«Anche la primavera araba li ha sconfitti»
Olivier Roy intervistato da Elisa Pierandrei 11 May 2011

L’annuncio della morte di Osama Bin Laden chiude una decade di rapporti difficili fra musulmani e Occidente.

Al Qaeda è riuscita a proiettare un’immagine di se stessa in cui è espressione della “rabbia musulmana” e avanguardia della lotta politica e religiosa islamica. La conseguenza è stata che tutto ciò che apparteneva al mondo musulmano era visto in Occidente attraverso le lenti del terrorismo, del jihad e della violenza (ad Al Qaeda dobbiamo attribuire le vicende delle vignette danesi). Ricordiamoci che all’indomani della tragedia dell’11 settembre, le vendite di Corani negli Usa sono schizzate. Davvero molte manifestazioni di violenza attribuite a musulmani sono state contestualizzate usando la teologia, cioè riferendosi a ciò il Corano dice del jihad. Persino movimenti genuinamente politici (come la lotta palestinese) sono stati riproposti in termini di violenza religiosa. Nella percezione comune, il concetto di “guerra al terrorismo” ha così confuso movimenti eterogenei con agende molto diverse.

I musulmani, nonostante centinaia di fatwa (editti religiosi, ndr) e dichiarazioni condannassero in maniera inequivocabile gli attacchi al World Trade Center, hanno reagito manifestando una sorta di ambivalenza e turbamento, e un forte risentimento contro la strategia Usa in risposta all’11 settembre. Gli USA hanno deciso di invadere l’Iraq quando era ovvio che non c’erano legami fra la tragedia delle Torri Gemelle e questo paese, e hanno etichettato come radicali o noti terroristi esponenti religiosi e intellettuali (lo Sceicco Al Qaradawi, Tariq Ramadan). Tutto ciò, unito agli appelli rivolti a musulmani “moderati” a “riformare” l’Islam e a condannare esplicitamente i “radicali”, ha alimentato un sentimento di islamofobia.

Infine, si tratta di un evento che ha avuto anche un effetto chiarificatore, forzando molti musulmani ad aprire un dibattito più sofisticato e non privo di sfumature.

Nella guerra contro il terrorismo, sono le nuove generazioni di Arabi che sono scesi nelle strade del Cairo, Tunisi, Damasco, Bengasi, Amman, ecc. il nemico peggiore di Al Qaeda?

Sì, lo sono, per due ragioni: innanzitutto “ignorano” Al Qaeda, e poi hanno adottato un dibattito che si basa su premesse opposte rispetto alla narrativa di Al Qaeda. Non ci sono stati appelli ad Al Qaeda, riferimenti ai loro slogan, foto di Bin Laden, praticamente nulla. Questa indifferenza è continuata anche quando la notizia della morte di Bin Laden ha raggiunto il pubblico: nessuna dimostrazione di disperazione o di gioia. Questa indifferenza è stata la cosa peggiore che potesse accadere a Bin Laden. La sua strategia si basa sul fare notizia. Si tratta dell’unico tipo di impatto di attacchi terroristici che di solito hanno invece conseguenze ridotte a livello geopolitico ed economico. Al Qaeda non è un’organizzazione radicata fra la popolazione, con una base politica. Esiste soltanto in relazione alle azioni che organizza. Quindi Al Qaeda è stata uccisa dalla “primavera araba” ancor prima che Bin Laden venisse fisicamente eliminato.

Il secondo punto è che il dibattito politico promosso dai dimostranti è esattamente opposto alla narrativa di Al Qaeda. Nessuno Stato islamico, ma uno democratico. No all’opposizione Islam/Occidente, ma valori universali (democrazia, diritti umani, rispetto).

Adesso scopriremo quanto è marginale la sua incidenza nelle operazioni terroristiche nel mondo…

Certo, ma bisogna dire anche che Al Qaeda è più un’etichetta che un’organizzazione centralizzata, o più esattamente, entrambe posso coesistere. Niente può impedire a gruppi locali o individui di sostenere che agiscono nel nome di Al Qaeda. Nel fare questo sono sicuri di avere maggiore impatto.

C’è voluto così tanto tempo per catturare Bin Laden, nonostante miliardi spesi in operazioni di intelligence super tecnologiche, che quando è morto è sembrato irrilevante rispetto ai ben più ampi problemi della regione.

Sì, probabilmente l’errore più grande è stato quello di pensare in termini di controllo militare territoriale. Bin Laden è stato capace di fuggire da un’invasione armata, ma è caduto vittima di mezzi di intelligence più tradizionali. Secondo punto, il problema in Afghanistan e in Pakistan non era più la questione di Al Qaeda, ma il movimento autoctono e radicale dei Talebani su entrambi i confini Pachistano-Afghano.

Quali sono le conseguenze politiche della sua morte?

La coincidenza della morte politica di Al Qaeda e di quella fisica di Bin Laden è molto importante in termini simbolici. Chiude un capitolo e permette di adottare diverse politiche (verso Hamas, verso l’Afghanistan) e di sviluppare un approccio differente nei confronti dell’integrazione dell’Islam in Occidente.

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