La benedizione di Skype e il ghetto satellitare
Amara Lakhous 13 June 2008

Il tema della globalizzazione suscita spesso commenti contrastanti tra sostenitori e oppositori, anzi tra adulatori e detrattori. Il nocciolo del problema risiede soprattutto nell’approccio adottato per esprimere un giudizio di valore, in altri termini: la globalizzazione è benefica o nociva? È un mezzo o un fine? Ogni valutazione seria di questo processo inarrestabile, a mio parere, non può prescindere dalla questione dell’uso che ne facciamo. La storia umana docet. L’uomo ha usato il fuoco, la più grande scoperta dell’umanità, sia per cuocere il cibo sia per incendiare le foreste. Questa chiave di lettura è utile per leggere, ad esempio, il fenomeno migratorio in un mondo sempre globalizzato. Si tratta di capire se la globalizzazione dei mezzi di comunicazione (internet e canali tv satellitari) sono funzionali ai processi di integrazione degli immigrati o al contrario rappresentano un serio rischio di chiusura e di ghettizzazione.

Mio padre è stato immigrato in Francia negli anni cinquanta e agli inizi anni degli sessanta. Più che di immigrazione, si può parlare di esilio, perché durante la guerra di liberazione algerina (1954 – 1962) non è potuto tornare in patria. Per sette anni non ha avuto la possibilità di comunicare con la propria famiglia. Dopo l’indipendenza è tornato in Algeria, trovando una figlia nata e cresciuta, nella sua assenza, senza mai vedere prima la sua foto o sentire la sua voce! Oggi per fortuna la mia immigrazione è radicalmente diversa da quello di mio padre. Chiamo i miei genitori al cellulare quando voglio. Grazie a Skype, parlo quasi quotidianamente con mia sorella. Scambio e-mail, ums, sms, foto e video con parenti e amici sparsi nel mondo. Benedetta globalizzazione! Riesco, come la maggioranza degli immigrati, a mantenere e curare i rapporti affettivi con il paese di origine. Cosi l’immigrazione ha perso le sue connotazioni drammatiche di non ritorno, lacerazione, abbandono e separazione.

La “medietà aristotelica” è una virtù per evitare gli accessi e di conseguenza il raggiungimento della moderazione. L’abuso della globalizzazione nel contesto dell’immigrazione genera anche chiusure e ghetti. Conosco molti immigrati che seguono quotidianamente programmi televisivi dei paesi di provenienza grazie ai canali satellitari. Sono più informati su quello che succede in Bangladesh, Senegal, Egitto, Marocco, Perù, ecc rispetto alle vicende italiane. Piano piano perdono il contatto con il paese di accoglienza e vivono una schizofrenia psicosociale molto pericolosa. Ricordo che prima della caduta del governo Prodi, un amico tunisino mi ha chiesto informazioni sull’incontro tra Berlusconi e Veltroni, dopo aver visto un servizio al riguardo su Al Jazeera. In questo quadro negativo, la globalizzazione della comunicazione può ostacolare il processo di integrazione degli immigrati.

Infine, il rapporto tra globalizzazione e immigrazione ci offre un ulteriore spunto di riflessione. Oggi la globalizzazione vuole dire libertà di circolazione per le merci e per l’informazione. Ma gli uomini, soprattutto nel sud del mondo, si ritrovano ancora a combattere contro le burocrazie dei visti e la sacralità dello spazio Schengen.

Amara Lakhous è uno scrittore e antropologo algerino. Vive a Roma ed è l’autore del romanzo “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” (Editore E/O, vincitore del premio Flaiano nel 2006).

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