Come Al Jazeera sfida e migliora il giornalismo egiziano (II)
Courtney C. Radsch 9 July 2007

Courtney C. Radsch è una studiosa e una giornalista freelance specializzata nell’analisi dei media e della politica nel mondo arabo. Quest’articolo è la prima parte dell’intervento che ha tenuto in occasione della conferenza “Al Jazeera and the New Arab Media”, organizzata dal Center for Middle East Studies, dell’Università di Santa Barbara lo scorso maggio.

PARTE SECONDA

Quando il potere passa dallo Stato ai giornalisti

La politica dei governi arabi, fin dall’introduzione della tv nella regione, è consistita nel controllare il potere simbolico dell’etere. Negli anni ’70, ogni paese arabo aveva ormai costruito il proprio sistema televisivo terrestre e molti disponevano di stazioni satellitari. I media di proprietà statale venivano utilizzati solitamente per ritrarre il regime in maniera particolare. Poiché per mantenere il loro dominio coloro che detengono il potere dipendono da una combinazione di coercizione e consenso,essi utilizzano i media e, in particolare, le trasmissioni terrestri facendo loro riflettere l’agenda del potere in modo da generare approvazione. Di conseguenza, in Egitto, criticare il governo è illegale ed è punibile con ammende pecuniarie e con il carcere. Il divieto di criticare il governo (e la religione) ha una lunga storia che si può far risalire alla prima legge sulla stampa della regione, che venne emessa dall’Impero ottomano nel 1857. Esiste anche “negli stati arabi e, in particolare, in Egitto e Arabia Saudita, una lunga tradizione di tentativi di influenzare ciò che viene scritto sui loro governi dalla stampa araba mondiale”, tradizione che risale alla guerra civile in Libano.

Il controllo sulla produzione e sulla diffusione dei media, comunque, è reso sempre più difficile dai cambiamenti distributivi nella sfera della comunicazione e dal potere crescente di campi estranei ai concetti tradizionali militari o economici – un potere che è stato descritto come dolce o simbolico ed è connesso alle teorie dell’attrazione, del framing e dell’agenda-setting. La forza di definire i parametri del dibattito, di demolire lo status quo come ha fatto Al Jazeera o di portare argomenti nella sfera pubblica dà ai media di informazione e ai giornalisti, come creatori dei contenuti, una tipologia di potere sempre più importante. Di conseguenza, in un’era in cui il potere dolce è sempre più rilevante, per accumulare capitale simbolico e influenzare il dibattito pubblico, i mass media offrono strumenti che sono essenziali ai leader e ai movimenti di opposizione che cercano il sostegno del pubblico, un pubblico che non si può più presumere finisca laddove terminano i confini di stato. Informazioni di questo genere, che riferiscono i fatti sul campo – dalle proteste alla povertà – indeboliscono l’autorità ufficiale e sfidano l’autorità e la credibilità dello Stato. “La semplice notizia, il fatto stesso di dare la notizia, di registrarla come reporter, implica sempre una costruzione sociale della realtà che può mobilitare (o smobilitare) individui o gruppi” e, quindi, nelle lotte politiche è in gioco la “capacità di imporre un modo di vedere il mondo”. Man mano che questo potere passa dallo Stato ai giornalisti, il governo deve competere per far accettare la propria versione della realtà sociale nel mercato delle idee.

