La rivoluzione egiziana e il nuovo femminismo
Margot Badran 9 March 2011

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da “The Immanent Frame”.

“Con questo video intendo lanciare un messaggio molto semplice. Il 25 gennaio vogliamo manifestare in piazza Tahrir. Se abbiamo ancora il senso dell’onore, e se vogliamo vivere in questa terra con dignità, il 25 gennaio dobbiamo scendere in piazza. Manifesteremo per rivendicare i nostri diritti fondamentali… La vostra presenza al nostro fianco può fare una grande differenza!”.

—Asma Mahfouz

“Nel mio video dico alla gente di non avere paura, chiedo per quanto tempo ancora dovremo vivere nel terrore e spiego che dobbiamo scendere in piazza, che in Egitto ci sono tanti uomini e che possiamo difenderci dai sicari di Mubarak. Ho ricevuto molte telefonate minatorie dagli uomini di Mubarak. Mi hanno ordinato di non uscire di casa, altrimenti uccideranno me e la mia famiglia”.

—Asma Mahfouz al canale in lingua araba dalla BBC

Una giovane donna egiziana ha messo a repentaglio la propria vita per lanciare attraverso Facebook questo fervido appello ai suoi connazionali. Il 25 gennaio scorso migliaia di egiziani sono scesi in piazza. Nei giorni successivi, i manifestanti sono aumentati fino a diventare milioni. La Rivoluzione del 2011 era cominciata. L’11 febbraio, il diciottesimo giorno della rivolta, il presidente Mubarak è stato deposto e ha avuto inizio la fase di costruzione del nuovo Egitto.

Guidata dai giovani e animata dalla rivendicazione di libertà e giustizia, la Rivoluzione del 2011 racchiude in sé un nuovo femminismo, con un lessico e una sintassi del tutto originali. Il nuovo femminismo – che non va sotto il nome di “femminismo”, ma ne riflette lo spirito – ridefinisce parole come libertà, liberazione, giustizia, dignità, democrazia, uguaglianza e diritti. Ha una sintassi tutta sua (sintassi che, per definizione, indica “le relazioni e i collegamenti tra le parole disposte in un determinato ordine”) e si manifesta nelle ragioni più profonde della Rivoluzione, che mira a ristabilire i princìpi e i diritti fondamentali dell’essere umano e dei cittadini, brutalmente calpestati dal regime di Mubarak. Il nuovo femminismo potrebbe essere definito semplicemente come “libertà, uguaglianza e giustizia per tutti”. Si afferma attraverso azioni concrete, schiette e coraggiose.

Nell’arco di diciotto giorni Midan Tahrir, o piazza della Liberazione, centro geografico del Cairo ed epicentro della Rivoluzione del 2011, è diventata un vorticoso caleidoscopio di immagini di libertà, uguaglianza, e giustizia in fieri, sotto i riflettori di tutto il mondo. Sabato 12 febbraio, il primo giorno in cui l’Egitto si è svegliato senza il suo brutale dittatore, per trent’anni al comando di un regime repressivo, ha segnato l’inizio di una nuova vita per questo antico paese. I giovani, uomini e donne, che erano scesi in piazza per spazzare via tirannie, disuguaglianze e ingiustizie si sono armati di scope per ripulire letteralmente le strade del Cairo. Spazzole e flaconi di detersivo alla mano, hanno rimesso a nuovo i muri intorno a piazza Tahrir e lavato persino i piedistalli delle statue di leoni sul ponte Qasr al-Nil, dove il primo venerdì della Rivoluzione era esplosa la “battaglia del ponte”, e dove la polizia ha lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti che si stavano incamminando pacificamente verso la piazza per esercitare la democrazia a modo loro, come semplici cittadini, quando tutte le altre strade erano bloccate.

