Iran, i conservatori e il voto del 2 marzo
Antonella Vicini 1 March 2012

Candidati e partiti in corsa

Su circa 5mila iscritti (5.395) ce l’hanno fatta in 3444. Più di tremila i candidati per 290 seggi in palio. Dati alla mano, sembra che questa volta il Consiglio dei Guardiani, l’organo preposto a valutare l’eleggibilità dei concorrenti alle consultazioni iraniane, abbia tenuto le maglie più larghe. Un filtro, però, era stata già posto a monte grazie a criteri molto rigidi che hanno permesso di presentarsi solo a quelli in possesso, oltre che dei soliti requisiti, di un master o di un attestato di studi teologici equivalente al master universitario. Duecentosessanta fra gli ammessi cercano la rielezione, mentre almeno trenta fra gli esclusi sono attuali membri del Parlamento, cinque dei quali invischiati in una frode fiscale da due miliardi e mezzo di dollari. Tra quelli tagliati fuori pare ci siano molti nomi legati ad Ahmadinejad, tanto che il presidente si è visto costretto a far presentare personalità più giovani, inevitabilmente meno legate al regime e meno note. Ufficialmente, comunque, Ahmadinejad ha dichiarato che non sosterrà nessuno dei candidati. Poco male perché le elezioni politiche in Iran, a differenza delle presidenziali, non puntano sulla personalizzazione del voto; a prevalere sono invece le logiche di partito e di schieramento.

I principali gruppi in gara sono due, non più Conservatori contro Riformisti come di consueto, ma Conservatori contro Conservatori. Un apparente paradosso. Il gruppo più consistente è una grande coalizione guidata dal leader dell’Assemblea degli Esperti, l’ayatollah Mahdavi-Kani, in cui compaiono il presidente del Parlamento Ali Larijani, il sindaco di Teheran e lo stesso presidente Ahmadinejad. Il Fronte Unito, Jebhe Mottahede Osulgerayan per i persiani, non è però così unito come vorrebbe il suo nome, perché sembra che i rapporti fra i principali esponenti vacillino da un po’.

Le rivalità fra presidente e capo del Majles sono esplose più volte negli ultimi mesi e sono culminate in una richiesta del Parlamento di interrogare Ahmadinejad su questioni legate alla gestione economica del Paese. Dall’altro lato, ma sostanzialmente sullo stesso campo, c’è invece il gruppo che fa capo all’ayatollah Mesbah-Yazdi, in cui sono confluiti molti tra ex ministri e ex funzionari presidenziali. Si tratta anche in questo caso di conservatori, riunitisi nel Fronte della Stabilità, (Jebhe Paydari in farsi), che ha assunto posizioni molto dure nei confronti dell’Onda Verde, dei Riformisti e degli stessi “principalisti” del Fronte Unito. Se trionfassero a queste consultazioni il lavoro del presidente nel suo ultimo anno di incarico sarebbe sicuramente più semplice.

Fanno da cornice, poi, altri due schieramenti minori, propaggine della stessa matrice conservatrice: il Fronte della Resistenza, Jebhe Istadegi, vicino al candidato alle presidenziali del 2009 Mohsen Rezaei, ex capo dei Pasdaran, e una nuova formazione che si fa chiamare la Voce del Popolo, (Jebhe sedaye melat).

Al di là dei risultati, certo è che nella prossima Assemblea unicamerale iraniana non saranno presenti i riformisti. Anche se il Ministero dell’Interno ha comunicato che il 14% dei candidati appartiene al gruppo, i grandi di assenti di questa tornata di voto sono proprio loro. Privi di nomi come quelle di Mir Hussein Mousavi e di Mehdi Karroubi, ancora agli arresti domiciliari, e mentre membri meno noti come giornalisti, intellettuali e consiglieri politici sono in carcere o all’estero, hanno preferito rigettare completamente le logiche del gioco.

Gli elettori

Poster, cartelloni e volantini distribuiti agli angoli delle strade. E poi dibattiti e conferenze stampa. Niente confronti televisivi come è avvenuto nell’accesissima campagna elettorale del 2009. Il clima in Iran, a tre anni dalle discusse elezioni presidenziali, è molto più tiepido. E forse anche il coinvolgimento degli elettori.

Sono circa 48 milioni gli iraniani chiamati al rinnovo dell’Assemblea. La campagna elettorale è partita ufficialmente il 23 febbraio e si è conclusa il 1° marzo, ventiquattro ore prima dell’apertura dei seggi. Pena l’esclusione dalla competizione. Alle parlamentari del 2008 partecipò il 55% degli aventi diritto, quest’anno ci si aspetta il 60% delle schede. Previsioni ottimistiche? Rispetto al 2008 e anche al 2009 la situazione del Paese è certamente peggiorata, sia per quel che riguarda la situazione economica, sia per il contesto internazionale. Da un lato le minacce di una guerra possibile con Israele e le pressioni che vengono in questo senso a Barack Obama, impegnato anche lui in una campagna elettorale fondamentale, potrebbero essere un fattore aggregante per la popolazione. Il regime fa leva su questo sentimento patriottico e lo stesso vale per i candidati che nei poster elettorali citano la Guida Suprema, invocando un voto ‘vivo’: “la grandezza della nazione è negli occhi dei nemici”.