Una nuova generazione di giornalisti

Per gran parte degli anni ’90 lo Stato e i partiti politici erano ancora in grado di utilizzare i media come strumento politico e contrastavano violentemente lo sviluppo di un campo giornalistico indipendente assumendo giornalisti che trasmettessero i loro messaggi al pubblico e che fossero più dei portavoce che dei veri professionisti. Ma quando, negli ultimi anni del ventesimo secolo, hanno piede percezioni diverse sul ruolo dei media nella politica, è aumentata la pressione per la democratizzazione e per una stampa libera e si sono sviluppate le nuove tecnologie ICT, la competizione tra i canali di informazione arabi è salita alle stelle. Dal momento che le emittenti competono per attrarre pubblici locali e regionali con maggiori aspettative rispetto al passato, i giornalisti hanno iniziato a definirsi in relazione alle aspettative di pubblico anziché rispetto al mandato statale. In passato, il giornalismo era una funzione del potere di Stato e così l’identità giornalistica era contigua al campo politico. Il governo “avrebbe chiuso un occhio” su qualsiasi cosa – dalle finanze, ai bilanci, alle dichiarazioni di diffusione – fintanto che avesse avuto il controllo sui contenuti dei media. Il controllo sulla definizione del prodotto e del contenuto giornalistico arrestava lo sviluppo di un campo giornalistico autonomo e di un habitus professionale. Con il termine habitus ci si riferisce alle disposizioni e alle strutture culturali che modellano la percezione di sé e l’identità e che trasmettono potere sociale; esse sono composte da relazioni sociali strutturate costituite da regole generalmente accettate, norme, pratiche e autorità.

L’habitus giornalistico non poteva svilupparsi finché non fosse emerso un campo giornalistico. La nozione di habitus aiuta a spiegare le strategie per conservare identità e potere, come quella della professionalizzazione. Finché l’imperativo della competizione non ha permeato l’ambiente dei media, il campo politico ha condizionato le strutture e le pratiche culturali dei giornalisti, mentre oggi l’emergere di un campo giornalistico relativamente autonomo, governato da relazioni di potere e pratiche sue proprie, ha dato origine a una nuova generazione di giornalisti che si identificano in base all’habitus professionale e si considerano distinti e separati dallo Stato. Nel mondo di oggi fatto di soft power e comunicazione mediata, sembra che siamo passati in effetti dall’era industriale a un’era governata dal codice, in cui la realtà è un quadro di riferimento, un credere nella verità, che è performativa (specialmente quando rappresentata come nelle breaking news) ma, in definitiva, soggettiva. I sistemi di comunicazione sono legati alla comprensione stessa che uno ha della realtà e, così, i cambiamenti in questi sistemi sono collegati ai cambiamenti concettuali che influenzano i mutamenti intuitivi nel dominio politico. L’informazione, allora, è un’“imposizione di una definizione del mondo”, costruita attraverso le interazioni tra agenti sociali collocati in vari campi che dipendono dal campo giornalistico per presentare la loro visione del mondo al pubblico. Se la conoscenza o “realtà” è costruita attraverso l’interazione sociale, dove la comunicazione è centrale, allora i media e i giornalisti sono attori cruciali nella produzione della realtà. E se il potere deriva dalla struttura del sapere, le persone che ne conoscono o ne controllano la comunicazione, sono particolarmente significative.

Essendo i giornalisti, attraverso i media di informazione, in prima linea nella produzione e nella proiezione del sapere, sono particolarmente importanti perché “danno dei suggerimenti” per focalizzare l’attenzione su ciò che è importante in un contesto saturo di informazioni. Gli eventi trasmessi dalla televisione devono essere innanzitutto tradotti in una storia prima di diventare un “evento comunicativo”, un processo che privilegia la riproduzione di significati dominanti da parte dei giornalisti e dei produttori che operano secondo un codice professionale (Hall). Hall sostiene che codici professionali di questo genere tendono a riprodurre l’egemonia dello Stato, ma la sua analisi dei media commerciali occidentali non tiene nel contesto egiziano. La professionalizzazione dei giornalisti arabi avviene in parte attraverso la critica dello status quo in modo di costruire credibilità agli occhi del pubblico. La sfida al potere dello Stato non è di per sé necessaria, ma poiché il discorso include ora islamisti, democratici liberali e movimenti di opposizione sfida l’egemonia dello Stato e il suo controllo sul discorso sociale. I giornalisti, come i produttori delle serie tv egiziane, stanno diventando “mediatori critici” che lavorano all’interno dei loro codici professionali e tendono verso i loro obiettivi, che non sempre equivalgono a quelli dello Stato.