Un femminismo intrinseco

I giovani della Rivoluzione egiziana sono stati affiancati da cittadini di tutte le età: operai, studenti, professionisti, donne e uomini, musulmani e cristiani. Il movimento democratico si è mobilitato nel cyberspazio e attraverso reti locali, entrando poi in azione sul territorio nazionale. Il nuovo femminismo è intrinseco alla rivoluzione. È così legato alla rivoluzione che usare il termine “femminismo” appare superfluo o ridondante, se non anacronistico, e – come abbiamo appena osservato – gli stessi protagonisti delle rivolte non vi fanno ricorso. Data la sua potenza concettuale ed esplicativa, tuttavia, lo useremo in senso analitico. Al cuore del femminismo c’è una rivendicazione del principio di uguaglianza e giustizia per le donne, che nel corso della storia hanno subìto come gruppo sistematiche ingiustizie e iniquità. In diverse parti del mondo, tra cui l’Egitto, le donne si sono più volte mobilitate per conquistare i diritti loro negati. Lo hanno fatto sia attraverso i movimenti femministi, sia all’interno di gruppi e strutture sociali e politici più ampi. All’inizio del secolo scorso, per esempio, alcune donne fondarono l’Unione femminista egiziana per rivendicare i propri diritti, partecipando al tempo stesso al movimento di liberazione nazionale. In tal modo, hanno creato un precedente di attivismo su più fronti. Le femministe egiziane hanno compreso fin dall’inizio che l’uguaglianza e la giustizia che chiedevano per le donne era inscindibile dall’uguaglianza e dalla giustizia per tutti.

Nel corso degli anni, gli attivisti egiziani impegnati sul fronte dei diritti umani, compresi i diritti delle donne e la giustizia sociale, si sono coraggiosamente battuti per le riforme. Hanno cercato di usare gli strumenti classici – voto elettorale, stampa, radio, televisione e manifestazioni pubbliche –, ma le elezioni sono state viziate da brogli, i mezzi d’informazione severamente controllati e le proteste bloccate con la violenza, che per le donne si è spesso tradotta in molestie sessuali, vessazioni e stupri. In genere, i movimenti riformatori promuovono campagne incentrate su cause particolari, come quella femminile. In Egitto, poiché i tentativi di riforma del sistema politico esistente sono stati ripetutamente ostacolati – o meglio, brutalmente repressi – dalle autorità, la rivoluzione è divenuta l’unica via possibile, e una rivoluzione presuppone una generale riorganizzazione dell’ordine politico e sociale, o addirittura la completa demolizione del vecchio sistema. Nel XXI secolo, gli strumenti della rivoluzione sono radicalmente cambiati, mentre i metodi della repressione autoritaria, come abbiamo visto di recente in Egitto, restano arcaici e rudimentali. I metodi autoritari sono frutto dell’arrogante convinzione che un regime autocratico, con i suoi ampi poteri e violenti strumenti di repressione, sia inattaccabile. I tiranni danno per scontato che la costituzione possa essere riscritta dall’alto a proprio piacimento per estendere i poteri dello Stato e imporre le loro leggi di successione, che da elezioni truccate possa nascere un parlamento compiacente, e che l’esercito, la polizia, i servizi segreti e gli apparati di sicurezza, in quanto depositari di un’autorità illimitata, possano imbavagliare i cittadini.

Sono stati i giovani egiziani a prendere in mano gli strumenti del XXI secolo – le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni – e a fare del cyberspazio, un “Paese” in cui si sentono liberi anche se in patria restano ammanettati, la loro casa. I giovani egiziani hanno fede negli ideali, lungimiranza e una sana impazienza. Navigando su Internet, e con un’accurata organizzazione sul campo, armati solo del loro coraggio, hanno lanciato un attacco contro il potere assoluto e opprimente della tirannia e della repressione che non aveva lasciato indenne alcun settore della società.

Piazza Tahrir è stata definita l’epicentro della Rivoluzione, la cui topografia si estende fino ad Alessandria, a Suez e a città e centri abitati sparsi in tutto in Paese, compresa l’oasi di Kharga, nel profondo deserto occidentale dell’Alto Egitto. La coreografia di giovani, uomini e donne, che urlavano, si sbracciavano e ballavano, accompagnati da egiziani di tutte le età, è stata seguita in diretta e trasmessa immediatamente in tutto il mondo. Giornalisti e manifestanti l’hanno immortalata in video e filmati e ripresa con cellulari e fotocamere digitali. Questo ricco album visivo e verbale mostra un paesaggio umano senza differenze di genere: gruppi di donne tra una marea di uomini, ragazzi e ragazze che sfilano fianco a fianco, gomito a gomito, e famiglie con bambini piccoli. I manifestanti e i loro sostenitori chiedevano la stessa cosa: la fine della tirannia del dittatore e del suo regime corrotto, e la nascita di una società libera con pari opportunità per tutti. Volevano dire basta alle disparità di genere, classe e status sociale su cui si reggeva la fitta e insidiosa rete della gerarchia patriarcale.

