Il grande tabù
Maria Elena Viggiano 3 June 2009

Il silenzio che ancora oggi circonda gli eventi di piazza Tiananmen diventa sempre più pesante, soprattutto a distanza di venti anni. Le proteste pacifiche di studenti e intellettuali, che scesero nelle strade di Pechino per chiedere maggiore democrazia e riforme economiche, iniziate nell’aprile del 1989, si conclusero tragicamente nel massacro del 4 giugno. Sicuramente non è facile ricostruire in modo dettagliato tutto quello che accadde in quei giorni: le decisioni prese dal governo, le tensioni tra i leader, i diversi punti di vista, lo stato d’animo degli studenti e la reale possibilità di un cambiamento a cui questo movimento avrebbe potuto portare. Nonostante ciò, l’errore più grave che si potesse fare, è stato quello di accantonare l’episodio, nasconderlo agli occhi dei cinesi, considerarlo un evento del passato, isolato e senza ripercussioni sul presente, sbagliando perché non affrontare un problema non significa risolverlo ma solo rimandarlo.

Ecco così che ogni anno dal 1989, il ricordo del massacro di piazza Tiananmen ritorna. Il governo cerca di glissare, di aumentare i controlli e attuare misure restrittive per imporre il silenzio mentre i cinesi che hanno memoria dell’accaduto, sentono l’esigenza di ricordare, commemorare e soprattutto cercare ancora la verità. Le generazioni più giovani invece sanno poco e spesso vengono a conoscenza di quegli eventi solo in occasione di soggiorni all’estero. Venti anni dopo, il massacro di Piazza Tiananmen può rimanere ancora un argomento tabù? Per il governo sicuramente sì e il motivo è semplice. Ammettere un errore, affermare di aver sbagliato significa dimostrarsi fragili agli occhi del popolo cinese e indebolire le posizioni di potere dei leader del partito. Quindi, con l’avvicinarsi del fatidico anniversario, il governo ha adottato misure restrittive già attuate in occasione delle Olimpiadi di Pechino dello scorso anno.

Il governo ha deciso di muoversi in particolar modo su due fronti: ripristinando le misure antiterroristiche nell’aeroporto di Pechino e intensificando i controlli sui media cinesi. Agenti speciali con mitra e cani poliziotto controllano i tre terminal dell’aeroporto mentre speciali strumenti a raggi X verificano le automobili in sosta nei parcheggi e ispezionano il contenuto dei bagagli alla ricerca di eventuali bombe o stupefacenti. Per quanto riguarda i media, la censura su qualsiasi informazione relativa al massacro di piazza Tiananmen non è certamente una novità. Da sempre i cittadini cinesi, digitando parole chiave sui motori di ricerca in internet, si ritrovano a fare i conti con milioni di pagine web oscurate e con brevi messaggi che annunciano un’improvvisa mancanza di connessione. Ovviamente le regole si sono inasprite con l’avvicinarsi del 20° anniversario, i dissidenti sono stati condotti agli arresti domiciliari e gli è stato proibito di parlare con i giornalisti, così come sono stati messi a tacere i tentativi della stampa locale di scrivere su questo argomento e ignorato sistematicamente ogni dibattito o evento per commemorare gli incidenti del 4 giugno.

E’ accaduto per esempio con 20 Year Anniversary of China/Avant-Garde Exhibition, una mostra di arte contemporanea che intendeva ricordare una importante esibizione avvenuta nel 1989 alla National Art Gallery di Pechino. In occasione dell’inaugurazione, la polizia è intervenuta proibendo il normale svolgimento dell’evento, scatenando così il disappunto degli organizzatori che hanno fatto notare come il 1989 sia ancora una data estremamente delicata per le autorità e inducendo il curatore Gao Minglu ad affermare che “il sistema è ancora antiquato e conservatore. Sono passati venti anni ma siamo sempre allo stesso punto”. Non si è tenuta neanche una cerimonia pubblica per i venti anni della morte di Hu Yaobang, segretario del partito fino al 1987 ma soprattutto considerato un grande riformatore. Il governo infatti ancora non ha deciso di riabilitare la sua figura a causa dello stretto legame tra le sue idee liberali, in ambito politico ed economico, e il movimento studentesco di piazza Tiananmen.

Il popolo cinese però non dimentica e, quando possibile, fa sentire la sua voce. Uno dei movimenti più attivi sono Le Madri di Tiananmen, un gruppo composto per la maggior parte da donne che hanno perso i loro figli nel giugno 1989. L’associazione, fondata da Ding Zilin nel 1991, è illegale in Cina, ma i partecipanti continuano ad essere attivi nella loro ricerca della verità e hanno chiesto formalmente al governo cinese di mettere fine al “segreto di stato” e con “un atto di coraggio e responsabilità” rendere noto il numero preciso delle vittime di piazza Tiananmen. L’elenco compilato dalle Madri di Tiananmen è lungo e incompleto, sebbene ogni anno si aggiungano nomi e si cerchi di rintracciare le famiglie. Oltre agli studenti e agli intellettuali morti, non bisogna dimenticare le centinaia di dissidenti che ancora oggi sono nelle prigioni cinesi, accusati di attività sovversive nei confronti del governo. Continua dunque lo scontro tra il popolo e il governo che, con le imponenti misure di sicurezza stabilite, vuole il controllo e la repressione di ogni dissenso e dibattito su uno temi più scottanti, come quello della tutela dei diritti umani che porterebbe le autorità a fare i conti con una delle pagine storiche più tristi e con un presente ancora irrisolto.

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x