La modernità di Galilei
Enrico Bellone 6 November 2009

Questo articolo è tratto dall’ultimo numero di Oxygen, la rivista di ENEL

I discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.
(Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, giornata seconda)

In che senso possiamo oggi dire che l’opera galileiana ha i tratti della modernità? Per dirlo sarebbe necessario individuare, al suo interno, qualcosa che è ancora presente e vivo nella cultura del nostro tempo. Una individuazione problematica, questa. Nelle odierne Facoltà di scienze, infatti, chi frequenta i corsi di meccanica o di astronomia non studia il Dialogo del 1632 o il Sidereus Nuncius del 1610. Le pagine di Galilei sono semmai ricordate dagli storici. Ma le ricerche in storia della scienza, così come sono usualmente praticate, si basano sul requisito della contestualità. Esso richiede che una data teoria vada interpretata senza uscire dal contesto storico in cui è nata, senza cioè fare uso di conoscenze posteriori a quel contesto. Ebbene, se tale requisito fosse rispettato con la dovuta coerenza, allora si approderebbe a esiti sconcertanti.

Un esempio è utile per precisare questo punto. Nel luglio del 1610 Galilei descrive Saturno come formato da tre corpi sferici fra loro immobili, e, nei tre decenni successivi, tale strana conformazione viene rappresentata con alcune problematiche varianti: solo nel 1675 si capisce che Saturno è circondato da anelli e che le immagini precedenti sono dovute alla struttura delle lenti disponibili a Galilei e ai suoi contemporanei. Ma Galilei muore nel 1642, e, in virtù della coerenza contestuale, lo storico dovrebbe quindi sostenere che, non essendo applicabili alle pagine galileiane le nozioni del 1675, nel luglio del 1610 si scoprì che Saturno è tricorporeo. E va comunque ricordato che risultati analoghi a questo emergono comunque, e con alta frequenza, quando lo storico analizza contestualmente le tesi galileiane sull’inerzia, sul principio di relatività, sul rigetto delle orbite ellittiche dei pianeti o sulle cause non gravitazionali delle maree.

La modernità di Galilei, insomma, va cercata per altre vie. Suggerisco qui che sia indispensabile abbandonare i modelli storiografici centrati sul dogma del contesto e far leva, invece, su modelli evoluzionistici secondo i quali la crescita della cultura umana ha una struttura ad albero di darwiniana memoria: una evoluzione ricca di mutazioni imprevedibili e di rami secchi, non governata da una logica trascendente e al cui interno troviamo scoperte che violano le aspettative o le previsioni degli scopritori (Bellone 2009).

Da questo punto di vista alternativo le pagine lasciateci da Galilei presentano alcuni tratti caratteristici. Ecco il primo: a volte Galilei lavora per confermare, in modo rigoroso, certe conoscenze fisiche sulla cui validità egli non ha dubbi, ma ottiene risultati sconcertanti e comunque estranei alle sue aspettative o alle sue previsioni (Drake 1979 e 1988). Ed ecco il secondo: a volte Galilei esplora certi fenomeni astronomici senza coltivare alcuna aspettativa e senza poter fare previsioni di alcun genere: è mosso semplicemente dalla curiosità, e si trova fra le mani risultati rivoluzionari (Righini 1978, Drake 1983). Poi, il terzo tratto: con il trascorrere degli anni lo sviluppo della scienza galileiana non si realizza come un continuo, ma è segnato da brusche svolte (Bellone 2008). Infine: Galilei non ha mai scritto un trattato sul vero metodo scientifico, e la sua modernità non sta in un presunto metodo sperimentale: nel corso delle sue ricerche, infatti, Galilei sempre oscilla fra l’accettazione di misure non corroborate da teoremi e l’elogio di teoremi privi di conferma sperimentale (Bellone 2004).

