Ian Buruma, l’Euroislam e i fondamentalisti dell’Illuminismo
Un dibattito internazionale 29 May 2007

Sarà l’Islam che si europeizzerà, o sarà l’Europa a islamizzarsi? La questione è considerata di quelle che decideranno il nuovo secolo. E non a caso, da qualche anno, sta dividendo aspramente gli intellettuali del Vecchio Continente. L’ultima polemica si è prolungata sulla stampa europea (e non solo) per ben 4 mesi, e ha visto fronteggiarsi due fronti che non si sono risparmiati colpi bassi. Da una parte Ian Buruma e Timothy Garton Ash, critici verso quelli che, nel condannare versioni fondamentaliste dell’Islam, diventano a loro dire dei “fondamentalisti dell’Illuminismo”, credono che senza la religione (qualsiasi religione) si starebbe molto meglio. Dall’altra parte Pascal Bruckner e Ayaan Hirsi Ali (considerati appunto troppo “intolleranti” verso alcune forme radicali di Islam, un po’ come in Italia, per capirci, è considerato spesso l’opinionista del Corriere della Sera Magdi Allam). Una polemica dura e complessa, con passaggi anche contraddittori.

L’origine di tutto: Ian Buruma e la fine del modello olandese

Il settembre scorso l’intellettuale olandese Ian Buruma (professore di Democrazia, diritti umani e giornalismo al Bard College di New York, e co-autore di “Occidentalismo” insieme a Avishai Margalit) pubblica il suo ultimo libro, “Murder in Amsterdam: The Death of Theo Van Gogh and the Limits of Tolerance” (“Assassinio a Amsterdam", Einaudi, 233 pagine, euro 14,50). In esso Buruma torna nella sua Olanda per verificare a che punto sia l’immigrazione dei musulmani in un paese ancora scosso dall’omicidio del regista Theo Van Gogh, “punito” con la morte da un estremista islamico, figlio di immigrati marocchini, per aver girato un film a suo dire “blasfemo” nei confronti dell’Islam. Mohammed Bouyeri, l’assassino, colpì Van Gogh nel pieno centro della città, gli tagliò la gola e gli incise sul petto un messaggio in cui invocava alla guerra santa contro gli infedeli. Il film, “Submission”, racconta lo stato di sottomissione in cui è tenuta la donna in molte famiglie musulmane e proietta citazioni del Corano sul corpo seminudo di alcune donne islamiche.

E’ stato scritto da un personaggio molto noto e discusso in Olanda, la rifugiata somala Ayan Hirsi Ali, allora deputata del partito di centrodestra VVD, che è stata costretta a lasciare i Paesi Bassi (proprio da un ministro del suo stesso partito!) per aver confessato una vecchia irregolarità nella sua domanda di asilo del 1992, ed oggi lavora a Washington presso il think tank neocon American Enterprise Institute. Ebbene, proprio a Hirsi Ali era indirizzato il messaggio inciso sul petto di Van Gogh. Il libro di Buruma, metà saggio e metà reportage, racconta come la morte di Van Gogh abbia rappresentato la fine del multiculturalismo e anche “la fine di un dolce sogno di tolleranza e luce nella più progressista enclave d’Europa”, ma ricorda anche come il mito dell’Olanda tollerante fosse diventato sempre più solo una leggenda, come avevano dimostrato le fortune politiche dell’estrema destra di Pym Fortuyn (assassinato da un fanatico). Alla fine Buruma pone questo interrogativo: cosa succede quando l’Islam politico collide con la società liberale occidentale e la tolleranza è costretta a trovare i suoi limiti?

I fondamentalisti dell’Illuminismo: Garton Ash critica Hirsi Ali

Pochi mesi dopo, il 5 ottobre 2006, sulla New York Review of Books lo storico britannico di Oxford Timothy Garton Ash recensisce due volumi, il libro di Buruma e una raccolta di saggi di Ayaan Hirsi Ali, la sceneggiatrice di Submission, “The Caged Virgin: An Emancipation Proclamation for Women and Islam” (“La vergine imprigionata: una proclamazione di emancipazione per le donne e l’Islam”). Nel suo lunghissimo saggio, Garton Ash racconta con equilibrio la situazione di un’Europa in cui presto i musulmani, in alcuni sobborghi, raggiungeranno una quota anche del 90%, e in cui la loro mancata integrazione potrebbe rappresentare un problema gravissimo. Per l’intellettuale britannico, Bouyeri è uno degli “Inbetween People” (“Persone di mezzo”) che non si sentono a casa loro né in Europa né nei paesi di origine dei propri genitori: abitano “dish cities” (città parabolari”), “connesse alle patrie dei genitori tramite parabole satellitari che portano loro canali tv marocchini o turchi”. Garton Ash racconta poi come “l’affascinante ultimo libro” di Ian Buruma dedichi un capitolo a Hirsi Ali, e vi si sofferma.

