Islamkonferenz, primi passi di un percorso lunghissimo
Matteo Landricina 4 June 2007

Inaugurata da Schäuble a Berlino il 27 settembre del 2006, questa conferenza di dialogo, della durata prevista di almeno due o tre anni, vuole essere nell’intenzione degli organizzatori uno strumento per migliorare il rapporto tra la società, le istituzioni tedesche e le centinaia di migliaia di persone musulmane che vivono in Germania, favorendone l’integrazione e contrastando la diffusione del terrorismo di matrice islamica. Le organizzazioni islamiche sperano dal canto loro di ottenere nel corso delle trattative il riconoscimento di uno status politico e giuridico paragonabile a quello delle comunità cristiane ed ebraiche.

Vi partecipano, per lo Stato, rappresentanti dei ministeri federali, dei singoli Länder, e dei comuni. Per i musulmani sono schierati invece, oltre ad una serie di personalità indipendenti che rappresentano le diverse sfumature della società civile ed intellettuale tedesco-musulmana (come la sociologa Necla Kelek, l’avvocatessa Seyran Ates, lo scrittore Feridun Zaimoglu, e la dentista di Francoforte Ezhar Cezairli), le varie organizzazioni islamiche più influenti, che si sono da poco raccolte in un Consiglio di Coordinazione dei Musulmani: l’Unione Turco-Islamica dell’Istituto per la Religione, il Consiglio Centrale dei Musulmani in Germania, il Consiglio Islamico e l’Unione dei Centri di Cultura Islamica.

In Germania vivono, secondo le statistiche ufficiali, tra i 3,2 e i 3,5 milioni di persone di religione islamica, di cui l’80 per cento sono sunniti, il 17 per cento aleviti, e il restante 3 per cento sciiti. Il dato complessivo include comunque anche i musulmani “non praticanti”. Circa un terzo di questi tre milioni di musulmani sono cittadini tedeschi, ma l’85-90 per cento dei musulmani che vivono in Germania non appartengono ad alcuna organizzazione o centro di cultura in particolare, cosa che non ha mancato di sollevare critiche e perplessità rispetto alla capacità della conferenza di rappresentare questa vasta realtà. Il ministro Schäuble si è affrettato a ribadire che le organizzazioni presenti alla DIK non possono parlare a nome dell’intera comunità islamica, ma non ha tuttavia voluto finora decretare l’istituzione di un organismo di rappresentanza centralizzato dei musulmani, come hanno fatto invece i francesi nel 1999, con il patrocinio dell’allora ministro dell’interno Nicolas Sarkozy, istituendo il Conseil Français du Culte Musulman (CFCM).

La Deutsche Islam Konferenz è strutturata in tre gruppi di lavoro, che si riuniscono ogni due mesi, e si occupano rispettivamente di „Struttura Sociale Tedesca e Consenso sui Valori”, “Questioni Religiose nella Concezione Costituzionale Tedesca”, ed “Economia e Media come Ponte”. In più si riunisce periodicamente una tavola rotonda che si occupa del problema “Sicurezza ed Islamismo”. Vengono affrontati temi come la parità tra uomo e donna, l’educazione fisica congiunta per maschi e femmine nelle scuole pubbliche, il velo, l’insegnamento dell’Islam in lingua tedesca, la formazione degli imam in Germania (che in questo momento vengono in gran parte “importati” dall’estero) e la lotta all’estremismo.

I momenti di conflitto non mancano. Il primo importante punto di attrito è dato dalla questione su chi sia legittimato a partecipare alla conferenza, a titolo di rappresentante della comunità musulmana. Oltre al problema della scarsa rappresentatività delle organizzazioni presenti, ha fatto molto discutere la presenza ai lavori della DIK di personaggi tenuti sotto osservazione dai servizi di sicurezza federali per presunti legami con gruppi eversivi, oltre che per atteggiamenti e posizioni incompatibili con l’ordinamento costituzionale democratico. Tra questi, il presidente della “Comunità Islamica in Germania”, Ibrahim El-Zayat, contestato per i suoi collegamenti con la Fratellanza Musulmana, ed il leader del Consiglio Islamico, Ali Kizilkaya. Desta preoccupazione l’influenza che su questi gruppi esercita anche l’ultraconservatrice “Comunità Islamica Milli Görüs”: la televisione pubblica ARD è tra l’altro recentemente entrata in possesso di filmati in cui si vedono membri della Milli Görüs inneggiare pubblicamente in Germania al califfato islamico come modello politico ideale. D’altro canto, la posizione di Schäuble era stata chiara: “Se già in partenza escludo tutti quelli che non stanno al cento per cento sul terreno del Grundgesetz (la costituzione tedesca, ndr), allora posso proprio lasciar perdere”, ha dichiarato il ministro in un’intervista al quotidiano Die Welt.

I rappresentanti dei musulmani, invece, nel gruppo di lavoro Economia e Media, si sono a lungo lamentati dell’immagine, a detta loro distorta e fuorviante, riportata dai mass media sulla realtà dell’Islam tedesco, arrivando perfino a paragonare la propria condizione a quella degli ebrei durante il nazismo. La Germania sconta un notevole ritardo nello sviluppo di una politica dell’integrazione, essendosi fino a poco tempo fa rifiutata di considerarsi un paese di immigrazione. Nonostante la presenza di milioni di stranieri, venuti come Gastarbeiter a partire dagli anni cinquanta prima da Italia e Grecia, poi soprattutto dalla Turchia, dal Maghreb e dai Balcani, la società tedesca si era sempre rifiutata di intraprendere passi decisivi verso l’integrazione, tollerando di fatto la nascita di “società parallele”. Il risultato sono persone che dopo quarant’anni vissuti in Germania non parlano una parola di tedesco o quasi, e una escalation di malcontento, disoccupazione e problemi sociali tra i giovani soprattutto musulmani con background migratorio.

Possibili scenari di rivolta come in Francia o di attività terroristiche suscitano adesso paure nell’opinione pubblica. L’11 settembre, i cui organizzatori possedevano una base logistica ad Amburgo, ed il proliferare del radicalismo islamico e del jihadismo in ambienti legati a talune moschee e comunità, hanno posto le istituzioni tedesche di fronte all’urgenza di aprire un dialogo col variegato mondo dell’Islam, nella speranza di scongiurare un attentato di vaste proporzioni come a Londra e Madrid. Alcuni complotti, organizzati per la verità in maniera abbastanza dilettantistica, sono stati fortunatamente sventati, ma il livello di guardia resta alto, come ha ribadito Schäuble in conferenza stampa il 15 Maggio: “La maggiore minaccia per la stabilità e la sicurezza in Germania continua ad essere rappresentata dal terrorismo islamista. Anche la Germania deve fare i conti con una nuova qualità di attività terroristica.”

Il ministro, e più in generale la società, si augurano l’avvento di un Islam “illuminato”, in grado di coniugare fede e ragione e di isolare gli elementi più pericolosi al proprio interno. Il percorso sarà ancora molto lungo e spinoso, comunque, vista la polarizzazione tra le posizioni in campo, anche tra le varie anime dell’Islam tedesco. Lo scrittore Feridun Zaimoglu, ad esempio, polemizzando con le donne islamo-critiche “mediaticamente pompate” presenti alla DIK, faceva notare l’assenza di donne musulmane religiose ed orgogliose portatrici di velo, a suo avviso una realtà importante a rischio di essere oscurata. Verissimo, anche se, come giustamente osservava Christian Geyer per la FAZ, non possiamo prendercela con le musulmane laiche, se le organizzazioni religiose hanno scelto di non inviare alla conferenza una sola donna come delegata.

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