Alcuni temi concreti ci possono aiutare per addentrarci nei tratti ora citati. Agli inizi del Seicento, dopo anni di adesione alla tesi plurisecolare secondo cui nei moti naturali la velocità è una costante del moto, Galilei scopre accidentalmente che la velocità di discesa di una sferetta su un piano inclinato non è costante. Egli non può, ovviamente, misurare la velocità. Può stimare solo la lunghezza degli spazi percorsi in intervalli di tempo tra loro eguali: e trova, indipendentemente dalle proprie aspettative, che la sequenza di tali lunghezze corrisponde alla sequenza dei numeri dispari: vi è dunque accelerazione, e crollano di colpo sia la scienza allora esistente sui moti naturali, sia le convinzioni dello stesso Galilei. Nel gennaio del 1610 egli punta il telescopio su Giove e in poche nottate scopre le quattro stelle medicee: ma sappiamo, proprio dai suoi manoscritti, che egli non sta controllando alcuna previsione sul possibile numero dei satelliti di quel pianeta – li vede, e basta. Lo stesso vale per la risoluzione stellare di alcune nebulae o della Via Lattea: una manciata di settimane, motivate non da previsioni ma dalla sola curiosità, e crolla una plurisecolare immagine dei cieli.

Questi due casi, nella loro semplicità, evidenziano come alcuni eventi fondamentali per la nascita della scienza moderna – la messa in crisi della teoria del moto e la rivoluzione telescopica – non siano gli esiti di una logica rigorosa e interna alla crescita delle conoscenze, ma costituiscano delle svolte improvvise e indipendenti da aspettative o intenzioni o previsioni. Si apre così una finestra proprio sulla struttura della crescita dei saperi: la sequenza dei numeri dispari comincia per Galilei a collegarsi alla natura ignota della gravitazione, le sorprendenti immagini offerte dal telescopio demoliscono una astronomia millenaria e unificano il mondo celeste e il mondo sublunare in una sola cornice fisica, e, all’interno di quest’ultima, Galilei dispone un prototipo dell’inerzia (Wisan 1974) e un archetipo del principio di relatività.

Ma, così ricostruendo l’opera galileiana, la collochiamo in una vera e propria evoluzione del sapere: troviamo insomma, a posteriori, l’inerzia e la relatività, Newton ed Einstein. Già, a posteriori, e non come esiti governati da una logica trascendente – troviamo in Galilei le informazioni necessarie per rimodulare la storia della scienza come settore di una evoluzione culturale che è tipica della nostra specie (Cavalli Sforza 2004, Bellone 2003 e 2006). Insomma, Galilei è moderno in quanto certi aspetti delle sue teorie, tradotti e ritradotti di generazione in generazione, sono ancora oggi presenti nella cultura odierna. E, a questo punto, si aprono due gruppi di questioni.

Il primo riguarda la circostanza per cui quegli aspetti non si sono conservati nelle loro forme originarie, ma vengono oggi esposti dopo lunghe sequenze di variazioni. Sequenze lunghe e spesso inficiate da tesi che, sempre a posteriori, ci appaiono come erronee. In un passo celebre del Dialogo Galilei ci presenta l’impossibilità di distinguere, dal punto di vista della meccanica, tra un sistema di riferimento in quiete e uno in moto rettilineo uniforme. Il problema viene ripreso nel 1873 (Maxwell 1973) da un genio come Maxwell, che elabora matematicamente l’invarianza delle equazioni di campo elettromagnetico per trasformazioni galileiane: una elaborazione erronea il cui superamento sfocerà nella teoria einsteniana del 1905 sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (Einstein 2004). Situazioni di questo genere affollano la storia della scienza, e configurano quest’ultima come un processo ricco di ramificazioni: alcune restano aride e monche, altre invece sopravvivono solo in quanto gemmano altri rami e acquistano nuovi significati. Suggerisco allora che la modernità di certi frammenti teorici coincida con questa modalità di sopravvivenza, che si regge su forme di selezione culturale.

