Erevan, Ankara, Bruxelles: un dialogo necessario
Francesco Anghelone 21 February 2007

Il 24 settembre del 2005 presso l’Università Bilgi di Istanbul si è svolta, per la prima volta in Turchia, una conferenza sulla questione dei massacri della popolazione armena che, nel corso della prima guerra mondiale, risiedeva all’interno dell’Impero ottomano. L’incontro, inizialmente previsto per il maggio precedente e poi cancellato a seguito di una decisione di un tribunale amministrativo di Istanbul, ha rappresentato, nonostante il clima di altissima tensione in cui si è svolto, un momento di riflessione importante all’interno della società turca. Nonostante le forte critiche di cui sono stati oggetto, gli organizzatori hanno per la prima volta avuto il coraggio di portare al centro del dibattito pubblico del paese un tema che, dopo quasi un secolo, rappresenta ancora un vero e proprio tabù per la società turca e un freno nel processo di adesione di Ankara nell’Unione Europea. Ciò è apparso evidente allorché il Parlamento Europeo, a pochi giorni dall’apertura ufficiale dei negoziati per l’adesione della Turchia nell’UE, ha votato sì a favore dell’apertura dei negoziati con Ankara (con 365 voti favorevoli, 181 contrari e 125 astenuti), ma ha inserito, quale condizione necessaria, il riconoscimento del genocidio degli armeni.

Nonostante nell’ottobre del 2005 il Consiglio d’Europa abbia avviato i negoziati anche in assenza di un riconoscimento da parte turca del genocidio armeno, l’opposizione di principio presente in alcuni paesi europei all’ingresso di Ankara nell’UE non ha mancato di condizionare il processo negoziale. Particolarmente forte è stata la decisione dell’Assemblea nazionale francese di approvare, il 10 ottobre del 2006, grazie anche alla decisa azione della lobby armena presente nel paese, un progetto di legge che prevede la condanna per chiunque neghi il genocidio. Occorre dunque rilevare come, al di là del valore storico o morale che si vuole attribuire all’eventuale riconoscimento del fatto che i massacri degli armeni nel corso della prima guerra mondiale possano rientrare in una politica di genocidio, Ankara abbia la necessità e l’interesse politico ed economico a far sì che la questione sia, una volta per tutte, consegnata alla storia.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, infatti, la Turchia è tornata a svolgere un ruolo di grande rilievo nel Caucaso, regione che riveste un’importanza fondamentale per gli interessi turchi, soprattutto in termini economici – per il petrolio che giunge da queste zone e per le opportunità offerte dai nuovi mercati. A partire già dai primi anni Novanta la Turchia ha mantenuto stretti rapporti con la Repubblica dell’Azerbaigian e con la Georgia, a dimostrazione di come essa abbia compreso a fondo l’importanza dell’area per le nuove pipelines per il trasporto del petrolio e del gas. Al contrario, negli anni Novanta, Ankara non ha mantenuto relazioni diplomatiche con l’Armenia, sia per ragioni storiche, sia per il conflitto che ha visto contrapposta quest’ultima all’Azerbaigian per il controllo della regione del Nagorno-Karabach.

La necessità di normalizzare i rapporti con Erevan, per la Turchia, deriva anche dall’importanza che l’Europa assegna alla regione. Attraverso i cosiddetti Action Plans, ovvero documenti programmatici che stabiliscono gli obiettivi e le linee di cooperazione tra l’Ue e i paesi che rientrano nell’ambito della Politica di Vicinato, l’Unione intende rafforzare le relazioni con tre Repubbliche del Caucaso meridionale. Nel 2003 il Parlamento europeo ha nominato un proprio rappresentante speciale per il Caucaso meridionale con il compito di fornire assistenza ad Armenia, Azerbaigian e Georgia nel processo di attuazione delle riforme politiche ed economiche necessarie, e di operare al fine di ridurre i conflitti nell’area. L’obiettivo era quello di accrescere il ruolo dell’Unione nella regione e di dare visibilità all’azione che stava mettendo in atto.

