“Noi, l’unica tv europea in lingua araba”
Maria Amata Garito, direttrice di Uninettuno, con Daniele Castellani Perelli 10 January 2007

“Abbiamo scoperto un mondo arabo sorprendente, avanzato tecnologicamente e aperto alla modernità”, racconta la professoressa Garito, che critica l’immagine che le tv occidentali offrono di quei paesi, apprezza il progetto di France 24 e aggiunge: “Sarebbe bello fare una tv del Mediterraneo, araba e europea, che parta dall’Italia e che venga concepita per far conoscere tra loro le varie realtà. Il lancio del canale in inglese di Al Jazeera è la dimostrazione del fatto che gli arabi, più degli italiani, si stanno ponendo il problema della comunicazione all’interno di un mondo globale”.

Qual è l’impegno di Uninettuno nel Mediterraneo, soprattutto nel rapporto con i paesi arabi?

Uninettuno ha preso con sé l’eredità del Consorzio Nettuno, con il quale avevamo lanciato l’Università euro-mediterranea a distanza, finanziata dalla Commissione europea. Alla fine di quel progetto i governi dei paesi coinvolti ci hanno chiesto di andare avanti, e così abbiamo creato delle collaborazioni con i paesi della sponda sud del Mediterraneo sia dal punto di vista governativo sia da quello accademico. In due casi emblematici come l’Egitto e il Marocco la nostra collaborazione ha già prodotto frutti concreti, andando oltre la firma di programmi di intesa. In Egitto ad esempio abbiamo un accordo con la Helwan University, che ha creato un polo tecnologico avanzatissimo, molto più avanzato di quanto potessimo pensare. La sede della Helwan, attraverso antenne satellitari trasmittenti e riceventi, è collegata direttamente alla sede di Uninettuno a Roma, e così abbiamo già studenti egiziani che si iscrivono alla nostra Università telematica attraverso il loro ateneo statale. Insieme abbiamo creato dei percorsi attraverso i quali i ragazzi egiziani possono ottenere dei titoli di studio riconosciuti sia in Italia, sia in Europa, sia in Egitto stesso. E’ la prima volta nel mondo che un’università a distanza di un altro paese, fatta per televisione e internet, entra in un paese del mondo arabo, portando la propria cultura e i propri contenuti. Tutto ciò si è già concretizzato per quanto riguarda le facoltà di ingegneria, ma insieme stiamo progettando corsi anche per le facoltà di economia, diritto, psicologia e beni culturali. Abbiamo una rete che collega ben 31 università del Mediterraneo, di 11 paesi diversi, dalla Siria al Marocco, attraverso internet e tv satellitare. Inoltre questi paesi ci chiedono ora di portare avanti dei progetti di qualificazione e riqualificazione professionale a quei mestieri che sono legati all’innovazione tecnologica: un compito fondamentale, peraltro, nel formare una generazione di immigrati professionalmente qualificati, decisivi anche per il mercato del lavoro italiano.

Questo per quanto riguarda i vostri rapporti con le Università. Ma il vostro canale satellitare riesce a raggiungere anche la gente comune, nel mondo arabo?

Grazie al nostro progetto di collaborazione con le università abbiamo realizzato un corso di laurea di ingegneria che trasmettiamo via satellite in varie lingue (arabo, italiano, inglese e francese) attraverso la nostra rete televisiva, RaiNettunoSat1. Sono corsi fatti dai loro migliori professori, che però nel curriculum dovevano avere già avuto esperienze di formazione o di insegnamento negli Stati Uniti o in Europa. Si tratta quindi dei loro migliori docenti, che sono rientrati nel loro paese e che hanno accettato i nostri contenuti e i nostri piani di studio, magari aggiungendo anche qualcosa di loro, perché in materie come la matematica sono fantastici, sono più avanti di noi.

