La fede alla prova della provocazione e del fanatismo
Nouzha Guessous* 6 November 2012

Mi è difficile rimanere silenziosa e mantenere il sangue freddo di fronte alla bufera di delirio e di violenze verbali e fisiche che ci invade. Centinaia di migliaia di manifestanti in tutti i continenti, decine e centinaia di morti, di feriti e di arresti, chiusura di scuole e di rappresentanze diplomatiche, dichiarazioni, scuse e spot rassicuranti dei dirigenti di Stati Uniti e Francia per calmare i musulmani, etc. E tutto questo perché? Per uno pseudo film «Innocenza dei musulmani» di cui avremmo potuto non sentire mai parlare e di cui nessuno rivendica la paternità, dato che non si conosce neppure il nome del regista! E, al colmo del delirio, il Ministro delle Ferrovie pachistano ha annunciato che avrebbe «donato 100.000 dollari a colui che avrebbe ucciso quel blasfemo che ha oltraggiato il santo profeta». La parola «deragliamento» in questo caso è davvero la più appropriata!

È stato detto e scritto tutto o quasi tutto in merito alle incomprensioni che questa tragicommedia di cattivo gusto rivela ancora una volta, e che nascono dalla tensione tra la libertà di espressione, che io non contesto in nessun modo, e la responsabilità derivante da una cattiva conoscenza o, peggio, da un disprezzo delle sensibilità altrui. Come diceva il celebre comico francese, Pierre Desproges, «si può ridere di tutto, ma non con chiunque». Aggiungerei «e non in qualsiasi momento».

In effetti, per tutti noi esistono argomenti sensibili, qualunque sia la nostra nazionalità, etnia, cultura o religione. Inoltre, sappiamo, ormai da molto tempo, che le religioni sono molto poco orientate ad accettare la critica e ancor meno la caricatura o la derisione. L’islam non solo non fa eccezione, ma in questi tempi di forte ripresa dell’elemento religioso sulla scena politica e culturale delle società musulmane, i musulmani sembrano essere ancora più allergici. Tutto può trasformarsi nella scintilla che dà fuoco alle polveri.

A torto o a ragione? Siamo di fronte a una provocazione voluta o a qualche promessa sottesa a motivazioni politiche nascoste? A mio parere questa non è la questione, e in ogni caso non lo sapremo mai. Credo tuttavia che sia legittimo porsi alcune domande. Perché giocare in questo modo con il fuoco? Perché picchiare dove si è sicuri che «scorrerà sangue»? Non si può ragionevolmente essere sorpresi: toccare la fede della gente suscita aggressività e violenza e scatena il ciclo infernale della stupidità, della paura e poi dell’odio. In fondo, la follia umana è onnipresente, dovunque e in ogni tempo, ed è proprio questo che ci rende così vicini, anche se ci allontana gli uni dagli altri.

Della libertà di espressione

Ecco quindi che risorge l’eterno dibattito sulla legittimità di porre dei limiti alla libertà di espressione, almeno per evitare di cadere nell’insulto o nell’incitamento all’odio.

Qualsiasi sia il nostro pensiero, non vi è dubbio che questo «candelotto di dinamite da bassifondi» sia stato percepito come provocatorio e anche blasfemo. E, come scriveva Bernard Pivot, «alla libertà di provocazione risponde la libertà di obiezione»; obiezione che si è rapidamente propagata a macchia d’olio e in proporzioni drammatiche tali che i primi a doversi porre delle domande sono proprio i musulmani.

Popolazioni rese fanatiche e manipolate da politici che strumentalizzano la religione sono scese nelle strade e hanno gridato la loro collera, la loro frustrazione quotidiana e la loro percezione di una situazione di ingiustizia, di stigmatizzazione e di esclusione da parte della sedicente comunità internazionale. In alcuni paesi, questi cittadini in collera erano tanto più facili da mobilitare in quanto non rischiavano di vedersi reprimere dalle loro autorità nazionali, dato che, ufficialmente, insorgevano contro l’attacco alla sacralità della religione.

E qui accuso gli opinion maker, e in particolare alcuni media. La consacrazione di questo «film» poi delle caricature di Charlie-Hebdo di essere «anti-islam» o di «insultare l’islam» e perfino di «aggredire l’islam» rappresenta un amalgama che contribuisce a incendiare il fanatismo dei musulmani.

Questi amalgami che uccidono…

Ogni persona sensata che abbia visto la clip che circola su internet ne dedurrebbe che se c’è insulto questo è nei confronti del cinema, dell’arte e degli artisti e, più in generale, dell’intelligenza dello spettatore. Ma quanti sono coloro che lo hanno visto? Un numero nano-infinitesimale! È ovvio che questo obbrobrio di video-film fabbricato da provocatori, oltretutto incapaci, non merita questa gloria improvvisa.