Il secondo gruppo di questioni si riferisce al fatto seguente: sin da quando sono comparsi i primi testi scritti – e cioè da circa 12 000 anni – la nostra specie ha sempre fatto uso di elementari strutture aritmetiche e geometriche nei suoi tentativi di adattarsi alla propria nicchia. Non a caso si discute, negli ultimi tempi, di una vera e propria matematica “embodied” che riguarda sia Homo sapiens sia altri corpi viventi (Lakoff e Nùnez 2005, Vallortigara 2005, Oliverio 2008). Tutto ciò appare incomprensibile (o irritante) a chi resta al di fuori di modelli evoluzionistici della cultura: modelli in base ai quali si nega che la cultura sia un mondo spirituale o cartesianamente mentale, e si comincia a parlare delle idee come enti materiali e delle teorie come variabili stati fisico-chimici di reti neurali.

Viene in tal modo a profilarsi, per la ricerca storica, una cornice evoluzionistica a tutto campo che investe l’intera cultura umana (Moretti 2005, Bartocci e Odifreddi 2007), che può essere esplorata ricorrendo a temi tipici dell’approccio naturalistico alla conoscenza (Van Orman Quine 1991, Valore, Giorello e Pettoello 2004) e che consente di cogliere la modernità galileiana in uno schema rinascimentale già ben studiato da Paolo Rossi (Rossi 2002). Uno schema in cui la scienza moderna si sviluppa come quel sapere pubblico al quale proprio Galilei fa appello nei Discorsi, là dove la tecnica viene esaltata come modalità alta della cultura e dove l’arsenale di Venezia è visto come luogo del vero filosofare.

Enrico Bellone, storico della scienza, è stato il primo docente a essere chiamato nel 1994, per chiara fama, aoccupare la “cattedra galileiana” dell’Università di Padova. Nel 2008 ha ricevuto il premio Preti insieme a George Lakoff dell’Università di Berkeley.

Consigli di lettura

Bartocci C. e Odifreddi P. (2007, a cura di), La matematica, Einaudi (in particolare i primi saggi del volume 1)
Bellone E. (2003), La stella nuova, Einaudi
Bellone E. (2004), Caos e armonia. Storia della fisica, Utet
Bellone E. (2006), L’origine delle teorie, Codice Edizioni
Bellone E. (2008), Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale, Raffaello Cortina Editore
Bellone E. (2009), Il contributo italiano alla rivoluzione scientifica e alla nascita della fisica moderna, in “La cultura italiana”, a cura di Luigi Luca Cavalli Sforza, vol. VIII, “Storia della scienza e della tecnologia”, a cura di Telmo Pievani, Utet
Cavalli Sforza L.L. (2004), L’evoluzione della cultura, Codice Edizioni
Drake S. (1979), Galileo’s Notes on Motion, in “Supplemento agli Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza”, fasc. 2
Drake S. (1983), Telescopes, Tides and Tactics, Chicago University Press
Drake S. (1988), Galileo. Una biografia scientifica, il Mulino
Einstein A. (2004), in “Opere scelte”, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri
Lakoff G. e Nùnez R. (2005), Da dove viene la matematica. Come la mente embodied dà origine alla matematica, Bollati Boringhieri
Maxwell J.C. (1973), Trattato di elettricità e magnetismo (1873), Utet, vol.2, capp. VIII e XII
Moretti F. (2005), La letteratura vista da lontano, con un saggio finale di Alberto Piazza, Einaudi
Oliverio A. (2008), Geografia della mente. Territori cerebrali e comportamenti umani, Raffaello Cortina Editore
Righini G. (1978), Contributo alla interpretazione scientifica dell’opera astronomica di Galileo, in “Supplemento agli Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza”, fasc. 2
Rossi P. (2002), I filosofi e le macchine (1400-1700), Feltrinelli
Vallortigara G. (2005), Cervello di gallina. Visite (guidate) tra etologia e neuroscienze, Bollati Boringhieri
Valore P., Giorello G. e Pettoello R. (2004, a cura di), Da un punto di vista logico, Raffaello Cortina Editore
Van Orman Quine W. (1991), Quidditates. Quasi un dizionario filosofico, Garzanti 
Wisan W.L. (1974), The New Science of Motion: A Study of Galileo’s De motu locali, in “Archives for the History of Exact Sciences”, vol.13

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