“Se ci fosse ancora il Mahatma, si vergognerebbe di noi”
Mohan Guruswami intervistato da Valeria Fraschetti 4 November 2008

L’India è descritta da molti come una democrazia in cui si respira tolleranza, ma sempre più spesso è teatro di azioni terroristiche e violenze interreligiose. A sessant’anni dalla morte del Mahatma, quanto sono ancora vivi i suoi richiami pacifisti tra gli indiani?

In realtà l’India non era tollerante neanche ai tempi di Gandhi, lui stesso è stato spettatore delle violente conseguenze cui portò la Partizione, la separazione di India e Pakistan. Non solo l’India ha combattuto diverse guerre con i paesi vicini, ma ancor peggio, internamente, lo Stato usa la violenza verso i suoi cittadini, e viceversa. I cittadini la usano tra loro. Non c’è giorno che i giornali non riferiscano di violenze scoppiate per questioni legate al sistema delle caste, alla religione o al razzismo. Dov’è il pacifismo predicato da Gandhi? Gli indiani non hanno rispetto per la sua filosofia.

Un’altra delle sue preoccupazioni era il secolarismo della nazione indiana. I gruppi radicali hindu però reclamano sempre con più forza un’India induista. L’India è mai stata il paese secolare che Gandhi sognava?

Il Mahatma era un secolarista nel senso di tollerante, ma era anche un induista molto osservante. Lui stesso, infatti, usò la religione per mobilitare le persone, per esempio attraverso il Movimento del Califfato. Dopo la prima guerra mondiale, quando gli alleati stavano abolendo i califfi dall’impero ottomano, Gandhi protestò e si coalizzò con i musulmani che guidavano il movimento in India. Allo stesso tempo, Gandhi era contrario al macello delle vacche, ma favorevole ad una riforma della società induista. Era ad esempio in favore delle caste, ma sosteneva che non bisognava discriminare in base alle caste. Ma la tolleranza gandiana non solo non c’è più in India, ma non c’è mai stata. La società indiana per alcuni versi è ancora primitiva. E i nazionalisti indù, forti già ai tempi di Gandhi, oggi sono ovunque nei posti di potere.

Esiste un dialogo costruttivo tra le varie comunità religiose presenti in India? Come si può renderlo più efficace?

Il dialogo esiste, ma il problema è che a stabilire l’agenda politica sono gli estremisti perché, come sempre succede, parlano a voce più alta dei moderati. Il dialogo può migliorare solo se c’è più tolleranza. E qui è lo Stato che deve intervenire combattendo l’estremismo, diventando intollerante verso il terrorismo.

Diversi partiti politici, tra cui soprattutto il Partito del Congresso, sostengono a turno di essere eredi di Gandhi e ambasciatori del suo pensiero. Lo sono davvero?

Il Partito del Congresso, di cui Gandhi era parte, è la prova vivente che Gandhi non ha rilevanza. Lui sosteneva che, una volta raggiunta l’indipendenza dell’India, il partito andava smantellato. Perché credeva che i cittadini dovessero scegliere il proprio governo non attraverso i partiti, ma votando direttamente le persone, in base allo spessore morale del loro carattere. Per cui la sopravvivenza stessa del Congresso rappresenta di per sé la negazione delle sue volontà. Oggi tutti i partiti rievocano a turno i valori di Gandhi, persino i radicali del Baratiya Janata Party. Ma il Mahatma è oramai solo un’icona, un mito strumentalizzato per fini politici.

Quindi non c’è alcuna traccia dei valori gandiani nelle politiche che guidano il Paese?

Una volta qualcuno chiese al Mahatma cosa lo sorprendeva maggiormente. «La durezza del cuore delle persone che occupano i posti di potere», rispose Gandhi. Ed oggi questo è ancora più vero. Nella società e nello Stato non c’è compassione per i poveri. Troppo spesso non hanno a disposizione neanche i servizi primari, come le scuole e gli ospedali. E’ evidente che l’eredità morale di Gandhi è svanita. Qual è il sistema di valori di uno Stato che lancia una missione lunare, ma che dice di non avere soldi per costruire le scuole? Il 60% per cento delle donne è ancora analfabeta in India. Se oggi ci fosse Gandhi saremmo un paese più equilibrato. Perché prima di adottare una nuova politica, di approvare una legge, la prima cosa da fare, diceva lui, era pensare alle fasce povere.

Gandhi era un forte critico dell’intoccabilità. Per quanto la pratica sia ancora presente, oggi il Mahatma troverebbe meno discriminazione nei confronti dei Dalit.

Certo, ma il merito è soprattutto delle “affermative actions” adottate dallo Stato, non tanto di un cambiamento culturale. Inoltre, quando un gruppo inizia a votare in base alla sua identità – come fanno oggi gli intoccabili, che hanno i loro rappresentanti politici – gli altri cominciano a portarti più rispetto.

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