Dall’altro lato, però, sulla rete e sui social network si nota una grande disaffezione, soprattutto tra i giovani, quelli più delusi dall’ultimo voto, che invece si esaltano per il trionfo agli Oscar del film “A separation”. C’è chi usando come immagine quella di Neda Agha Soltan (la giovane uccisa nel 2009 durante e manifestazioni) scrive: “io questa volta non voto” o “non ci sono elezioni oneste in Iran”. O ancora, c’è chi ipotizza che “anche i paladini di Ahmadinejad sono stati chiamati al boicottaggio”. Lo stesso boicottaggio che chiedono i sostenitori dell’Onda Verde nella speranza, forse, che la loro assenza così evidente possa diventare un elemento di vantaggio.

La campagna elettorale

Al centro della campagna elettorale in Iran c’è la questione economica, di stringente attualità ancora più della questione nucleare e della disputa con l’Occidente su cui si trovano più o meno tutti d’accordo. Conservatori o riformisti non mettono in dubbio, infatti, il diritto del Paese di dotarsi di tecnologia nucleare, quel che cambia è invece l’approccio diplomatico che rappresentano entrambi i fronti.

L’intensificazione delle sanzioni e la crisi economico-finanziaria internazionale hanno avuto effetto sull’economia del Paese, nonostante i vertici rassicurino sulla propria autarchia e sui legami saldi con altri partner economici. Il costo della vita dall’inizio della presidenza Ahmadinejad è progressivamente aumentato, così come la svalutazione del ryal, la moneta iraniana, anche perché le misure restrittive riguardano le banche.
Nell’ultimo anno e mezzo, il governo si è visto costretto a mettere mano, riducendo o eliminando, parte dei sussidi destinati alla popolazione per l’acquisto della benzina, di energia e di altri beni essenziali.

L’ultimo piano approvato dal Parlamento, e in vigore dal prossimo 20 marzo, prevede ulteriori tagli e l’eliminazione di bonus monetari destinati a circa tre milioni di famiglie. Secondo il Ministero dell’Economia, citato dal Tehran Times, sono 74 milioni gli iraniani che ricevono sussidi statali, cioè quasi il 100 percento della popolazione.

La grande coalizione islamica, che riunisce gran parte dei conservatori, non a caso ha presentato un programma tutto incentrato sulla promozione del welfare, sulla riduzione dell’inflazione e della disoccupazione. Durante la preghiera di venerdì scorso, anche l’ayatollah Ahmad Khatami, membro dell’Assemblea degli Esperti, ha chiesto ai candidati di puntare l’attenzione sui programmi per migliorare le condizioni di vita della popolazione.

I blogger, internet e il black out della rete

Secondo Amnesty International, blogger e giornalisti continuano a essere nel mirino del governo iraniano. In occasione di queste elezioni, le organizzazioni denunciano una nuova ondata di arresti dall’inizio dell’anno, in risposta al provvedimento del Ministro dell’Intelligence, Heydar Moslehi, contro “i sabotatori del processo elettorale”. Moslehi, citato dall’agenzia di stampa iraniana ISNA, ha riferito di numerosi arresti nei confronti di iraniani “in contatto con personalità straniere, attraverso la rete” e impegnati “a realizzare azioni di sabotaggio delle none elezioni parlamentari”.

È dei primi di primi di febbraio, invece, la notizia diffusa dall’agenzia Mehr News dell’arresto di alcuni giornalisti o aspiranti tali che stavano lavorando con il canale della Bbc in farsi. La Bbc Persian e Voice of America sono i due canali satellitari occidentali in persiano che raggiungono milioni di iraniani, soprattutto nella capitale dove, nonostante il divieto, sono molte le parabole che incorniciano i tetti delle palazzine. Il duello a distanza con l’emittente britannica e con quella statunitense è storia vecchia e ha raggiunto il suo apice proprio nel periodo più caldo delle manifestazioni, nel 2009, quando le due reti sono riuscite a dare un’ampia copertura degli eventi di piazza e delle rivendicazioni dei riformisti. Allora il corrispondente britannico Jon Leyne fu espulso, sostituito dopo un periodo di blackout da James Reynolds.

Intanto anche Google, Facebook, Twitter, i principali canali di comunicazione per giovani e attivisti, continuano a subire dei blocchi temporanei. L’ultimo, massiccio, risale a un paio di settimane fa, quando pare che 30 milioni di utenti siano rimasti in silenzio per alcuni giorni. Ma anche in questi giorni si segnalano alcuni problemi. Di solito, in questi casi, task force di volontari rispondono forzando i blocchi attraverso rendering. È una corsa ad ostacoli e un botta e risposta tra hacker, tanto che a inizio anno il ministro dell’Informazione ha ipotizzato la creazione di un sistema informatico nazionale, per bypassare Google e gli altri.

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