Le verità di Ramadan: “Non demonizzate l’Islam”
Guido Rampoldi 10 November 2008

Questo articolo è tratto da la Repubblica del 6 novembre 2008.

Due anni fa, quando a Ratisbona il papa citò un imperatore bizantino che lamentava nell’islam una vocazione dominatrice e guerresca, Tariq Ramadan intuì nelle parole del pontefice quanto vi scorgevano quasi tutti gli intellettuali musulmani: un pregiudizio anti-islamico. Che quell’interpretazione fosse affrettata o Ratzinger abbia deciso di correggere una sortita maldestra, la crisi di allora è diventata col tempo l’occasione per avviare un Forum cristiano-islamico cui anche Ramadan partecipa. Non giureremmo che il Forum chiuderà un millennio di relazioni conflittuali. Ma se stiamo al filosofo musulmano, potrebbe liberare i rapporti tra cristianesimo ed islam del sovraccarico emozionale prodotto da un doppio malinteso. L’equivoco cristiano, dice Ramadan, sta nell’immaginare nell’islam una religione forte, praticata con un’intensità sconosciuta agli occidentali, e perciò in grado di scalzare il cristianesimo perfino nella sua roccaforte europea, attraverso una massiccia immigrazione.

L’insistere del papa sulle "radici cristiane" dell’ Europa o la sua ostilità all’ingresso della Turchia nell’Unione si spiegherebbero appunto con la percezione che «i musulmani siano molto più religiosi dei cattolici» e perciò possano prevalere. «Eppure in Europa come altrove la maggioranza dei musulmani, direi l’80%, non è praticante. E chi pratica di più non sono gli immigrati, ma gli studenti». Sbagliando a loro volta, i musulmani tuttora vedono nel cristianesimo la religione del dominio, quale fu all’epoca delle occupazioni coloniali: «Nei Paesi a maggioranza islamica il cristianesimo è considerato lo strumento dell’Occidente e della sua lotta per il potere. Con il risultato, ad esempio, che qualsiasi cosa il papa dica, non viene ascoltato. Si parte dal presupposto che intenda diffamare l’islam, tratteggiarlo come una religione violenta, e che dunque lo si debba condannare (per principio)». Riuscirà il Forum a rasserenare le relazioni tra le due fedi? Ci sono almeno due ragioni per sperare. La prima è il fiasco totale di quella destra neocon che aveva costruito il clima più propizio al sovraccarico emotivo lamentato da Ramadan. La seconda ragione è la rapidità con la quale anche pregiudizi radicati possono entrare in crisi.

Di questa caducità degli stereotipi lo stesso Ramadan è un esempio. Nel 2006 l’anti-terrorismo statunitense gli impedì di accettare un incarico accademico presso l’università americana di Notre Dame; Sarkozy lo trattava come un pericoloso estremista; articoli e libelli lo accusavano di praticare la Taqiyya, la tecnica della dissimulazione permessa dal Corano, fingendosi agnello con interlocutori cristiani e mostrando le zanne del lupo quando le platee erano islamiche. Insomma l’opinione prevalente lo voleva avanguardia della callida penetrazione islamica in Europa, ruolo cui pareva destinarlo anche la sua discendenza dal fondatore dei Fratelli musulmani, l’egiziano al Banna. Ma due anni dopo il nome di Ramadan non suscita più le esternazioni iraconde di un folto gruppo di islamologi europei, ridotto ad un penoso silenzio da quanto è avvenuto nel frattempo: Ramadan è stato cooptato dapprima dal governo Blair come consulente contro il terrorismo; poi dall’università di Oxford, dove oggi insegna; infine dal Vaticano, che lo ha scelto tra i suoi interlocutori nel Forum in corso a Roma in queste giornate. Come adesso è chiaro, e come dimostrano due libri recenti (un saggio di Nina zu Furstenberg; Islam e libertà dello stesso Ramadan), l’ex "amico dei terroristi" in realtà è un riformista musulmano di indirizzo "liberale", se la parola non è eccessiva, avendo fatta propria la scelta decisiva: contestualizzare la parola delle Scritture, non fermarsi al significato letterale ma cercarne il significato profondo.

Il problema di questo riformismo sta nel suo scarso potere. Inviso ai regimi autoritari, ignorato e mai difeso dagli europei, anche in Occidente finisce per rinchiudersi in circoli intellettuali che hanno influenza limitata. Eppure in Europa quell’islam della Riforma, non dovendo più temere i raid delle polizie segrete, è nelle condizioni teoriche di attrarre masse crescenti di immigrati. La scommessa di Ramadan è che finirà per cambiare gli islam arabi, asiatici e africani. Ma a patto che non sia più un corpo estraneo alle democrazie europee. Da qui la contrarietà di Ramadan alle scuole private per musulmani, o all’analogo modello britannico, che favorisce l’assembramento di alunni musulmani negli stessi istituti statali: «Questa è segregazione, settarizzazione. All’opposto, le idee devono mescolarsi e confrontarsi, affinché tutti abbiano pari opportunità di scelta». Per ragioni analoghe il filosofo musulmano (di nazionalità svizzera) esorta gli imam italiani a predicare in italiano. «Questo permette di creare un senso di appartenenza allo Stato, un fattore cruciale; e di dare con forza questo messaggio: la nostra casa è l’Italia», spiega Ramadan nell’incontro con alcuni giornalisti organizzato dal quotidiano Il Riformista.
La sua idea del dialogo islamico-cristiano è legata innanzitutto alla condivisione di un metodo: prendere atto delle differenze irriducibili su questioni di stretta attinenza teologica ed estrometterle dal dibattito per concentrarsi sulla giustizia, sull’eguaglianza, sul modo in cui l’etica debba applicarsi all’economia, terreni sui quali a suo giudizio le due fedi tenderebbero a convergere. Altrettanto necessario sarebbe tenere bene a mente che parole cruciali significano una cosa per gli europei e un’altra per i musulmani non europei. "Laicità", per esempio: per gli uni rimanda alla separazione tra Stato e Chiesa; per gli altri può voler dire Saddam Hussein, il più laico, ma anche il più feroce, tra i tiranni mediorientali. Infine è cruciale distinguere islam e immigrazione (l’equazione fonda le teorie cospirative che leggono i flussi migratori come un piano ordito per invadere l’Europa). Come Ramadan sottolinea, i migranti non rappresentano la ummah, la mitica nazione islamica, ma società e nazioni che hanno ciascuna la sua storia, e spesso una storia conflittuale con quella del vicino.

Dunque solo nell’immaginario europeo esistono le schiere compatte degli "islamici", futuri dominatori d’Europa. Lo stesso si potrebbe dire dei cristiani: non esiste alcuna cristianità, essendo diversissime tra loro perfino le correnti che attraversano il cattolicesimo, dalla teologia della liberazione fino all’integralismo ultra-conservatore. Ma se questo è vero, e se, come dice Ramadan, la maggioranza di cristiani e musulmani non sono praticanti, allora dovremmo chiederci se sia possibile attendersi grandi risultati da un Forum che mette in dialogo due significanti di consistenza così mobile, "islam" e "cristianesimo". Certo non è inutile. Ma il successo di questo genere di incontri, forse, sta nel rendere in futuro superflui questo genere di incontri.

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