Quindi aiutate a reimportare i cervelli arabi nei paesi arabi…

In qualche modo sì, anche facilitati dagli incentivi che alcuni paesi, per rilanciare le proprie Università, hanno previsto per chi torna a insegnare in patria. Le nostre reti comunque sono seguite anche da cittadini arabi comuni. Non esistendo un altro canale europeo che parli in arabo, noi siamo l’unica rete europea a farlo. E siccome basta una parabola per vederci, dalle lettere che ci arrivano scopriamo che siamo seguiti anche nel deserto, sotto le tende. Nel mondo arabo ci sono parabole satellitari dappertutto, e questo dimostra la loro straordinaria voglia di comunicare con il mondo esterno. Da quest’anno progettiamo inoltre di insegnare a leggere e scrivere in arabo a persone totalmente analfabeti, preparandoci così a usare la televisione come è stato fatto in Italia negli anni ’50. Il valore più importante del nostro lavoro è quello di trasferire attraverso canali televisivi dei contenuti culturali e formativi, dar loro uno strumento con cui sviluppare conoscenza delle nostre culture e delle nostre università: una conoscenza che a volte è più corretta di quella che ci si fa del nostro paese attraverso le nostre tv generaliste, che comunicano l’immagine di un paese dal benessere straordinario, da raggiungere anche a costo della vita.

A questo proposito, come giudica l’impegno delle tv satellitari italiane che aspirano a dialogare con il mondo arabo?

Assolutamente insufficiente. Per i paesi del mondo arabo la televisione è oggi il canale di comunicazione e di conoscenza più importante, e noi occidentali dobbiamo stare più attenti, perché il mondo arabo ci conosce soprattutto attraverso le immagini che vede sulle nostre tv generaliste, immagini che sono falsate. E quando sulle nostre tv si parla di mondo arabo, si parla sempre di guerra, soprusi, mancanza di libertà. Non si riesce mai a vedere l’aspetto positivo delle loro realtà, si vedono solo gli aspetti negativi (che eppure ci sono).

Cosa potrebbe fare l’Italia perché mondo arabo e occidente si conoscano meglio?

L’Italia, se posso permettermi, dovrebbe fare due cose. La prima è far conoscere agli italiani il mondo arabo, perché non possono bastare i soliti dibattiti fatti sempre dalle solite persone che parlano sempre delle stesse cose. I media italiani devono andare a riprendere quella realtà, ottenendo la loro fiducia attraverso l’obiettività. Se io, nel mio piccolo, ho avuto successo nel mondo arabo con il mio progetto, è stato solo perché ho cercato di spogliarmi dei miei giudizi e pregiudizi, del mio bagagli personale di interpretazione della loro realtà, e perché poi ho cercato di guardare di nuovo la loro realtà, scoprendo un mondo che non mi sarei mai aspettata. Così ho potuto scoprire che le Università stanno rifiorendo, dall’Egitto alla Giordania al Marocco. Che buona parte dei professori universitari di quei paesi, quelli che hanno tra i 40 e i 50 anni, si sono formati all’estero, in America o in Europa, e stanno tutti rientrando con entusiasmo, con l’intenzione di rilanciare la scienza, la cultura, lo sviluppo. Vanno a lavorare in campus incredibili, assolutamente innovativi, ma sulle nostre tv non li vediamo mai. C’è la città della scienza della Tunisia, c’è la villette tecnologica dell’Egitto, ci sono dei concentrati di sviluppo della tecnologia che non abbiamo nemmeno noi in Italia.

E la seconda cosa che dovrebbe fare l’Italia?