Una competizione feroce

Da come vanno le cose, gran parte del contenuto prodotto dai giornalisti spesso attacca implicitamente lo status quo attraverso messaggi sulla liberalizzazione, la riforma e la democratizzazione da un lato o il progetto islamista dall’altro. La logica dell’abbondanza, dell’istantaneità e della disponibilità di informazioni che governa le modalità odierne di comunicazione ha favorito lo sviluppo di norme sociali basate sulla produzione e diffusione di informazioni oltre i confini territoriali e sociali e la vocalizzazione dell’opinione in una sfera pubblica che trascenda questi confini. Il cambiamento distributivo portato dalla tv satellitare e dalla globalizzazione favorisce l’immediatezza e la visibilità mentre i produttori cercano costantemente nuovi elementi per riempire il buco di informazione. Il ciclo di notizie 24 ore su 24 deve essere alimentato. I servizi di informazione statali hanno avvertito la pressione delle scadenze e della tempestività, che li ha costretti ad arrivare sulla scena più velocemente e a trasmettere notizie più affidabili. Così i giornalisti delle emittenti statali che hanno detto di essersi sentiti sotto pressione per via di questa competizione finiscono per coprire argomenti che altrimenti potrebbero non essere inclini a pubblicizzare.

La competizione è divenuta così feroce che lo Stato ha creato degli ostacoli per impedire ai propri competitor di arrivare per primi alla storia. Per esempio, durante gli attentati di Dahab del 2006, Nile News voleva arrivare per prima sul posto così i suoi giornalisti vennero trasportati su un aereo speciale e alle altre emittenti venne inizialmente impedito di entrare nell’area. Al Arabiya e Al Jazeera, quindi, mandarono in onda la copertura egiziana, attribuendo credibilità ai giornalisti che erano arrivati lì per primi e la cui copertura venne ritenuta abbastanza buona da essere utilizzata dalle emittenti indipendenti. Tuttavia, sebbene le informazioni di stato egiziane possano essere sempre più competitive quando coprono breaking news come quelle sugli attentati, questo margine competitivo non si estende alle attività dell’opposizione, come nel caso delle proteste. Al momento la maggior parte delle informazioni statali cerca di ignorare le dimostrazioni di massa indicando forse gli interessi acquisiti di quei giornalisti che, per conservare il loro lavoro e le loro posizioni nel campo, possono essere meno inclini a sfidare lo status quo.

Dov’è la verità

Ciononostante la maggior parte dei giornalisti afferma che il governo non può più ignorare il fatto che qualcosa sia accaduto e che mentire sia diventato sempre più difficile; questa pressione, però, non sempre è sufficientemente intensa da obbligare a coprire gli eventi. I media statali continuano infatti a ignorare alcuni fatti importanti per ragioni sia politiche che finanziarie. Quando un giornalista di Nile News venne inviato a coprire la guerra in Iraq dovette soggiornare in un hotel di Amman poco costoso e viaggiare, ogni volta, per 5 ore per arrivare al confine iracheno perché l’emittente statale non aveva denaro a sufficienza per coprire le sue spese. L’affluenza di lavoratori stranieri, giornalisti e appaltatori aveva provocato un’enorme inflazione nella regione di confine che aveva aumentato esageratamente i prezzi per coloro che non avevano i mezzi per pagare a costi occidentali alberghi e provviste. Ovviamente, la scelta di non pagare queste spese per i giornalisti riflette un’influenza economica sulle decisioni prese nel settore dell’informazione che potrebbe benissimo avere uno stimolo politico.

