Le rivoluzioni arabe e la nonviolenza
Amara Lakhous 14 July 2011

Secondo i manifestanti, il consiglio militare che ha preso il potere dopo la caduta di Mubarak non ha rispettato gli impegni. Prima di tutto, i tribunali militari continuano a processare dei civili come succedeva prima con lo stato d’emergenza, i processi contro la famiglia dell’ex presidente e gli uomini corrotti del vecchio regime vanno lentamente.

Penso che la rinuncia alla violenza dei giovani in Tunisia e in Egitto sia la grande svolta nel mondo arabo. Non è sbagliato sostenere che la nonviolenza sia alla base del successo che ha determinato la fine di regimi totalitari come quelli di Ben Ali e Mubarak.

Ho fatto il liceo ad Algeri nella seconda metà degli anni ottanta. Il nostro professore di storia, un ex partigiano della guerra di liberazione algerina, non perdeva occasione per criticare Gandhi e prenderlo in giro. Diceva: “L’Algeria non avrebbe potuto cacciare la Francia con la nonviolenza di quell’uomo magrissimo, mezzo nudo! Il nostro paese è stato liberato grazie al sangue versato dai suoi figli”.

Nel 1991 dopo l’annullamento del primo turno delle elezioni legislative vinte dal Fronte islamico di salvezza (FIS), i fondamentalisti algerini arrivarono a una tragica conclusione: la violenza è l’unica via per conquistare il potere. Mi ricordo di uno slogan scritto a caratteri cubitali in un quartiere popolare di Algeri in quel periodo: “Avete messo a tacere le urne, ma hanno parlato i fucili!”.

Il risultato è stato drammatico: in pochi anni il terrorismo ha fatto oltre centocinquantamila vittime, per lo più civili. Per fortuna in altri paesi arabi i danni sono stati limitati, i terroristi non sono riusciti a imitare il copione algerino e non hanno portato a termine il loro progetto di distruzione. Oggi, le rivoluzioni arabe dalla Tunisia alla Siria, passando per l’Egitto, dimostrano che la scelta della non violenza è più efficace e funzionale al cambiamento. Quindi, forse, è giunto il momento di fare un’autocritica seria dell’uso della violenza e della dottrina del Jihad (La guerra Santa) e sopratutto di arabizzare ed islamizzare il pensiero di Gandhi.

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