Rivoluzioni islamiche? No, dei giovani
3 March 2011

“È un libro di storia moderna, perché in quest’ultimo periodo il mondo è cambiato profondamente” esordisce così l’ex Presidente del Consiglio italiano Giuliano Amato per introdurre il libro I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo (Edizioni Utet), scritto da Massimo Campanini e Karim Mezran. E in effetti, il tema è di grande attualità, considerate le trasformazioni in atto in Medio Oriente. Le rivolte in Egitto, Tunisia e Libia pongono diversi interrogativi sulle cause che hanno scatenato questi conflitti in questo momento storico, e sulle conseguenze. Perché, come sottolinea ancora Amato, presidente del Comitato Scientifico di Resetdoc, “l’aspettativa è che se cambia qualcosa ci possiamo trovare davanti all’egemonia dei Fratelli Musulmani, che rappresentano una significativa frazione della popolazione”. I Fratelli Musulmani sono uno dei più grandi movimenti islamici al mondo, molto potente e influente, che chiede una stretta osservanza dei principi del Corano, si oppone alla secolarizzazione dei paesi islamici e è contrario alle influenze occidentali.

“Il fondatore dei Fratelli Musulmani, Hassan al-Banna, che ha instaurato il movimento nel 1928, è morto” – spiega il giornalista del Sole 24 Ore Alberto Negri – “ma sono ancora in vita il fratello, i figli e i nipoti. Forse il più interessante è il movimento che si è sviluppato in Egitto, perché rappresenta il periodo iniziale, ma non bisogna dimenticare che esistono forti derive radicali. E’ necessario poi fare una distinzione generazionale. In occasione delle rivolte, i giovani si sono comportati in maniera del tutto autonoma e, con l’obiettivo di abbattere Mubarak, sono scesi in piazza senza aspettare il via libera dalla dirigenza. Ora bisogna vedere quali saranno le dinamiche politiche successive, dove avrà peso l’esperienza della dirigenza e il ruolo degli anziani. Sicuramente, nella ricostituzione dei nuovi equilibri nel paese, sarà presente una parte del regime che non è stato abbattuto, ma tenterà di ricostituirsi intorno all’esercito. In Egitto e in Tunisia, i regimi dittatoriali hanno congelato la politica, mentre in Libia la situazione peggiorerà con il passare del tempo”.

Per Francesca Corrao, docente di lingua e letteratura araba alla Luiss, le rivolte erano prevedibili. “In paesi dove non esiste la libertà di espressione e di manifestare i propri pensieri” – spiega Corrao – “il modo per comunicare sono i romanzi, le poesie e le barzellette. Un’attenta analisi dimostrava che ormai il livello di insofferenza era diventato insopportabile, mentre in Tunisia non parlava nessuno, il sistema potrebbe essere infatti paragonato alla DDR, dove in ogni famiglia esisteva almeno una spia. Questa storia però sarà tutta da riscrivere”. Inoltre “è in atto un movimento estremamente importante nell’area mediterranea e ci spiega come evolve il pensiero politico nel mondo arabo. I Fratelli Musulmani, nonostante una presentazione molto violenta, hanno portato l’attenzione su un’etica islamica moderna. Dopo il periodo del colonialismo e del nazionalismo, ora è necessaria una rielaborazione, anche perché non esiste un solo pensiero islamico e, in questi anni, è cresciuta la capacità di evolvere”.

Dunque la necessità di libertà per i popoli di questi paesi era ormai impellente, ma il problema è comprendere come sarà possibile conciliare l’Islam con la democrazia. “Ricordiamoci che non siamo gli unici detentori della democrazia, che forse è più sviluppata nei paesi arabi che in Italia” – sottolinea la Corrao – “Per comprendere meglio, bisogna tener presente che in piazza Tahrir al Qaradawi ha ribadito la pluralità delle religioni e il rispetto per musulmani e cristiani, e anche il sistema dei blog ha dimostrato una solidarietà transazionale che è il principio fondante dei paesi arabi”. Su questo punto concorda anche Amato, che ricorda che “dopo l’umiliazione a cui l’Occidente ha sottoposto il mondo islamico, ora non pretendiamo che tutte le democrazie del mondo debbano essere modellate sul nostro modo di intenderle”. E infatti ribadisce il professore dell’Orientale di Napoli Massimo Campanini, uno degli autori del volume, che “l’obiettivo del libro è trovare nuove strade, per capire se esistono fenomenologie teoriche e pratiche, o nuove possibilità e indirizzi per comprendere il sistema politico arabo. Il mondo arabo e musulmano non è Oriente, ma Occidente, c’è un legame storico. Bisogna capire se esiste una via islamica alla democrazia e i Fratelli Musulmani possono dare un contributo in questa direzione perché, pur considerando le tendenze estremiste, sono un fenomeno interessante. Se esiste una via islamica alla democrazia, probabilmente i Fratelli Musulmani l’hanno percorsa con grandi contraddizioni e bisogna vedere cosa faranno quando saranno chiamati a formare una nuova realtà in Egitto”.

“Quando sento parlare di pericolo islamico, in questo momento, io mi sento offeso” – attacca il giornalista marocchino Zouhir Louassini – “Cosa dobbiamo fare per convincere gli occidentali che è una rivoluzione democratica? I manifesti che la gente usava erano in varie lingue perché si voleva dialogare con gli altri, una ragazza portava addirittura una scritta Yes, we can. La voglia era di trasmettere un senso di tranquillità perché nei paesi arabi la gente cerca un cambiamento, una libertà vera. Basta a questo egocentrismo occidentale, bisogna rispettare la volontà dei popoli e probabilmente stiamo andando verso il modello turco, con un partito islamico che conserva e rispetta le regole del mondo laico”. Per Karim Mezran invece era difficilissimo prevedere quello che è accaduto, soprattutto in Tunisia, dove niente faceva presagire un tale malcontento. “Inoltre in Libia” – conclude Mezran – “un’analisi strutturale con dati alla mano dimostra che il paese era in rapida espansione. Quando tutti i dati economici e sociali erano in netto miglioramento, si è scatenata la rivolta”.

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