Molte scelte di informazione, tuttavia, riflettono più chiaramente scelte politiche che finanziarie. NileTV, per esempio, non coprì le proteste del maggio 2005 in cui le forze di sicurezza aggredirono sessualmente le donne che dimostravano. E neppure coprì le enormi manifestazioni al centro del Cairo che avvennero durante un incontro della Lega Araba, ma solo la proclamazione ufficiale dei ministri. Un produttore di quell’emittente, che ora lavora per AlJazeera, ha dichiarato di sapere, senza bisogno di chiedere, perché le dimostrazioni “non avrebbero funzionato” su NileTV. Tuttavia esse vennero mostrate da Al Jazeera e dai giornali, così il pubblico non solo “scoprì” il fatto, ma colse anche i canali governativi in fallo per non averne riferito. Non coprendo le proteste lo Stato non aveva potuto raccontare la propria storia e così aveva lasciato il framing delle notizie interamente ai media non statali. I professionisti dei media, anziché i funzionari statali, avevano controllato la narrativa e le immagini che definirono le proteste di opposizione e diffuse, un quadro rafforzato dalla mancanza di una storia contrastante da parte dei media statali. A differenza della crescente polarizzazione del consumo di notizie in Occidente, dove le persone scelgono di rinforzare le loro convinzioni leggendo o guardando ciò che aderisce più da vicino alle loro idee, le persone nel mondo arabo e in Egitto in particolare, sono abituate a confrontare la copertura di una varietà di media per capire dov’è la verità. Perfino i tassisti, ad esempio, dicono di leggere il giornale di Stato Al Ahram per avere il punto di vista ufficiale, Al Masry Al Yaum per la versione indipendente e di guardare al Jazeera per “la verità”.

Standard universali

Le regole costitutive del giornalismo stanno cambiando via via che la competizione con i media regionali e internazionali si intensifica e le attività di informazione come quelle dei blog sfidano le concezioni tradizionali del giornalismo. Sta cambiando il significato di “fare” giornalismo e di “essere” giornalista, mentre emergono nuovi forum di pubblicazione e la professionalizzazione e l’indipendenza dalla sfera politica aumentano. Sembra che con una gamma crescente di informazioni tra cui scegliere sulla base di una varietà di modelli sociopolitici, i giornalisti e il pubblico siano meno inclini a percepire come legittimo il giornalismo diretto dallo Stato. Anche le norme che regolano il giornalismo stanno subendo una trasformazione, mentre i giornalisti professionisti esprimono sdegno per il modo tradizionale di fare giornalismo nel mondo arabo e aspirano a quelle che ritengono essere norme professionali universali come accuratezza, equilibro, doppia fonte non anonima e utilizzo di una varietà di fonti. I giornalisti egiziani citano regolarmente rispetto, equilibrio, accuratezza e ricerca della “verità” come obiettivi primari di un buon giornalismo, a cui i giornalisti dovrebbero mirare (3).

Sebbene uno studio cross-nazionale del 1988 trovò disaccordo sulle norme e sugli standard del giornalismo e arriivò a concludere che non stavano emergendo standard universali, i giornalisti egiziani contraddicono queste scoperte. Essi esprimono una convinzione nell’etica giornalistica universale che è particolare dell’Occidente, indicando che un mondo sempre più interconnesso di informazioni e tecnologia della comunicazione favorisce una convergenza di valori notizia attraverso le culture politiche e nazionali, ovvero, come ha detto un giornalista, “lo standard del Washington Post e del New York Times è lo stesso di qui, ma i target e i soggetti sono completamente differenti.” In effetti, uno studio più recente sui valori della comunicazione culturale ha trovato che il divario tra il giornalismo occidentale e quello islamico si sta chiudendo per via di un emergente consenso interculturale sull’etica giornalistica. I valori professati dai giornalisti egiziani oggi sembrano simili ai principi etici comuni emersi da questo studio – verità, rispetto per la dignità di un’altra persona e nessun danno per gli innocenti. Così le pratiche tradizionali del giornalismo – come essere pagati per la collocazione di una storia, ripetere i leader di governo e nascondere temi sensibili – sono sfavorite dal nuovo ambiente aperto dei media e da un’identità giornalistica basata sul professionalismo.