Il crollo dell’autoritarismo e la costruzione di un nuovo ordine egualitario e giusto

Con l’abbattimento della trentennale autocrazia di Mubarak – a sua volta una prosecuzione del precedente regime – e delle gerarchie che hanno alimentato la spirale delle ingiustizie negando i diritti fondamentali dell’uomo, il popolo egiziano, guidato dai giovani, ha colto l’opportunità di ricostruire il proprio paese. Gli artefici del nuovo Egitto non intendono rinunciare alla piena uguaglianza nel diritto e nella prassi, alla giustizia e alla dignità per tutti. Una commissione speciale sta preparando una nuova costituzione (che prenderà il posto della precedente, arbitrariamente modificata da Mubarak). Le leggi contrarie ai princìpi di uguaglianza, giustizia e dignità dei cittadini saranno abrogate o profondamente riviste. Il Codice dello statuto personale musulmano (noto anche come “diritto di famiglia”) configura un modello di famiglia basato su una lettura patriarcale della giurisprudenza islamica (fiqh). Riconoscendo ufficialmente il potere e l’autorità maschile, queste leggi sorreggono un sistema di disparità di genere. Al marito è assegnato il ruolo di capofamiglia, con i privilegi e le prerogative che ne derivano, oltre ai doveri di sostegno e protezione, mentre la moglie, relegata in una posizione subalterna, deve ricambiare il consorte servendolo con obbedienza, che lo voglia o no.

Le femministe, e con loro altri riformatori, hanno cercato di riformare il Codice dello statuto personale musulmano sin dall’inizio del secolo scorso. In tutti questi anni sono riuscite a ottenere solo qualche piccola modifica della legge, che non ha intaccato il modello di famiglia patriarcale. Una frequente giustificazione per la mancata riforma del Codice dello statuto personale è che, facendo parte della shar‘iah, queste leggi religiose sono sacre e immutabili. La confusione tra fiqh, o giurisprudenza islamica, la quale è stata elaborata dall’uomo, e shar‘iah, che rappresenta il cammino verso una vita virtuosa, avvalorata dal Corano, ha costituito un forte deterrente al cambiamento. Ciò non significa, tuttavia, che non sia possibile promulgare un codice di famiglia ugualitario basato sulla giurisprudenza islamica, come è avvenuto in Marocco nel 2004 con la riforma della Mudawwana (la legge marocchina sul diritto di famiglia, ndt), che ha ristabilito la parità tra marito e moglie come capifamiglia. È anche teoricamente possibile, ma politicamente difficile, istituire un modello di famiglia laico ed egualitario che rifletta lo spirito della religione e i suoi ideali di uguaglianza, giustizia e dignità. In Turchia gli ulema, i dotti religiosi musulmani, sostengono che il diritto di famiglia laico del loro Paese ne sia un esempio.

Con il crollo del regime autoritario egiziano e lo smantellamento dei baluardi del suo potere, e con le riforme già in corso grazie alla commissione incaricata della stesura della nuova costituzione, l’uguaglianza e la giustizia nel diritto e nella prassi hanno una nuova possibilità di affermarsi. Le gravi disparità imposte dall’autoritarismo erano sotto gli occhi di tutti, nella loro forma più dura ed estrema, frutto delle pratiche del regime che i giovani hanno poi deposto. Questi ultimi saranno ora disposti ad accettare l’autoritarismo patriarcale fondato sul vecchio diritto di famiglia, così poco in sintonia con le realtà sociali contemporanee, e con il loro stesso modo di essere? È molto arduo immaginare una motivazione logica che possa indurli a una scelta del genere. Libertà, uguaglianza e giustizia non possono essere un privilegio per pochi. Per i giovani, uomini e donne, che hanno promosso questa rivoluzione, la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sono sicuramente valori non negoziabili, e la dignità è una priorità assoluta. È questa l’essenza del nuovo femminismo, o comunque lo si voglia chiamare.

Traduzione di Enrico Del Sero

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