L’Italia ha un grande vantaggio rispetto agli altri paesi, ma sembra che non se ne accorga. I professori italiani che gravitano attorno a Uninettuno sono riusciti a farsi accettare dai governi dei paesi arabi, e così le nostre Università, senza alcuna forzatura, sono già lì, e possono diventare un punto d’appoggio per l’intero sistema italiano. Grazie al modello di Uninettuno, inoltre, l’Italia sta comunicando non solo con l’elite del mondo arabo, con le Università. Chi si iscrive può prendere un titolo universitario, ma grazie a una parabola chiunque, anche la persona più ignorante o più povera può seguire i nostri corsi: le lezioni dei migliori professori arabi a casa loro, o nelle loro tende (ci sono ragazzi che lavorano nel deserto, nelle aziende petrolifere, e ci guardano con la parabola). Se ci fosse la presa di coscienza che questi progetti vengono accettati non solo dalle elite, ma anche dalle popolazioni arabe, allora con più finanziamenti si potrebbe far avanzare il nostro progetto: far conoscere la cultura italiana al mondo arabo, e aiutare lo sviluppo della cultura araba attraverso trasmissioni nella loro lingua.

Che effetto le fa sapere che la Francia ha appena lanciato un canale per il mondo arabo, France 24? In fondo la Francia non è vista molto meglio dell’Italia, in certi paesi del mondo arabo. Basti pensare che su una frontiera così delicata come quella libanese ci sono più soldati italiani che francesi…

Mi dispiace mettere in evidenza queste cose, ma la Francia sta puntando molto più dell’Italia sui paesi arabi, sia a livello universitario sia a livello industriale (per inciso voglio aggiungere che nemmeno 4 mesi fa i francesi hanno chiesto, all’interno di una comunicazione tra governi, di poter avere anche loro Uninettuno). France 24 oggi è in francese e in inglese, ma stanno cercando di farla anche in arabo, e questo è l’esempio chiaro che si sono posti il problema della competizione globale. Io non posso che pensare bene di chi si pone il problema della comunicazione globale. E’ un errore continuare a fare dei canali come Rai 1, Rai 2 e Rai 3, pensando che vengano visti solo a livello nazionale o locale.

Ma è realizzabile il progetto di una televisione satellitare italiana generalista in lingua araba?

Assolutamente sì. L’obiettivo dovrebbe essere una tv multilingue: in arabo, italiano, inglese e francese. Parlare in arabo è importante per comunicare col mondo arabo. Sarebbe bello fare una tv del Mediterraneo, araba e europea, che parta dall’Italia e che venga concepita per far conoscere tra loro le varie realtà, in tutti i loro aspetti. E l’aspetto culturale è quello principale, visto che una tv di questo tipo non può che rivolgersi ai giovani del Mediterraneo, che sono la generazione del futuro.

Cosa pensa del lancio del canale in inglese di Al Jazeera?

Ho apprezzato tantissimo questo loro progetto di farsi conoscere dal mondo attraverso l’uso di altre lingue. Al Jazeera è il grande fenomeno televisivo del momento, anzitutto perché sta seguendo un modo moderno e nuovo di fare tv. Nessuno se l’aspettava, e invece questo canale arabo sta offrendo un linguaggio, dei colori, una grafica moderna. Questo dovrebbe far pensare alle differenze di budget. Se io volessi fare le cose che fa Al Jazeera, avrei bisogno di professionisti molto valutati. E comunque devo dire che il mondo arabo possiede professionisti di grande qualità: noi stessi abbiamo da poco preso una regista egiziana, e ho fatto di tutto per portarla con noi, perché sono più preparati di noi all’uso delle nuove tecnologie. Basta vedere la grafica dei siti delle università e dei giornali arabi, come Al Ahram.

E dire che molti giornali arabi hanno una parte cospicua tradotta in inglese, molto più dei siti dei giornali italiani…

E’ vero, anche se a volte sono delle traduzioni di scarso livello. Però il senso lo si capisce, e ciò dimostra che si sono posti il problema della comunicazione globale. In questo noi italiani siamo ancora molto provinciali. Quanti siti italiani sono tradotti in 4-5 lingue? Noi facciamo quello che possiamo, e il nostro portale è tradotto in 4 lingue (presto sarà anche in spagnolo). Neanche gli americani hanno siti tradotti in arabo. Gli arabi, più degli italiani, si stanno ponendo il problema della comunicazione all’interno di un mondo globale.

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