“Non manco di rispetto alla signorina Ali se faccio notare che se fosse bassa, tozza e strabica, le sue storie e le sue opinioni non sarebbero così seguite”, attacca l’opinionista del Guardian (e di Repubblica), che loda la rifugiata somala per il coraggio e per le battaglie in difesa delle donne, si rammarica che l’Europa l’abbia lasciata andar via, ma poi la definisce una “Enlightenment fundamentalist”, una fondamentalista dell’Illuminismo, eroina di quegli europei che come lei credono che “non solo l’Islam, ma ogni religione sia un insulto all’intelligenza e un handicap per lo spirito umano”: “La maggior parte di loro crede che un’Europa basata interamente sull’umanesimo secolare sarebbe un’Europa migliore”. Con questo argomento Garton Ash critica la sostanza del messaggio di Hirsi Ali: “Non credo che stia offrendo una soluzione per la maggior parte dei musulmani europei. Una strategia che si aspetta che milioni di musulmani abbandoneranno immediatamente la fede dei propri padri e madri è semplicemente non realistica. Se il messaggio che ascoltano da noi è che la condizione necessaria per essere europei è abbandonare la loro religione, allora sceglieranno di non essere europei. Se gli europei secolari pretendessero ai musulmani di adottare la propria fede – l’umanesimo secolare – sarebbero intolleranti quasi quanto i jihadisti che pretendono che noi adottiamo la loro. Ma, protesteranno i fondamentalisti dell’Illuminismo, la nostra fede è basata sulla ragione! Beh, replicheranno gli altri, la nostra è basata sulla verità!”.

Il razzismo degli antirazzisti: Paul Bruckner difende Hirsi Ali

Il 24 gennaio 2007, sulla rivista tedesca online di Perlentaucher (Signandsight.com), il francese Pascal Bruckner difende Hirsi Ali dalle critiche di Buruma e Garton Ash. Bruckner, uno dei “nouveaux philosophes” francesi, cita Voltaire e attacca subito i due, dicendo che “non si può negare che i nemici della libertà vengono da società libere”. Prova a smontare alcuni dei loro argomenti, e si schiera decisamente dalla parte di Hirsi Ali: “Non basta che Ayaan Hirsi Ali debba vivere come una reclusa, minacciata di morte dai fondamentalisti e circondata da guardie del corpo. Ora deve anche sopportare il ridicolo di questi grandi idealisti e filosofi pantofolai. In Olanda è stata persino chiamata nazista. Così i difensori della libertà sono raffigurati come fascisti, e i fanatici diventano vittime!”. Bruckner tesse le lodi dell’Illuminismo (che “abbatterà anche l’idra islamista”), e accusa Garton Ash di sessismo (o meglio di “outmoded machismo”, cioè “machismo d’altri tempi”): “Ai suoi occhi solo la bellezza e il fascino della parlamentare olandese possono spiegarne il successo mediatico, non la giustezza di quello che dice. Garton Ash non si chiede se il teologo fondamentalista Tariq Ramadan, cui dedica appassionati panegirici, debba anch’egli la sua fama al suo aspetto da playboy”. Così Ian Buruma e Timothy Garton Ash mostrano “lo spirito degli inquisitori che vedevano delle streghe possedute dal male in ogni donna troppo esuberante per i loro gusti”.

Ben presto le critiche del filosofo francese nei riguardi del modello del multiculturalismo (“che riconosce i gruppi, ma opprime gli individui, creando un apartheid legale, un razzismo degli antirazzisti che incatena le persone alle proprie radici”) assumono un valore politico e politico-culturale. Timothy Garton Ash dimostrerebbe una “francofobia degna dei Neocon di Washington”, e allora ecco che la polemica “Buruma/Garton-Ash vs Hirsi-Ali/Bruckner” si trasforma in una battaglia in cui il modello multiculturale anglosassone si contrappone a quello integrazionista francese, in cui il duo Bush-Blair si contrappone perfino al pacifismo franco-europeo (al che, a noi, viene da pensare: ma Ayaan Hirsi Ali, che qui starebbe nel secondo gruppo, non lavora oggi in un think-tank neocon?). Bruckner esalta il modello francese, “risultato della vittoria sull’oscurantismo e su eventi come il massacro di San Bartolomeo. Come possiamo tollerare nell’Islam quello che non tolleriamo più nel cattolicesimo?”. “Incoraggiare un Islam illuminato europeo è fondamentale. L’Europa potrebbe diventare un modello, un luminoso esempio per una riforma che si spera abbia luogo lungo le stesse linee del Vaticano II – conclude Bruckner – E’ tempo di estendere la nostra solidarietà a tutti i ribelli del mondo islamico, ai non-credenti, ai libertini atei, ai dissidenti, alle sentinelle della libertà, così come abbiamo sostenuto i dissidenti dell’Est Europeo nei tempi passati”.

