«Io, perseguitato per il mio Corano»
Nasr Abu Zayd intervistato da Giancarlo Bosetti 11 May 2010

Quest’intervista è stata originariamente pubblicata dal quotidiano La Repubblica il 2 marzo 2010 a pagina 56.

Qual è il nucleo della sua tesi interpretativa?

Io aspiro a investigare e analizzare la struttura interna e le interrelazioni tra le parti del Corano non solo come testo ma anche ed essenzialmente come “discorso”, come “discorsi” al plurale. E per struttura intendo il fenomeno del Corano come “recitazione”, come testo parlato prima che fosse raccolto, sistemato e codificato nella mushaf, la raccolta degli scritti. La mia analisi cerca di indicare i molteplici destinatari così come le molteplici voci che parlano nel Corano per fare un passo avanti nella comprensione dei molti modi di discorso che vi sono presenti: dialogico, polemico, esclusivo, inclusivo e altri ancora.

Questo è il punto che le viene rimproverato dai sostenitori della interpretazione letterale.

La superenfatizzazione dell’elemento divino ha portato al trionfo dell’interpretazione letterale. E questo ha condotto alla situazione in cui certe decisioni di natura storica hanno finito per essere registrate nel discorso coranico come un’ingiunzione divina che vincola tutti i musulmani a prescindere dal tempo e dallo spazio. Scoprendo la dimensione umana incorporata nella struttura del Corano, un’ermeneutica umanistica diventerebbe possibile.

Che rapporto c’ è tra il fatto che prevalga l’una o l’altra interpretazione e la relazione tra islam e modernità? E con la democrazia?

Collocare il Corano e la tradizione profetica nel loro contesto storico dimostrerà ai musulmani che i temi della modernità e della democrazia devono essere discussi in modo indipendente da qualunque limite teologico o giuridico.

In che modo il suo punto di vista può essere sostenuto e incoraggiato tra gli studiosi musulmani? Crede nella possibilità di creare una rete di persone che condividono la stessa visione?

Sì, ciò è possibile e plausibile. Lavorando alla Fondazione “Liberty for all”, quella rete si sta creando. Uno dei principali programmi della Fondazione sarà dedicato ad insegnare e diffondere sia in rete che mediante i mezzi di comunicazione video e audio, l’approccio e la metodologia della moderna visione e dell’interpretazione del Corano e della tradizione profetica.

Qual è il suo rapporto con le autorità religiose dei Paesi musulmani? E con i musulmani che vivono in Europa da immigrati o da nuovi cittadini?

Le autorità religiose sono quelle che sostengono il tradizionalismo; disprezzano qualsiasi iniziativa di cambiamento. A volte sono obbligate ad affrontare le situazioni in evoluzione, ma lo fanno controvoglia. Perciò, non posso rivendicare un rapporto positivo con nessuna autorità religiosa.

È ancora considerato un apostata? Cosa dobbiamo pensare del fatto che una persona come lei possa essere considerata un pericolo? Un pericolo per chi?

Per alcune persone, sì, sono un apostata. Ma si tratta di una minoranza la cui autorità è contestata e minacciata dalla mia impostazione. Si tratta di una minaccia pericolosa, perché demolisce il loro monopolio e incoraggia il pensiero autonomo.

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