Le “mourchidates” e le contraddizioni del Marocco
Souad Eddouada 17 April 2009

Per reagire all’ascesa di un islam radicale, il re del Marocco si propone di promuovere un maggiore coinvolgimento delle donne nell’ambito religioso : «Desideriamo vedere donne esperte in scienze religiose partecipare a questi Consigli (degli ulema o teologi), in quanto auspichiamo che si realizzi una maggiore equità nei loro confronti e l’uguaglianza tra uomini e donne». Nel 2003, Mohammed VI invitò Rajae Najji Mekaoui, docente universitaria di materie giuridiche presso la Mohammed V University di Rabat, come prima donna chiamata a tenere una lezione nella moschea reale nell’ambito del Dorous Hassania (una serie di conferenze). Le lezioni hassaniane sono una serie di conferenze presiedute dal re che si svolgono durante il Ramadan e alle quali assistono le più alte cariche civili e militari, nonché le autorità religiose provenienti da tutto il mondo islamico. Da allora, altre donne sono state invitate a tenere tali conferenze.

All’interno del nuovo contesto della riforma del Codice di Famiglia e nel dibattito nazionale sulla compatibilità tra islam e le verità universali dei diritti delle donne, a queste ultime viene offerto un nuovo spazio simbolico (1) in seno all’autorità religiosa al fine di promuovere le ragioni islamiche in favore dell’uguaglianza di genere. Nel suo ruolo di Amir al moumimine (Comandante della Fede), il re sta coinvolgendo nell’iniziativa alcune studiose della religione, guidandone l’interesse verso i temi femminili. Subito dopo gli attentati terroristici di Casablanca, il ministro degli Affari islamici, sotto la supervisione del re, ha avviato un vasto progetto per la riforma della sfera religiosa che vede il coinvolgimento delle donne nel tentativo, da parte dello Stato, di gettare le basi e ridare vita all’ “islam marocchino”.

Dopo gli attentati terroristici, il Marocco ha avviato un programma di ricostruzione dell’ambito religioso. Secondo gli osservatori, tale ricostruzione costituisce una reazione all’ascesa di un islam «radicale» promosso in particolare dai canali satellitari del Medio Oriente e dei paesi del Golfo, che propagandano un islam considerato estremista. Tale propaganda sarebbe stata una delle principali cause dello sviluppo dell’integralismo religioso. Il Regno marocchino ritiene che la propria integrità religiosa, garantita dall’unità e dal raccogliersi della nazione intorno al rito malikita, caratterizzato da un «islam marocchino tollerante e moderato», sia minacciata, al punto di correre un reale pericolo. Il progetto nazionale di ricostruzione dell’ambito religioso rappresenta inoltre una riforma che segue lo stesso spirito ugualitario del codice di famiglia modificato nel 1993, tendente ad assegnare alle donne marocchine una nuova responsabilità civile e religiosa.

Tuttavia, questa nuova responsabilità non prevede che l’accesso di uomini e donne agli spazi sacri, quali le moschee, debba diventare totalmente ugualitario. La formazione annuale di cinquanta mourchidates (predicatrici) tende unicamente a prepararle a svolgere un ruolo di inquadramento, di orientamento, di informazione e di sensibilizzazione religiosa. In effetti, in occasione della presentazione del programma di formazione delle mourchidates, l’Alto Consiglio degli ulema (teologi dell’islam) ha emesso una fatwa (parere giuridico) che vieta alle donne di guidare le preghiere. Secondo il Consiglio, tale incarico sarebbe contrario alle regole religiose generali, secondo le quali le donne debbono pregare in silenzio, mentre l’imam predica a voce alta. La fatwa è stata emessa su richiesta del Ministero degli Affari islamici, che precisa come il ruolo di una mourchidate sia limitato all’organizzazione di discussioni e di letture destinate a insegnare ai praticanti i valori dell’islam e fornire loro informazioni che possono rispondere ad alcune loro domande.

La formazione delle mourchidates comprende studi islamici, corsi di psicologia, sociologia, informatica, diritto e lingue. Tale formazione, identica a quella impartita agli imam, comprende un corso supplementare di fiqh anisae (giurisprudenza delle donne). Benché la riforma del codice di famiglia sia il frutto di una lotta delle femministe in maggioranza laiche, l’uguaglianza dei ruoli religiosi pubblici è un’iniziativa presa da re Mohamed VI e non è mai stata rivendicata dalle femministe marocchine. Come sottolinea Saba Mahmoud nel suo libro «The Politics of Piety», all’interno dei movimenti delle moschee la pietà occupa un ruolo scomodo negli studi femministi. Le donne si stanno imponendo in spazi finora esclusivamente maschili, tuttavia, dovranno conservare pratiche e ideali radicati nelle tradizioni che, storicamente, hanno assegnato un ruolo inferiore alle donne.

