Quel deserto insicuro, a due passi dal Darfur
Mohammad Helmi intervistato da Marco Hamam 7 October 2008

È la prima volta che dei turisti vengono rapiti in Egitto?

Certamente no. In passato, si sono verificate numerose aggressioni ai danni di turisti, ma sono state occultate per timore che si sarebbero potuti causare danni al turismo in un paese in cui, lo scorso anno, il settore rappresentava circa il 6,5% del Pil, con circa il 13% della forza lavoro. In passato, i rapimenti si sono conclusi, normalmente, con il pagamento di un riscatto da parte del governo egiziano, e la notizia veniva poi taciuta. In questo caso, come riportava il quotidiano tedesco “Tagesspiegel” giovedì 24 settembre, si sarebbe potuto evitare il rapimento «se un cittadino tedesco non avesse nascosto di esser stato rapito mesi fa, nella stessa regione, da parte di appartenenti all’“Esercito per la liberazione del Sudan” per un periodo di dieci giorni».

Il quotidiano aggiunge che, se il cittadino tedesco avesse denunciato un tale fatto, le agenzie di viaggio avrebbero certamente evitato tour turistici in quella regione. Ma tant’è, quel tedesco aveva evitato di sporgere denuncia per non perdere il volo a causa della inevitabile lentezza delle indagini! A mio avviso, le autorità egiziane erano venute a conoscenza del fatto lo stesso giorno in cui esso si è verificato (venerdì). Tuttavia non hanno diffuso la notizia nella speranza che si potesse arrivare ad un accordo con i rapitori e nel timore che la notizia potesse danneggiare il turismo egiziano. Tant’è che si sono viste costrette ad denunciare il fatto domenica, dopo che la televisione tedesca aveva ormai dato la notizia.

È possibile parlare di una “yemenizzazione” dell’Egitto?

Non credo. La situazione dell’Egitto è completamente diversa rispetto a quella dello Yemen. Da un lato al-Qa‘ida non è presente in Egitto, a differenza dello Yemen, nel quale l’organizzazione ha trovato un ambiente adatto, pronto ad essere sfruttato in termini culturali e organizzativi. Essa ha potuto dirigere una campagna di indottrinamento organizzata a lungo termine, per calamitare i giovani, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, che cresce a ritmi incontenibili. Dall’altro lato, i rapimenti che si verificano in Yemen sono diversi da quelli che hanno luogo in Egitto. Nello Yemen, i rapimenti hanno lo scopo di premere sul governo per costringerlo a soddisfare esigenze particolari di una data tribù, o per lo scarceramento di alcuni dei suoi membri o per altre richieste politiche o economiche. A compierli sono cittadini yemeniti.

In Egitto, invece, oltre al fatto che i responsabili sono stranieri provenienti da paesi vicini (Ciad, Sudan, Libia), i rapimenti hanno uno scopo economico (richiesta di un riscatto) e non politico. Forse i lettori si ricorderanno del rapimento di turisti tedeschi e svizzeri nel sud dell’Algeria per mano di un gruppo salafita nell’agosto del 2003, che finì con il pagamento di un riscatto di 5 milioni di euro. Tuttavia, non è da escludere che alcuni egiziani, a causa delle disastrose condizioni economiche, possano realizzare rapimenti in coordinamento con stranieri provenienti dai paesi vicini. Se ciò dovesse succedere, ci troveremmo di fronte ad uno sviluppo peculiare all’Egitto.

Secondo lei, questo rapimento può indicare che l’Egitto può essere coinvolto in conflitti non suoi?

Il rapimento, avvenuto in aree remote del deserto egiziano, ai confini con il Sudan, mostra che l’Egitto, che è noto per la grande importanza che dà alla sicurezza, può essere vittima di attacchi nelle sue regioni periferiche ed essere coinvolto nelle conseguenze di conflitti in atto al di là del proprio territorio. È proprio ciò che ha affermato Issandr El ‘Amrani, analista di questioni egiziane e nordafricane presso l’International Crisis Group, il quale ha scritto che «quando si è vicino di uno stato fallimentare come il Sudan, non c’è da meravigliarsi che si venga coinvolti». L’area desertica nella quale sono stati rapiti è da considerare un punto debole della sicurezza egiziana, un luogo quasi disabitato, a pochi passi dai conflitti del Darfur nel Sudan occidentale e nel Chad orientale.

Secondo lei, perché le forze di sicurezza egiziane non sono riuscite a proteggere i turisti? Quella zona remota è sotto il controllo del governo del Cairo e dei paesi vicini?

Non si è riusciti a proteggerli per molti motivi. Innanzitutto, come già detto, perché hanno sfruttato una maglia debole della rete della sicurezza del Cairo, seguendo da vicino i movimenti dei turisti. Inoltre, l’area in cui il rapimento è avvenuto dista più di 750 chilometri dal Cairo. Sono aree inadatte ad essere abitate e malgrado la presenza di corpi di guardie dei confini non si può dire che quell’area sia conosciuta palmo per palmo. Non è chiaro, comunque, perché il ministero degli Esteri egiziano e il governo israeliano si siano affrettati a negare la presenza di israeliani tra i rapiti e perché gli apparati di sicurezza nel Sinai settentrionale e meridionale abbiano dichiarato lo stato di allerta: sono stati rafforzati i controlli in tutti posti in cui si trovavano israeliani (villaggi turistici, alberghi ecc.) e sono stati istituiti posti di blocco che hanno passato al metal detector tutti coloro che erano in transito o villeggiavano nelle riserve naturali o nei villaggi turistici. Qualcuno si chiede anche perché quella regione sia stata oggetto di visita da parte dall’ambasciatrice americana presso lo stato egiziano proprio pochi giorni prima del rapimento, senza che lei avesse in alcun modo informato le autorità egiziane.

E in futuro? Quest’evento influenzerà negativamente i flussi turistici diretti all’Egitto? L’Egitto è sicuro?

È probabile che l’Egitto, che è attento all’industria del turismo, cercherà di evitare che simili eventi si ripropongano. Forse verrà proibito il transito di stranieri in aree instabili, così come fece il governo negli anni Novanta. L’industria del turismo in Egitto ha avuto a che fare con situazioni peggiori. È da escludere che i flussi turistici vengano molto influenzati da un evento verificatosi in un luogo che è visitato soltanto da turisti molto audaci. Secondo i tour operators, dei 12 milioni di turisti che visitano l’Egitto ogni anno, soltanto poche migliaia si spingono fino alla regione di “al-Gilf al-Kabir”, in cui sono stati rapiti i turisti. Personalmente, ritengo piuttosto che, viste le modalità con le quali si è concluso il rapimento, non ci sarà da temere per il turismo egiziano.

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