho fatto davvero un bel lavoro, eppure ogni qual volta chiedo cosa abbia apprezzato di più la risposta è: «Oh, beh, non saprei; ma sei stato molto bravo». Il che significa che quello che è stato importante non è il cosa io abbia detto ma il come: come mi sono comportato, come mi sono mosso, come mi sono presentato.
La complessità del reale è un problema di per sé. Il grande filosofo tedesco Hegel diceva che «il vero è l’intero». Significa che se si ha a disposizione solo una parte della verità, della realtà, non si conosce la varietà di cui essa consiste. E qui c’è forse un dilemma da risolvere. Come mettiamo insieme il mosaico di percezioni e visioni diverse? È questo il problema del dialogo e il quesito a cui i politici devono cercare una risposta.

Un aspetto che va preso in seria considerazione è che, entro certi limiti, esiste una pre-fabbricazione dei fatti da parte dei media: come selezionano le immagini, come scelgono il primo messaggio da trasmettere, la notizia da mettere in prima pagina o con cui aprire il telegiornale. Esistono, in altre, parole, una selezione, un pre-giudizio che non si possono evitare. In secondo luogo, non si avranno mai dei mezzi di comunicazione privi di tendenze. In Germania, per esempio, il servizio pubblico radiotelevisivo è molto buono, così come la tv regionale, ma ha una sua tendenza e, a volte, diventa noioso perché deve rispettare i regolamenti interni che impongono l’equilibrio. Tuttavia è sempre meglio essere noiosi che fuorvianti. In una società libera, la libertà di stampa è una delle basi della democrazia. Ma la complessità del reale è un dato di fatto con cui occorre fare i conti. Credo che bisognerebbe iniziare a educare la gente ai media, inserendo lo studio dei mezzi di comunicazione nei curricula scolastici e universitari. Dobbiamo fare sì che il pubblico sia in grado di trattare direttamente i media, giudicarli, comprendendone i meccanismi. È questo – penso – uno dei problemi chiave, perché un’educazione di questo tipo influenzerebbe gli stessi mezzi di comunicazione.

L’immagine dice di più che le parole? Sì, è così. Occorre ripeterlo ancora e di nuovo. Ma forse l’immagine ha più cose da dire alle nostre emozioni che alla nostra mente. Perciò serve una maggiore responsabilità quando si trattano notizie con le immagini più che con le parole, perché queste ultime sono più facili da correggere. È vero che i media vengono utilizzati come armi, ma c’è da dire anche che, nella situazione attuale, ci troviamo di fronte a una nuova forma di guerra dove si combatte per vincere i cuori e le menti delle persone. Non sono un seguace di Carl Schmitt che sosteneva che la politica consiste nella definizione del nemico. Ma credo che ci fosse una qualche verità nelle sue affermazioni: perché definiamo ciò che vogliamo, di cui siamo alla ricerca, i nostri scopi. Credo nella diversità che è un’eredità europea e mediterranea. Allo stesso tempo, sono convinto che non dovremmo dimenticare il fatto che, aldilà delle diversità, esistono valori universali come il rispetto per la vita e la dignità di ogni essere umano. Anche quando esiste una commistione tra politica e religione ed emergono alcune incomprensioni, proprio perché le religioni sostengono verità assolute, non dobbiamo smettere di discutere. Rispetto significa tenere in alta considerazione l’opinione altrui senza smettere di confrontarsi. Tutti noi dovremmo impegnarci attivamente nel dialogo, magari anche attraverso scambi che possano portare i politici, i giornalisti, gli economisti a conoscere le prospettive dei loro omologhi in altri contesti. Magari chissà, un giorno avremo un nuovo sistema radiotelevisivo capace di combinare le diverse visioni e prospettive, migliorando così in maniera determinante il dialogo tra culture.

Otto Schily è un avvocato e politico tedesco. Dall’ottobre 1998 al novembre 2005, ha ricoperto l’incarico di ministro degli Interni nel governo presieduto da Gerhard Schröder.

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