Tuttavia, se le mourchidates decidessero di far riferimento al pensiero ugualitario dell’islam, come quello indicato dalla sociologa marocchina Fatima Mernissi nei suoi scritti, e in particolare in «Le harem politique: le Prophète et les femmes» e «Sultanes oubliées», o da altre femministe islamiche, come Amina Wadud e Asmae Barlas, esse rischierebbero di oltrepassare le semplici direttive presenti nelle guide del Ministero degli Affari religiosi. Secondo Saba Mahmoud, il contesto analitico della nozione di resistenza non prevede necessariamente una politica progressista. Per capire quali possano essere le forme di azione caratteristiche di modalità di ragionamento diverse dal liberalismo politico bisognerebbe considerare la subordinazione femminile a virtù, quali il pudore, la modestia e l’umiltà, come condizioni favorevoli alla possibilità che le donne possano assumere dei ruoli pubblici nella vita religiosa e politica.

Nell’aprile 2004, Attajdid, uno dei principali quotidiani musulmani, ha pubblicato una serie di interviste a teologhe appartenenti a consigli religiosi o a predicatrici (mourchidates). In una di queste interviste, la mourchidat Fatima Najjar ha sottolineato l’importanza di evitare le polemiche e di fare in modo che le lezioni siano improntate ad una dialettica permeata di maqasid (filosofia intenzionale). La Najjar poneva l’accento anche sui limiti che si era imposta per non andare al di là delle proprie competenze, che consistevano nel mettere in pratica quanto appreso durante il suo anno di formazione e ciò che è contenuto nel manuale del ministero. Le interviste pubblicate da Attajdid descrivono quindi l’impatto prodotto dalle lezioni tenute dalle mourchidates. Fatima, una casalinga che ha frequentato le lezioni, afferma che esse l’hanno aiutata a diventare una donna più devota, a scoprire gli errori commessi in precedenza nel suo modo di pregare. Senza quelle lezioni, avrebbe continuato a pregare in modo “improprio”.

Radia, un’altra delle donne che hanno assistito alle lezioni, riferisce che la maggior parte delle donne del suo quartiere frequenta regolarmente le lezioni organizzate nella moschea. Assistervi l’ha cambiata, ne ha fatto una persona migliore; prima era una donna rigida, ma frequentare le lezioni l’ha resa più dolce e aggiunge che le donne sono interessate soprattutto alle lezioni che insegnano loro come svolgere nel modo migliore il ruolo di mogli e di madri. Asia Almostquim, una predicatrice collegata al Consiglio Religioso di Rabat, sottolinea che le donne sono attratte soprattutto dalle lezioni che affrontano il tema dei rapporti familiari con il marito e con i figli e quello della vita ultraterrena e del giorno del giudizio. La predicatrice aggiunge poi che le moschee situate nei quartieri poveri sono quelle che vedono il maggior numero di donne frequentanti.

La mourchidat (la guida religiosa donna) sceglie i temi secondo le necessità espresse dalle donne che frequentano le lezioni. La Almostquim aggiunge quindi che la cosa più importante è che la mourchidat sia sempre consapevole dei propri limiti, sappia quando fermarsi e non si cimenti, ad esempio, nella trattazione di argomenti che non conosce bene e che non rientrano nelle sue competenze e, infine, che sia sempre pronta a collaborare con teologi più informati.

La strategia dello Stato

Durante un’intervista, il ministro degli Affari islamici Ahmed Taoufiq ha spiegato che le mourchidates incarnano la strategia scelta dallo Stato per la tutela morale dei cittadini, un tentativo di riportare in vita, in Marocco, la tolleranza e la moderazione Sufi, la versione dell’islam che ha prevalso in Nord Africa tra il VII e il XIII secolo. E’ questa versione che Toufiq vorrebbe far rinascere in Marocco grazie al sostegno offerto al programma delle mourchidates, o delle guide religiose donna. Diversamente dalle mourchidates, che devono avere una laurea e imparare a memoria mezzo Corano prima di essere ammesse a sostenere un esame scritto e orale, le alemat (studiose appartenenti al consiglio religioso) sono nominate direttamente dal re, perciò, per l’accesso a tale consiglio, non esistono dei precisi criteri scientifici. Oggi il regno conta 150 mourchidates e 36 studiose che operano all’interno dei vari consigli nazionali.

Souad Rahaim, studiosa della religione presso il consiglio Eljadida ulema, è nata nel 1964 a Kenitra e nel 2000 ha conseguito un dottorato presso la Facoltà di Studi islamici dell’Università di Eljadida. Citando il versetto del Corano in cui si dice che donne e uomini devono essere compagni nella dawa (attività di proselitismo in favore dell’Islam), Souad Rahaim, intervistata da Attajdid, spiega che, nell’istruzione religiosa, il contributo che le donne offrono ai colleghi maschi costituisce una necessità religiosa e un’evoluzione.

