La Turchia nei Balcani
Matteo Tacconi 19 June 2012

Le soap, però, sono solo una delle tante variabili di un’ambiziosa strategia politico-economica, ribattezzata “neo-ottomana”. È il chiodo fisso del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu e consiste nell’allargare il raggio d’azione del proprio paese alla vecchia area imperiale – Golfo, Medio Oriente a appunto Balcani – facendo leva sull’appetibilità del “modello turco”, sintesi equilibrata tra Islam, democrazia, libero mercato e modernità.

Sarebbe però limitativo pensare che Davutoglu, nell’oltre Adriatico, intenda sviluppare la trama puntando soprattutto sul portato del passato. Infatti non è così. In questi ultimi anni la Turchia ha investito molto nei Balcani. Economicamente, innanzitutto. Con la Bulgaria sono stati siglati due importantissimi accordi. Uno finalizzato a creare una griglia energetica (gas), l’altro a connettere Sofia e Istanbul con un treno rapido, veloce e moderno. Intese di peso anche con la Macedonia e il Kosovo. I privati turchi costruiranno un’autostrada che collegherà la capitale kosovara, Pristina, a quella macedone, Skopje. In quest’ultima gli investitori turchi hanno vinto l’appalto relativo a una strada sotterranea, dove il traffico che assassina la città macedone verrà convogliato. Non finisce qui. L’interscambio con la Serbia cresce a ritmi vertiginosi e nel 2010, rispetto all’anno precedente, l’aumento è stato addirittura del 110%. Un ruolo importante ce l’hanno anche le banche, con Ziirat (secondo istituto turco in termini di capitalizzazione) e Halk a trainare il gruppo.

Rilevante anche l’attività diplomatica. La Turchia che ha messo a segno un punto assai prestigioso quando, mediando tra Bosnia e Serbia, ha portato i due paesi a siglare la dichiarazione di Istanbul dell’aprile 2010. L’intesa ha sancito la ripresa di attività diplomatiche di alto profilo, ponendo fine a una fase contraddistinta da freddezza diplomatica e rilanciando dialogo e cooperazione. La dichiarazione di Istanbul è stata l’operazione diplomatica più pesante e visibile, ma non l’unica. Costante, ad esempio, è l’appoggio all’ingresso della Macedonia nella Nato, frenato dal veto greco, a causa della lunga vertenza con la Grecia sul nome da attribuire a livello internazionale alla più meridionale delle ex repubbliche jugoslave (qui un utile riassunto della tenzone).

Insomma, la Turchia sta assicurandosi posizioni importanti nei Balcani. Ma ci si chiede, nonostante questo, se la strategia neo-ottomana possa attecchire nella regione. La risposta sta a cavallo tra il no e il sì. Due i motivi. Il primo è che il modello turco, rispetto a Golfo o Medio Oriente, si adatta in misura minore ai Balcani, dove l’Islam non è omogeneo, ma sparso a macchia di leopardo. Questo limita l’azione di Ankara. La riprova sta nel fatto che investimenti e progetti patrocinati dalla Turchia vengono accolti a braccia aperte, ma ci sono quasi sempre mugugni nel momento in cui riaffiorano le diffidenze del passato o le differenze culturali. Il caso emblematico è quello della Bosnia, dove la maggioranza musulmana è favorevolissima alle iniziativa turche, mentre i serbi – secondo gruppo etnico (il terzo è quello croato) – lamentano l’eccessiva ingerenza di Ankara.

La seconda ragione riguarda le relazioni con l’Europa. La penetrazione turca nei Balcani viene vista a Bruxelles, ma anche a Washington, come una sfida competitiva e forse è davvero così. Del resto l’impressione è che la strategia neo-ottomana non abbia tempi e obiettivi prestabiliti, ma segua uno schema pragmatico – dove si può mettere il cappello, lo si mette – e sfrutti il momento di debolezza dell’Ue, affaccendata nella soluzione della crisi economica. In altri termini, la Turchia s’inserisce laddove gli europei congelano l’azione o non riescono a darle la dovuta profondità.

Diversi analisti, tuttavia, vedono negativamente questa competizione tra il soft power europeo e quello turco. Perché così i Balcani restano a metà del guado. Più che sulla competizione bisognerebbe puntare sulla cooperazione e – suggeriva tempo fa il Centre for European Integration Strategies di Ginevra – sarebbe auspicabile, in questo senso, che l’Ue accoppiasse il processo di allargamento ai Balcani con il rilancio dei negoziati sull’accesso della Turchia, ormai stagnanti. Ma su questo bisognerebbe chiedere spiegazioni a Frau Merkel.

Immagine: cc Greenwich Photography

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