Il 2003 è stato dunque un anno di svolta per la politica dell’Ue nel Caucaso meridionale. L’Unione Europea ha chiesto ai tre paesi della regione di impegnarsi nel miglioramento delle proprie strutture democratiche e nel rispetto dei diritti umani per potere godere pienamente dei piani di azione che essa aveva intenzione di mettere in atto. Si è deciso, dunque, di applicare il principio della condizionalità che di fatto lega la collaborazione ai meriti che ogni paese acquisisce nel processo di riforma in settori come il dialogo politico, lo sviluppo economico e sociale, la giustizia e il settore energetico. Nel 2004 è stato, inoltre, stabilito che i Paesi della regione potranno beneficiare anche di altri strumenti oltre agli Action Plans, ovvero procedure di finanziamento che rientrano all’interno dello Strumento europeo di prossimità che dal 2007 porterà a un notevole incremento degli attuali programmi Tacis e Meda.

Attraverso un’attenta attività di monitoraggio, esposta nei Country Reports annuali, l’Ue ha seguito e segue con grande attenzione l’evoluzione politica e istituzionale nell’area. Nel caso dell’Armenia la base per la cooperazione con l’Unione Europea e per il suo rafforzamento è rappresentata dall’EU-Armenia Partnership and Cooperation Agreement (Pca), firmato nel 1996 ed entrato in vigore nel corso del 1999. Il governo armeno ha approvato nell’aprile del 2004 un decreto che ha reso esecutivo l’accordo di cooperazione con l’Ue. Il Paese ha dunque dato prova di perseguire una politica di collaborazione con l’Unione e tuttavia non sono mancati problemi che hanno complicato il processo di partenariato. L’Armenia, infatti, è stata più volte richiamata per il mancato rispetto dei diritti umani e per il mancato sviluppo di un sistema autenticamente democratico sia dal Consiglio d’Europa che dall’Osce, istituzioni di cui peraltro è membro. In particolar modo è stato rilevato come siano state frequenti le irregolarità nel corso delle elezioni politiche e come la libertà di stampa sia ancora lontana dall’essere un elemento acquisito stabilmente per il Paese. Anche sul piano economico non sono mancate critiche, tanto che la corruzione resta un fattore di grande debolezza per l’economia del Paese e per la società nel suo complesso. Il problema principale che coinvolge l’Armenia sul piano internazionale è però il contenzioso per il Nagorno-Karabakh con l’Azerbaigian. Per l’Ue la soluzione di questo contrasto è un elemento essenziale per lo sviluppo del partenariato con l’Armenia e con l’Azerbaigian e tuttavia allo stato attuale una soluzione appare ancora lontana. Appare evidente che la Turchia, assieme all’Unione Europea, potrebbe svolgere un ruolo importante per giungere a una soluzione della crisi.

Tuttavia il Progress Report 2006 della Commissione Europea sulla Turchia ha rilevato come quest’ultima, nell’ambito della politica commerciale comunitaria, ancora escluda l’Armenia dal Sistema Generale di Preferenze. Allo stesso modo nel rapporto è stato sottolineato il fatto che Ankara ancora tenga chiuse le frontiere con Erevan, arrecando gravi danni economici all’Armenia. Anche sul piano interno il rapporto ha registrato forti battute di arresto nel processo di riforma, come dimostrato dalla condanna del giornalista armeno Hrant Dink a sei mesi di reclusione, poi sospesi, sulla base dell’articolo 301 del nuovo Codice penale, con l’accusa di aver insultato la nazione turca in una serie di articoli sull’identità armena. L’uccisione dello stesso giornalista all’inizio del 2007, ha di nuovo preoccupato la comunità internazionale sulla capacità della Turchia di completare il processo verso una piena e definitiva democratizzazione.

Sia la Turchia che l’Armenia hanno oggi la necessità di avviare un processo di ricomposizione di una frattura che, seppur profonda, merita oggi di essere consegnata definitivamente all’analisi degli storici. Senza una tale ricomposizione entrambi i paesi corrono il serio rischio di compromettere il proprio futuro sviluppo democratico, politico ed economico.

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