Khadija Ben Hamo è un altro membro del consiglio di Taroudant. Laureata presso la Facoltà di sharia dell’Università di Fez, insegna istruzione islamica. Si definisce una delle prime donne impegnate nella dawa (attività di proselitismo in favore dell’islam) di questa nuova era. Ben Hamo ritiene che il cambiamento della politica statale di reclutamento degli studiosi della religione sia frutto della chiara e particolare visione del giovane re sul modo in cui dovrà essere il Marocco del XXI secolo. Ben Hamo è convinta che il contributo delle donne alla ricostruzione della sfera religiosa sarà prezioso in termini di riforma e di modernizzazione.

Fatima Bouselama, che ha conseguito un dottorato nel 2004, è stata nominata teologa in un consiglio religioso tre mesi dopo la laurea. Il suo compito è quello di formare i predicatori e coloro che si impegnano nella dawa (attività di proselitismo in favore dell’islam), vale a dire guidare i fedeli su temi pertinenti alla religione. Bouselama ritiene che le donne contribuiranno su un piano di parità con gli uomini ad eliminare l’isolamento dei consigli religiosi rispetto al loro ambiente sociale e precisa che le donne che hanno una preparazione religiosa tendono ad interessarsi soprattutto dei temi femminili e conoscono meglio dei colleghi maschi la fiqh anissae (giurisprudenza islamica relativa alle donne).

Benché impegnate nella formazione delle mourchidates, queste alemat, o teologhe, non si occupano di polemiche o di temi controversi sui quali i teologi hanno opinioni differenti, ponendo invece l’accento sull’unità dell’islam. Ciò perché all’amma (la gente comune) non serve apprendere le dottrine islamiche diverse dalla dottrina Maliki, dal momento che la confusione con più di una dottrina (madhab) corromperebbe il maqasid (l’intento della sharia). La dedizione ad una madhab (scuola) crea unità e armonia tra i singoli musulmani, allontanandoli dal fitna (caos). Gli obiettivi principali del predicatore sono dunque dare risalto alla wahda (unità) allo scopo di trovare un equilibrio tra l’interesse individuale e quello della comunità (maslaha) e diffondere una cultura di cooperazione, sicurezza e pace.

Il ministro per gli affari religiosi ha spiegato che la selezione delle teologhe ha richiesto un intero anno e che i criteri applicati richiedevano che le donne, le quali lavoravano per il più alto consiglio religioso o per quelli locali, fossero consce degli obiettivi o degli intenti della sharia (fiqh masquasidi), sapessero in che modo adattare la sharia o il diritto islamico alle condizioni attuali, e fossero esperte della giurisprudenza (fiqh) recente. Il ministro ha spiegato che tali criteri sono quelli applicati per selezionare i membri del consiglio degli ulema, indipendentemente dal loro sesso. Taoufiq ha poi sottolineato che il fatto di nominare delle donne riveste un particolare significato simbolico poiché esse, a loro volta, mobiliteranno altre donne che si impegneranno nella teologia.

L’aspettativa è che queste teologhe possano svolgere un ruolo più importante nella promozione dell’islam moderato (manhag al-wastia). Ciò è diventato più urgente con l’emendamento del diritto di famiglia e l’affermarsi del wahabismo, accusato di diffondere il cosiddetto islam radicale che ha prodotto gli attentatori suicidi responsabili di vari attacchi nel 2003 e nel 2006.

Cambiare le mentalità: un compito molto difficile!

Nel settembre 2006 l’Alto Commissario per la Pianificazione del Marocco ha pubblicato un rapporto intitolato «La donna marocchina sotto lo sguardo del suo ambiente sociale». Per conoscere e misurare il livello di accettazione e/o di resistenza dei marocchini al «cambiamento» o a quella che viene chiamata «la modernizzazione nazionale e il progetto di democratizzazione», i responsabili del Ministero per la Pianificazione hanno deciso di effettuare uno studio su un campione di 7.400 individui rappresentativi dell’insieme della società di età superiore ai 15 anni, tra cui il 48% uomini e il 52% donne, al fine di stilare statistiche che misurino l’adesione o il rifiuto relativamente alla «libertà di abbigliamento delle donne». Come indica il rapporto, tale argomento era uno tra numerosi altri su cui i marocchini dovevano esprimere la loro posizione, percezione e comportamento, in merito al crescente accesso delle donne all’istruzione, al lavoro stipendiato, alla leadership politica e istituzionale.