Ovviamente la pratica può restare indietro rispetto alle dichiarazioni. Gli standard giornalistici vengono attualmente invocati più a parole che nei fatti, ma il fatto che i giornalisti professino questi ideali e li individuino come legittimi indica che essi rappresentano cosa significa fare del buon giornalismo. Questo discorso regolativo controlla la pratica del giornalismo dall’interno del campo e limita il diritto di parlare con autorità giornalistica. C’è uno scivolamento minimo tra cosa si intende per equilibrio, accuratezza e ricerca delle fonti in Egitto se confrontanto con l’Occidente. Molti giornalisti hanno lavorato per organizzazioni occidentali e, quindi, utilizzano lo stesso vocabolario. I sillabo e i libri utilizzati nei corsi di giornalismo dell’Università Americana del Cairo, ad esempio, affrontano questi concetti in maniera paragonabile a quella di corsi analoghi in Occidente. La convergenza degli standard professionali – come accuratezza, equilibrio e criteri competitivi, format impegnati e copertura delle notizie dal vivo – mostrano norme costitutive e regolative del giornalismo che trascendono i confini nazionali e i sistemi politici. Man mano che l’informazione diventa più accessibile, più facile da reperire, meno impastoiata nella località e nella nazionalità e sempre più soggetta al feedback del pubblico, i produttori di informazioni competono tra loro in credibilità e legittimità per conquistare share a livello locale, nazionale e transnazionale.

La voce della gente comune

Una responsabilità primaria della stampa secondo il punto di vista dei giornalisti arabi che ho intervistato è portare le voci della gente comune nell’arena pubblica. Donne, membri dell’opposizione, islamisti, dissidenti, giovani e altre voci tradizionalmente assenti appaiono sempre di più nei media tradizionali ora che i programmi di informazione sono in competizione. Il contenuto delle notizie arabe è ben più rappresentativo adesso se confrontato a quando le cerimonie ufficiali e i resoconti della vita ufficiale ne occupavano la maggior parte.
Le emittenti satellitari cercano di differenziarsi per l’enfasi che pongono sulle “persone”, il che vuol dire che per definizione il buon giornalismo non può fare affidamento esclusivamente sul governo. La competizione è particolarmente feroce tra Al Jazeera e Al Arabiya, che rivendicano entrambe di essere le più attente alla gente comune. Il capo della redazione cairota di Al Arabiya ha affermato di credere che la maggiore enfasi che la sua emittente ripone nelle persone comuni la distingue dai propri competitor, ma Al Jazeera sostiene la stessa cosa. Questa attenzione a introdurre voci diverse nella sfera pubblica sta mettendo in questione le nozioni di pubblico e privato, globale e locale, dimostrando spesso che concetti di questo genere sono, in effetti, co-costitutivi e socialmente costruiti. Ora che il pubblico svolge un ruolo più attivo nel giornalismo – dalle richieste presentate alle fonti di informazione alla rappresentazione di visioni pubbliche, alla partecipazione alla produzione di notizie – si sta affermando una nuova regola: dare voce all’opinione pubblica. I motori di ricerca, i blog, i siti di informazione interattivi e altre caratteristiche della rete, associati a un’accresciuta competizione da parte dei media privati, statali e stranieri, stanno innalzando i criteri professionali del campo premiando allo stesso tempo la partecipazione del pubblico attraverso al rappresentazione nei media. Lo Stato non ha più il controllo sui contenuti dei media e sta perdendo il dominio su uno degli strumenti più importanti nella creazione dell’opinione pubblica e sull’elemento più dinamico della struttura ideologica dello Stato.

Conclusioni

Se siamo d’accordo con Saad Eddin Ibrahim, egiziano, sostenitore della democrazia, che “i satelliti arabi probabilmente hanno fatto di più per il mondo arabo di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi movimento critico organizzato, nell’aprire lo spazio pubblico, nel dare ai cittadini arabi una nuova opportunità per affermarsi”, allora si inizia a capirecome le falle nel controllo di Stato possano essere sfruttate e i cambiamenti distributivi capitalizzati. Queste aperture confermano l’importanza relativa del soft power nel creare sapere e verità, e il ruolo cruciale dei media nella produzione della realtà. Dato che lo stato egiziano non domina completamente il campo giornalistico, il potere di definire la rappresentazione della realtà sugli schermi di milioni di spettatori non è più un suo dominio, ma è sempre più dominio dei giornalisti. Così il nuovo giornalismo egiziano sfida, in sostanza, l’egemonia dello Stato e il suo potere di raffigurare se stesso. Dà anche potere al pubblico a spese dello Stato.

