Il dialogo contro un mondo unipolare
Raffaele Marchetti 31 October 2006

La specificità di questo forum è nell’attenzione volta unicamente all’aspetto culturale e religioso dell’interazione umana. Mentre l’altro forum, quello economico mondiale (che dal 1987 si svolge a Davos) si concentra sugli aspetti economici della vita, e il World Social Forum (che si è tenuto a Porto Alegre e altrove a partire dal 2001) su quelli sociali, il WPF riconosce Inoltre, a differenza degli altri casi, i principali protagonisti qui non sono né i movimenti sociali né gli attori politici ma le élites. Studiosi, intellettuali, operatori dei media, figure religiose sono invitati come rappresentanti delle proprie culture e civiltà allo scopo di avere un impatto più forte sulla discussione pubblica sulla globalizzazione. In tal modo, il WPF mira a colmare un vuoto nel dibattito dell’opinione pubblica internazionale riguardo i nuovi ordini mondiali.

Tra le azioni perseguite dalla società civile transnazionale, la funzione del dialogo tra confini è fondamentale, come ha ripetutamente notato il filosofo Fred Dallmayr (che ha partecipato a numerosi di questi incontri). A livello internazionale, la mancanza di canali istituzionali in cui si possa ascoltare la voce dei meno potenti ha reso ancora più evidente la necessità di creare uno spazio dialogico di questo tipo. Dimenticare gli aspetti culturali degli affari globali ha portato a una situazione di tensione crescente in cui, facilmente, attraverso la distorsione (o semplicemente la non comprensione) delle altre culture, si genera odio. Riconoscendo questo rischio continuo, il WPF mira a favorire una comprensione reciproca migliore in modo da evitare la violenza a livello internazionale.

Il Forum respinge la tendenza omologante delle attuali trasformazioni globali e riafferma il rispetto per la diversità. Coloro che partecipano a questo Forum hanno in mente due nemici ideologici. Da un lato, la cosiddetta globalizzazione neo-liberale, con la sua tendenza uniformante che dimentica le differenze culturali. Dall’altro, la teoria dello scontro di civiltà, massimamente rappresentata da Samuel P. Huntington, che riconosce le differenze ma a un estremo tale da cadere nella tensione e nel comportamento aggressivo. Di conseguenza, contro la visione della “civiltà dei valori umani comuni”, che affonda le proprie radici nell’universalismo e nell’individualismo, il WPF sostiene che occorre garantire la piena dignità a tutte le differenti civiltà. Affermando ciò, la valorizzazione della diversità diviene più importante dell’individuazione delle similitudini poiché ogni civiltà reca una visione originale, speciale, del mondo in generale.

Dal punto di vista politico, ciò significa che a livello internazionale bisogna combattere tutti gli aspetti unipolari e che lo sforzo va compiuto in direzione di progetti multilaterali che abbiano l’obiettivo di sviluppare la cooperazione regionale all’interno e tra area culturali diverse. Sia contro l’approccio realista del conflitto e della competizione, che contro il progetto neutralizzante di un cosmopolitismo senza radici, il modello del dialogo di civiltà abbraccia il progetto della coesistenza e della cooperazione tra entità politiche radicalmente differenti. Restano irrisolte ancora alcune questioni critiche. Che cos’è esattamente una civiltà e quali sono i suoi confini? Chi ha il diritto di parlare a nome delle differenti civiltà? Quale quadro istituzionale è più adatto a dare voce politica alle civiltà? Quanto è sensibile e rispettoso il progetto culturale nei confronti delle sub-culture e delle minoranze? Si tratta di questioni stimolanti che restano aperte. Si spera che il dibattito all’interno del WPF e aldilà di questo, contribuisca ad affrontarle e ad arricchire la
discussione pubblica sul futuro degli affari internazionali.

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