Anche senza voler entrare nel merito della rappresentatività del campione scelto dallo studio del Ministero, i risultati della ricerca segnalano l’ambivalenza dei marocchini rispetto all’accesso delle donne a ruoli sociali e politici, una certa esitazione tra adesione e rifiuto in merito all’accesso all’istruzione e al lavoro stipendiato, che raccolgono rispettivamente l’81 e il 74% di pareri favorevoli tra le persone intervistate, mentre il 77% delle risposte indica che il posto della donna è a casa. I risultati segnalano anche che il 77,5% risponde «contrario» alla domanda: «siete favorevoli o contrari alla libertà di abbigliamento delle donne?».

La voce di Fatima Mernissi

I risultati dell’inchiesta sono stati resi pubblici durante una conferenza stampa organizzata dal Ministero per la Pianificazione in presenza di Fatima Mernissi, che da molto tempo ormai ha sviluppato alcune argomentazioni fondate su alcuni hadiths o parole del profeta sul «diritto delle donne alla libertà, e la valorizzazione dell’islam all’accesso delle donne al più alto grado di istruzione» Un’argomentazione che Mernissi ha sviluppato brillantemente nel suo libro «Le harem politique: le Prophète et les femmes», libro che fu vietato all’atto della sua pubblicazione all’inizio degli anni Ottanta. 

Nel 2006, nell’ottica e nella volontà proclamata ufficialmente di «cambiamento» e di riforma, Mernissi è stata invitata da un’istituzione politica centrale a difendere le tesi di un islam moderato aperto all’uguaglianza di genere e alla libertà di abbigliamento delle donne. Mernissi afferma che qualsiasi opposizione alla libertà delle donne è semplicemente il risultato dell’ignoranza dei marocchini in merito alla loro tradizione religiosa. Dopo aver esposto i suddetti hadits, Mernissi ha proposto di realizzare un’altra indagine sulle reazioni dei marocchini agli hadits a favore delle donne, quali: «solo un uomo onorabile le onorerà; e solo un uomo ignobile le svilirà». Notiamo che si tratta delle stesse parole del profeta utilizzate, nel 2004, da Re Mohamed VI per giustificare l’introduzione della nozione di equità tra generi nella riforma del codice di famiglia. Tale riforma intrapresa da Mohamed VI si colloca all’interno di un più ampio cambiamento della politica generale nei confronti delle donne, fondata sullo «spirito ugualitario dell’islam e sui principi umani universali». Adottando lo stesso atteggiamento usato per la riforma del codice di famiglia, il Re aveva innovato proponendo l’elezione di una quota di trentatre donne nel Parlamento marocchino (che ne conta di norma tre).

Resistenza al cambiamento

Considerata un indicatore per capire la resistenza al «cambiamento» intrapreso dalle autorità marocchine, la questione della libertà di abbigliamento delle donne sembra essere il punto importante dell’atteggiamento dei marocchini nei confronti dei progetti di riforma e di modernizzazione. Anche se l’uso del velo non è stato direttamente preso in considerazione e la domanda «siete a favore o contrari alla libertà di abbigliamento delle donne?» è ambigua, tale domanda indica l’importanza che le istituzioni politiche accordano all’atteggiamento positivo dei marocchini verso la libertà di abbigliamento delle donne. Secondo il ministro responsabile di questa ricerca, i risultati indicano che, per quanto attiene allo status, al ruolo e ai comportamenti della donna, la società marocchina è in una fase di transizione da una società tradizionale verso una società moderna.

Sia il sito della rete femminista marocchina «Anaruz» che la stampa liberale o indipendente sembravano condividere il punto di vista del ministro e i loro commenti sottolineano come la maggiore resistenza alla modernità fosse illustrata dall’intolleranza alla libertà di abbigliamento delle donne, e in particolare dal fatto che non solo questa disapprovazione non veniva espressa in modo uniforme dalle persone provenienti dalle campagne e dalle città, ma che persone che si consideravano «moderne», come gli universitari, esprimessero l’85% di opposizione, mentre tale scelta riguardava solo il 71% delle persone non scolarizzate.

Questi risultati non riguardano tanto le donne quanto il contesto politico, che si interroga su che cosa sia la nazione in un determinato momento basandosi in primo luogo sull’identità e il corpo della donna. Dopo essere stato il bastione dell’identità musulmana nazionale e una roccaforte contro l’«influenza occidentale», le donne sono ormai considerate le protagoniste del progetto nazionale di modernizzazione e di cambiamento.

Souad Eddouada è assistente presso l’Università Ibn Tofail di Kenitra in Marocco


Note:
(1) Durante un’intervista televisiva, il ministro degli Affari islamici ha lasciato intendere che le donne alemat (studiose della religione) e murshidat (predicatrici) rivestono un valore simbolico perché ispireranno altre donne a partecipare alla vita religiosa islamica.

(Traduzione di Antonella Cesarini e Silvana Mazzoni) 

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