“Hezbollah? E’ come un Giano bifronte
21 May 2007

Lei dedica due capitoli agli aiuti che Hezbollah destina per la ricostruzione del sud del Libano. Quante sono le associazioni solidaristiche che operano sotto l’egida di Hezbollah?

Bisogna precisare che tutte le associazioni che ora lavorano in Libano sono nate circa 30 anni fa. Dunque si tratta di un fenomeno relativamente nuovo. In termini numerici, anche se è difficile dirlo con precisione, ci sono dalle 35 alle 40 differenti associazioni che sono legate a Hezbollah. Altri gruppi sono gestiti da Amal (il cosiddetto movimento dei diseredati, nato nel 1975) – e da fondazioni internazionali come la Bahamn Foundation che ha costruito uno dei maggiori ospedali nei sobborghi sud di Beirut.

L’ Iran risulta essere il più importante finanziatore di queste associazioni. E’ vero?

Sì. Una porzione significativa delle organizzazioni solidaristiche è finanziata dall’Iran. All’inizio degli anni ’90, le donazioni iraniane erano notevolmente minori. Ora direi che l’Iran dona circa il 40-50% della raccolta fondi detenuta da Hezbollah. L’altra metà dei finanziamenti proviene da privati. Ricordo che gli sciiti sono obbligati dalla propria religione a fare donazioni. Il Bahamn Foundation Hospital è un esempio di questo secondo tipo di finanziamento e nulla c’entra con gli iraniani.

Nel suo libro lei racconta come Hezbollah sia riuscito a trasformarsi da longa manus dell’Iran a imponente partito politico. Può spiegarcelo?

Se domandate ad un libanese che non sia uno sciita o che non ammiri l’operato di Hezbollah, vi dirà che l’unico vero partito politico in Libano è rappresentato proprio da Hezbolalh. La maggior parte dei movimenti che si autoproclamano partiti sono, in realtà, gruppi disarticolati che si identificano esclusivamente nel proprio leader e non in un’idea. Come si è arrivato a questo? All’iniziò Hezbollah fu sostenuta essenzialmente da emulatori della Rivoluzione iraniana. Alla fine degli anni’80 cominciò ad allargare la propria base politica per due motivi. Sia per combattere l’invasione israeliana del sud del libano sia perché delusi dall’operato di altri gruppi politici come quello di Amal, accusati perlopiù di corruzione. Fondamentalmente i consensi per Hezbollah crebbero a vista d’ occhio, non tanto per motivi ideologici quanto per la necessità di sentirsi rappresentati adeguatamente all’interno di un sistema politico.

Nell’estate 2006 Hezbollah è penetrato in territorio israeliano e rapito due soldati. Ritiene che azioni violente come i rapimenti si addicano ad un partito politico?

Prima di tutto, tengo a precisare che nei miei scritti ho più volte condannato il rapimento dei due soldati israeliani. Quello che Hezbollah ha tentato di fare con questa sciocca operazione ha due ragioni. Innanzitutto, quella di fare pressioni per ottenere il rilascio di un gruppo di prigionieri libanesi, compresi un paio di terroristi. In secondo luogo, secondo me, Hezbollah voleva condurre un’operazione choc per ridurre la pressione sul proprio disarmo. In ogni caso Israele ha risposto nel modo più terribile. Se gli israeliani e gli americani avessero messo un freno al conflitto dopo 4 o 5 giorni, Hezbollah si sarebbe trovato in grande difficoltà perché, se vi ricordate, la scorsa estate molti Stati arabi, come l’Arabia Saudita, la Giordania, l’Egitto, criticarono aspramente l’operato di Hezbollah. Sfortunatamente, la guerra durò per 33 o 34 giorni, e paradossalmente Hezbollah ne uscì più rafforzato di prima. Ad esempio, sono stato recentemente in Libano e sono rimasto colpito dal fatto che alcuni miei conoscenti, sempre poco interessanti alle vicende politiche, ora sostengano “il partito di Dio”.

Dopo il ritiro di Israele nel 2000 e la guerra della scorsa estate, ritiene che Hezbollah stia gradualmente diventando un modello vincente agli occhi degli altri Stati del Medio Oriente?

Sono d’accordo. Ero in Bahrein poco tempo fa, e ho notato quanto Hezbollah sia popolare: nella capitale, Manama, è possibile trovare ogni tipo di souvenir di Hezbollah, spille, cinte, foulard. L’idea è, appunto, che Hezbollah rappresenti un modello vincente avendo, diciamo così, sconfitto le potenti milizie israeliane per ben due volte.

Un po’ di tempo fa lei citò una dichiarazione secondo cui gli sforzi condotti da Hezbollah per la ricostruzione del dopoguerra furono molto più efficaci rispetto a quelli dell’Amministrazione Bush per il dopo Katrina. Sorprendentemente, colui che fece questa dichiarazione non era un giornalista di Al Jazeera, bensì un giornalista americano. Si ricorda?

No, francamente non lo ricordo, ma posso dirle che lo stesso commento fu fatto anche da un parlamentare americano durante un dibattito televisivo in onda sulla televisione pubblica.

Perché gli Stati occidentali si dimostrano, a volte, incapaci di aiutare popoli come quello iracheno o afgano nella ricostruzione dei rispettivi Paesi?

Sono due le motivazioni principali. Innanzitutto, c’è spesso un problema di poca comprensione delle società medio-orientali. Parlo in particolar modo degli Stati Uniti, in cui si tende ad avere una visione tranchant su questi popoli e sulla loro religione. L’altro aspetto riguarda le modalità attraverso le quali vogliamo aiutarli. Anche in questa fase ricorriamo a metodi esportati dall’Occidente, vale a dire le Ong e simili. Bisogna rendersi conto che queste organizzazioni nella maggior parte dei casi non hanno radici solide sul territorio. Occorre, invece, iniziare a prender come riferimento le associazioni locali stanziate da anni sul territorio e bisogna farlo anche nell’ipotesi che si tratti di gruppi religiosi. Dunque, c’è bisogno di mettere in discussione la nostra comprensione di queste società e devo ammettere che i primi ad essere obbligati a farlo dovrebbero essere il Presidente Bush e la sua amministrazione.

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