Né razzisti né collaborazionisti: la replica di Buruma

Solo 5 giorni dopo, il 29 gennaio, ecco la risposta di Ian Buruma sempre sulla rivista di Perlentaucher (replica pubblicata in Italia dal Corriere della Sera). Buruma dice di ammirare Hirsi Ali (“Sono d’accordo con la maggior parte delle cose che sostiene”) e ricorda subito che le ultime parole del suo libro sono dedicate a lei stessa (“Il mio paese sembra più piccolo senza di lei”), e che pertanto mai e poi mai se ne può dedurre che la sua opera sia un attacco nei confronti della rifugiata somala. “Le mie divergenze con Hirsi Ali sono piuttosto una questione di enfasi”, sottolinea Buruma, secondo il quale non si può trattare la religione come la radice di ogni male, e non si può credere che le tradizioni e i costumi dell’Islam possano ridursi ad una minaccia monolitica. Poi l’intellettuale olandese invita a saper distinguere (alcune donne, spiega, indossano il velo come segno d’identità, come atto di ribellione), si difende dall’accusa di relativismo spiegando di ritenere ovviamente “intollerabili la violenza contro le donne, la mutilazione genitale delle bambine o i delitti d’onore”. Sebbene Hirsi Ali abbia tutto il diritto di dirlo, secondo Buruma non fa cosa utile quando sostiene che l’Islam è “arretrato” e il suo profeta è “perverso”: “Se abbiamo a cuore una riforma dell’Islam, condannare l’Islam senza tenere conto delle sue molteplici varianti è agire in maniera troppo indiscriminata”.
 
Buruma, al contrario di Bruckner, difende la possibilità di ospedali e spiagge islamiche (“Non sono più terribili di ristoranti kosher o di spiagge per nudisti, non sono paragonabili all’apartheid sudafricana”), e non riesce a capire l’accusa di “inquisitore medievale”: “Solo perché Tim Garton Ash ha sottolineato l’innegabile bellezza e fascino di Ayaan Hirsi Ali? Forse non doveva sottolinearlo, ma che c’entra l’Inquisizione?”. Buruma concede all’“avversario” (di polemica) più di quanto questo si potrebbe attendere (a giudicare dall’asprezza degli attacchi del francese). Sebbene Bruckner lo abbia relegato tra gli anglosassoni multiculturalisti, Buruma replica che ci sono molti aspetti degni di essere ammirati nel modello francese, ma non certo l’idea che lo stato possa (o debba) in qualche modo essere coinvolto nei dogmi o nell’interpretazione delle sacre scritture. Per il resto Buruma, con una certa ostentata serenità, prosegue a colpi di fioretto. Bolla come antiquato lo “sciovinismo gallico” dell’avversario, non si lascia sfuggire la sottile accusa di “collaborazionista” (con cui Bruckner assocerebbe così ai nazisti la maggioranza dei musulmani), etichetta beffardo Bruckner come “il sovrano ribelle della Rive Gauche”, e replica col sarcasmo al suo sarcasmo: “E’ una sensazione interessante, tra l’altro, sentirsi chiamare ‘filosofo pantofolaio’. Mentre Timothy Garton Ash trascorreva anni interi al seguito dei dissidenti dell’Europa dell’Est e io mi trovavo tra i ribelli in Cina e in Corea del Sud, Bruckner, per quanto ne so io, non si è mai allontanato di molto dal centro di Parigi”.

Più Pascal, meno Pascal Bruckner: risponde Garton Ash

Tocca infine a Garton Ash difendersi dalle accuse di Bruckner. Dopo averlo paragonato ad un “ubriaco” che per la strada se la prenda ad alta voce con dei nemici immaginari, sempre su Signandsight.com Garton Ash elenca e confuta gli argomenti mossi dal francese verso di lui, e lo fa sempre portando a riprova i suoi propri testi pubblicati dal Guardian. Tramite essi lo storico di Oxford mostra di aver apprezzato il coraggio di Hirsi Ali, di non aver mai esaltato il multiculturalismo, di aver sempre criticato l’approccio militarista di Bush e Blair, di non poter certo essere definito un francofobo.

“Qui c’è bisogno di un dibattito vitale – spiega poi – Né la versione estrema del multiculturalismo separatista vivi-e-lascia-vivere né il monoculturalismo repubblicano secolarista di cui parla Bruckner sono riusciti a far sentire a casa propria in Europa gli immigrati musulmani e i loro discendenti”. “Mentre difendiamo con volontà di ferro i fondamenti di una società libera, come la libertà di espressione, abbiamo anche bisogno di un’ampia tolleranza per la diversità culturale – conclude Garton Ash, preparando la stoccata finale – e il riconoscimento che i fedeli delle religioni possano essere anche delle persone ragionevoli e dei bravi cittadini. In breve: meno Bruckner, più Pascal”.

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