“Ora lasciate che il Kosovo diventi indipendente”
Sabine Freizer (Crisis Group) intervistata da Alessandra Cardinale 20 November 2007

In un recente documento della Commissione europea il Kosovo ne esce molto male: tasso di disoccupazione del 60%, una corruzione endemica e istituzioni deboli. Detto ciò, che futuro ha un Paese che ancor prima di nascere presenta tutte queste problematiche?

E’ chiaro che il Kosovo procederà alla proclamazione unilaterale di indipendenza l’anno prossimo. Già una decina di anni fa, il Kosovo si autodichiarò indipendente e dal 1999 è stato amministrato dalle Nazioni Unite, ciò significa che la Serbia non ha mai totalmente esercitato il proprio potere su questo territorio. I punti che lei ha menzionato preoccupano lo stesso establishment kosovaro, soprattutto l’aspetto economico. Ma l’obiettivo delle Nazioni Unite è quello di dare loro l’opportunità di sviluppare le proprie istituzioni. Come si legge nel piano Ahtisaari, al Kosovo spetta un’indipendenza “incondizionata”. (Martti Ahtisaari, ex Presidente finlandese, ora inviato speciale ONU, ha presentato l’omonimo piano nel marzo 2007 al Segretario generale delle Nazioni Unite: si tratta di un compromesso che offre agli albanesi del Kosovo un prospetto per il raggiungimento di una piena indipendenza, ndr). Dunque, appare chiaro che le Nazioni Unite si stiano muovendo nella direzione indicata dal piano Ahtisaari.

Alcuni esperti ritengono che il piano Ahtisaari sia piuttosto ambiguo perché non parla mai esplicitamente di indipendenza piena. Cosa ne pensa?

Il piano Ahtisaari è diviso in due sezioni: nella parte riservata alle raccomandazioni non c’è nessuna ambiguità perché l’indipendenza incondizionata è messa nero su bianco. Nel testo ampliato, sicuramente molto più tecnico, dove Ahtisaari spiega a che categoria appartengono i diritti delle minoranze e che istituzioni creare, appare chiaro, nonostante i tecnicismi, che il Kosovo avrà un proprio governo, una propria Costituzione, e proprie leggi, e questo nuovo apparato ovviamente nascerà e vivrà senza alcuna ingerenza da parte di Belgrado.

Perché la Russia è contraria all’indipendenza del Kosovo?

La Russia ha diversi motivi per non appoggiare l’indipendenza. Da un lato c’è il legame storico con la Serbia. La Russia, infatti, fa in modo di non “deludere” i suoi clienti politici, sociali, economici che risiedono nei Balcani. Dall’altro il Cremino vuole assicurarsi che nel dibattito tra il diritto all’autodeterminazione e il principio d’integrità territoriale, prevalga quest’ultimo, che considera fondamentale per evitare di mettere in crisi la propria influenza sulle regioni nel Nord del Caucaso. In ultimo, penso sia un’opportunità per la Russia di consolidare nei confronti degli Usa e dell’Europa il proprio potere. Queste sono le motivazioni principali per cui la Russia mantiene una linea dura.

L’Unione Europea può essere un giocatore chiave sullo scacchiere balcanico. Ma fino ad ora gli Stati membri sembrano alquanto esitanti. La Spagna, per esempio, molto probabilmente non appoggerà l’indipendenza del Kosovo per evitare che i gruppi separatisti baschi strumentalizzino questa vicenda per avanzare richieste indipendentiste.

Vorrei prima di tutto sottolineare il fatto che il caso del Kosovo è unico nel suo genere. Ritengo che la Spagna, o qualsiasi altro paese europeo, non abbia motivo di temere che si possa verificare un “caso Kosovo” all’interno del proprio Stato: il modo in cui Milosevic trattò gli albanesi kosovari nel 1999 non è assolutamente paragonabile con la politica di Madrid nei confronti dei baschi, dei catalani o di altri gruppi spagnoli. Dunque ciò che è successo in Kosovo e quello che potrebbe accadere in Europa occidentale per mano di gruppi separatisti tesi a frammentare l’unità del proprio paese sono due problematiche diverse. In generale, ritengo che sì, esiste una certa esitazione nel dibattere sul tema dell’indipendenza in Kosovo e questo perché gli Stati europei preferiscono decidere sullo spiegamento di un’altra missione Onu che, tra l’altro, potrebbe verificarsi l’anno prossimo. Il punto è che in questo caso sarebbe una decisone legittimata dal diritto. In futuro è prevista anche un’altra missione chiamata ICO, International Civilian Office, che verrà sostenuta dall’UE. Ma quando arriverà il momento critico, credo che la maggioranza dei paesi riconoscerà il Kosovo come Stato indipendente. Alcuni potrebbero pensare che questa non sia la soluzione ideale ma l’Europa deve mostrarsi unita e sono convinta che alla fine anche la Spagna farà marcia indietro: è una situazione che per troppo tempo è stata abbandonata a se stessa e di certo lasciarla in stand-by non sarebbe conveniente per nessuno.

Qual è la sua opinione sul piano di ripartizione, sulla possibilità che il Kosovo del Nord, che ospita all’incirca 50.000 serbi, si stacchi dal resto del Paese?

Questo è uno dei problemi più importanti. La popolazione serba che vive in quelle zone minaccia di non accettare la dichiarazione d’indipendenza di Pristina e, magari, di staccarsi per ricongiungersi con la Serbia o rimanere un’entità galleggiante. Se dovesse verificarsi questo, sarebbe certamente fonte di altri problemi. Prima di tutto perché ci sono più serbi nella parte sud del Kosovo, e una soluzione del genere li metterebbe in una posizione delicata. Penso che, in merito, la comunità internazionale dovrà essere molto chiara e decisa: non ci dovrà essere nessuna partizione del Kosovo e, se da un lato gli albanesi kosovari dovranno proteggere la popolazione serba al nord come al sud, Belgrado dovrà smettere di fomentare ulteriori divisioni, come ha fatto alcuni giorni fa (18 novembre 2007, ndr), invitando i serbi a boicottare le elezioni che si sono tenute in Kosovo.

Cosa succederà il prossimo 10 dicembre?

Il 10 dicembre è la data di scadenza entro la quale la Troika (USA, Russia e UE, ndr) dovrà presentare un rapporto al Segretario Generale della Nazioni Unite. E’anche possibile che anticipino i tempi. Penso che gli albanesi kosovari siano consapevoli del fatto che sono liberi di poter proclamare la loro indipendenza ma che questa avrà un senso nel momento in cui verrà riconosciuta dagli altri. Qui a Bruxelles la speranza è che la comunità internazionale riesca in qualche modo a portare avanti questo processo e lavorare insieme a Pristina per trovare il momento opportuno per ufficializzare l’indipendenza.

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