I media non trasmettono più semplicemente le informazioni dallo Stato alla gente, ma dalla gente allo Stato. Le persone comuni figurano di più nei notiziari rispetto a prima, con una corrispondente diminuzione delle notizie di protocollo e il pubblico gode di un maggiore potere di agenda-setting attraverso l’accesso all’etere. Allo stesso modo, l’importanza dell’audience, per via della competizione, dà al pubblico voce in capitolo su cosa sia informazione, “dà voce ai senza voce” come afferma lo slogan di Al Jazeera. Eppure nonostante la visibilità delle persone ordinarie, la maggior parte delle notizie si concentra sul Cairo e sulla politica nazionale o su quella estera. C’è poca copertura a livello lccale e pochi media di informazione si dedicano a comunità esterne alla capitale. Così mentre lo Stato deve adattarsi a una logica dei media a livello nazionale, c’è una minima accountability o visibilità a livello locale perché i giornalisti si concentrano sul vertice. La regionalizzazione dei pubblici può quindi essere un fattore negativo per la copertura domestica locale, dato che i media competono soprattuto a livello nazionale e regionale. Anche quando il professionalismo giornalistico e l’indipendenza continuano ad avanzare, non c’è alcuna garanzia. Mentre Al Jazeera ha svolto un ruolo tanto importante nell’esercitare pressione sugli ambienti dell’informazione egiziano e arabo affinché si aprissero, potrebbe essere in corso una deriva fastidiosa. Al Jazeera sembra avere moderato il proprio criticismo nei confronti dell’Egitto e dell’Arabia Saudita e ha spostato la propria enfasi sulla riforma politica per focalizzarsi di più su un’agenda islamista. Se Al Jazeera smettesse di essere il volano del cambiamento che è stata finora, la pressione competitiva che ha messo sugli altri mezzi di informazioni potrebbe diminuire.

Eppure, dopo più di un decennio di leadership, la particolare importanza di Al Jazeera è stata diluita dall’emergere di competitor di tutto rispetto come Al Arabiya e Abu Dhabi Tv, e dai suoi legami continuati con il governo del Qatar. I giornalisti egiziani e arabi hanno assaporato la libertà e il professionalismo e sembrano averli graditi. Hanno sviluppato un interesse per il nuovo giornalismo, e la natura stessa della loro identità è diventanta intricatamente connessa al loro ruolo di professionisti; tutto ciò rende improbabile una loro rinuncia a ciò che hanno conquistato, anche se significa scontrarsi con lo Stato.
Inoltre, anche mentre il giornalismo professionale si sta sviluppando in Egitto e nel mondo arabo, la natura del giornalismo stesso sta mutando con il proliferare di forum di citizen journalism che cambiano la costruzione del sapere sociale. Il giornalismo tradizionale deve competere sempre più con fonti di informazione e notizie alternative, proprio mentre queste fonti alternative hanno un riscontro nel contenuto dei media tradizionali. Ora le persone non sono solo parte dell’informazione nel mondo arabo, creano notizie e le diffondo attraverso internet e telefoni cellulari. La separazione tradizionale tra produttori di informazione e consumatori sta svanendo e le gerarchie dell’autorità si stanno rompendo mentre i giornalisti in tutto il mondo perdono il loro status privilegiato di fornitori di informazione. Così, proprio mentre i media professionali stanno trasformando il proprio ambiente e la natura del giornalismo nel mondo arabo, è in corso una rivoluzione nel ruolo stesso che l’informazione e le tecnologie della comunicazione svolgono nelle vite dei cittadini. Nondimeno i media tradizionali continuano a rivestire un ruolo cruciale nella vita quotidiana delle persone, con la televisione che resta la maggiore fonte di notizie in Egitto e che svolge un ruolo centrale nelle decisioni politiche. I progressi fatti dal giornalismo nel corso degli ultimi anni sono stati fondamentali per rendere lo Stato più visibile, più responsabile e meno egemonico mentre si adattava a una nuova logica dei media.

(3) L’idea di rispetto, comunque, è problematica poiché implica che un certo tipo di autorità superiore possa determinare se la copertura sia stata rispettosa e quali argomenti meritino rispetto.

Come Al Jazeera sfida e migliora il giornalismo egiziano: parte prima

Traduzione di Martina Toti

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