In secondo luogo, anche se alcuni si sentono investiti del ruolo di difensori dell’islam (cosa che personalmente non capisco, né sul piano teorico né su quello pratico) ci sono molte altre ragioni più nobili e soprattutto ben più gravi per insorgere. Ogni giorno ci porta la sua quota di ingiustizie, di repressioni, di gravi aggressioni alla dignità dei musulmani da parte dei loro altrettanto musulmani governanti di numerosi paesi. Si va dalle lapidazioni di donne, alle amputazioni di presunti ladri, facenti seguito a parodie di processi, alla condanna a morte di una bambina disabile accusata di avere offeso il libro del Corano; l’elenco delle miserie è purtroppo lungo e insopportabile. Eppure, secondo il wahabismo, il salafismo e altri arcaismi tutto ciò viene fatto e giustificato in nome dell’islam. Se ne deduce che se vi è necessità di lottare contro la cattiva immagine dell’islam, per dare visibilità ai valori di giustizia e di tolleranza che noi, musulmani, continuiamo ad affermare nei nostri discorsi quali fondamento della nostra religione, allora bisognerebbe farlo prima di tutto ribellandoci e mettendo fine a queste pratiche. E poi incoraggiando delle contro-produzioni letterarie e artistiche di qualità, che mettano in evidenza un islam illuminato e in armonia con i bisogni dei musulmani e con i valori universali dei diritti umani. E questo attiene certamente al dovere e alla responsabilità dei governanti, ma anche a quella delle università e dei centri di ricerca e, più in generale, delle élite culturali e artistiche dei paesi a maggioranza musulmana.

È tempo, un tempo ormai molto lungo, di ripensare i sistemi di educazione nei paesi musulmani. Charles Dantzig diceva che «la provocazione nasce dal risentimento ed è un infantilismo. Che necessità abbiamo di provocare coloro che disprezziamo? Significa forse che non li disprezziamo poi così tanto? In fondo, la provocazione è un’approvazione». Ecco quindi che per evitare le esaltazioni delle masse come quelle a cui stiamo assistendo nel corso degli ultimi anni è essenziale promuovere un’educazione dei cittadini alla tolleranza, certamente, ma anche e soprattutto alla libertà di pensiero, di coscienza e di espressione. Così cresceranno dei cittadini in pace con la loro fede, orgogliosi delle loro identità e che assumeranno le loro scelte con forte senso di responsabilità. Diventerà allora difficile provocarli… con qualsiasi cosa e in ogni circostanza.

Questioni di etica della critica

Certamente le libertà di opinione e di espressione sono alla base dei diritti umani riconosciuti da tutti. Se non fosse che l’adagio secondo cui «la libertà di ognuno si ferma laddove incomincia quella degli altri» non si applica alla libertà di opinione che include la libertà di criticare le altre opinioni. Riconosco e difendo il diritto e la libertà della critica, compresa quella alle religioni, ma allo stesso tempo rivendico l’etica della critica. Criticare non significa insultare o calunniare, e la libertà di criticare non esonera dal diritto al rispetto nel modo di interpellare o di rivolgersi all’altro. E in materia di fede e di credenze religiose, la sensibilità dei credenti può essere molto facilmente punta sul vivo e scatenare delle reazioni smisurate. Rendiamoci conto che l’illuminato Ministro delle ferrovie pachistano ha talmente deragliato nel mettere una taglia sulla testa del regista dell’ormai celebre pseudo-film, da aver persino chiamato «i talebani e i fratelli di Al-Qaeda a partecipare a questa nobile azione». E ha aggiunto che «se ne avesse l’occasione ucciderebbe con le proprie mani il regista di questo film prodotto negli Stati Uniti; poi potranno impiccarmi».Delirante certamente, ma è soprattutto molto grave, peggio ancora, è criminale!

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*Ricercatrice e consulente in bioetica e diritti umani, Nouzha Guessous è stata docente di biologia medica alla Facoltà di medicina di Casablanca. Ex presidente del Comitato internazionale di bioetica dell’Unesco, ha anche partecipato alla Commissione consultiva reale incaricata della riforma della Moudawana (il nuovo codice di famiglia del Marocco, ndt.)

Traduzione di Silvana Mazzoni

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Fonte web :  http://www.leconomiste.com/article/898913-la-foi-l-preuve-de-la-provocation-et-du-fanatismepar-le-pr-nouzha-guessous

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