Creatività e dialogo interculturale nell’era della conoscenza
Emanuela Scridel 9 February 2009

Se la cifra di questo inizio millennio è la velocità del cambiamento, il compito più arduo è probabilmente quello di fissare i termini dell’analisi, sia essa economica, politica, sociale o culturale. I riferimenti per comprendere ed agire sono infatti irrinunciabili, anche in tempi in cui la loro identificazione spesso coincide con il loro superamento. Ma alla velocità del cambiamento si è aggiunta una nuova sfida: la fine delle egemonie politiche ed economiche che hanno determinato la storia recente ha lasciato il campo a nuovi scenari macroregionali e all’apertura di fronti che impongono al mondo occidentale di misurarsi, non solo con "l’altro da sé", ma con una prospettiva – che in molti casi è già realtà – fatta di intrecci di civiltà, di convivenza di culture, di condivisione di problemi e soluzioni. In tale contesto, molti sono i segnali che impongono la necessità di ridefinire alcune categorie di lettura dei cambiamenti e dei soggetti che ne sono portatori, ma, soprattutto, di proporre soluzioni che riguardano "tout court" l’umanità e che si possono definire di "high governance". In sostanza è auspicata la capacità di governare le differenze e le istanze con pari diritto di cittadinanza, in tempi straordinariamente mutevoli.

E’ indubbio che il ventunesimo secolo sia stato caratterizzato da cambiamenti la cui portata è forse ancora difficile da valutare, cambiamenti che hanno interessato tanto il settore pubblico quanto il settore privato, così come la società nel suo insieme:
– l’introduzione di nuove tecnologie di informazione e comunicazione
– la globalizzazione.
La globalizzazione, in particolare, ha conferito alla “cultura”, intesa nel senso più ampio del termine, quella dimensione universale che le spetta. La "cultura" è recentemente divenuta un tema così rilevante che per la prima volta, nel 2007, la Commissione Europea, nella sua "Comunicazione", ha annunciato l’adozione di "un’agenda europea della cultura in un mondo in via di globalizzazione", in cui si afferma il ruolo fondamentale della cultura nel processo di integrazione europea e nello sviluppo e nell’intensificazione dei rapporti con i Paesi Terzi, nonché il ruolo diretto e significativo nei confronti della Strategia di Lisbona.

E non è un caso che il 2008 sia stato designato dalla Commissione Europea come l’“Anno Europeo del Dialogo Interculturale”. Ciò che fa riflettere è che, nato con l’obiettivo di far conoscere fra loro le diverse culture caratterizzanti ciascuno dei 27 Stati Membri, il progetto abbia ben presto dovuto essere parzialmente ripensato, in quanto ci si è trovati ad affrontare una realtà estremamente complessa: innanzitutto la difficoltà di individuare “culture” nazionali, ossia proprie della popolazione che insiste sul territorio dello Stato Membro, poiché di fatto tali culture risultano contaminate da tutte le altre, proprie di coloro che pur insistendo sullo stesso territorio e pur avendo cittadinanza europea, serbano in sé cultura e tradizioni del paese d’origine, mi riferisco naturalmente agli immigrati. In secondo luogo, la consapevolezza che soltanto attraverso la valorizzazione e la conoscenza di tali differenti identità culturali, era possibile pensare ad un dialogo interculturale: il dialogo interculturale è risultato così “innovazione culturale”, e la ricchezza delle diversità una fonte fondamentale di creatività.

E ancora una volta non è un caso che il 2009 sia stato indicato dall’Unione Europea come l’“Anno Europeo della Creatività e dell’Innovazione”. Il passaggio dal 2008 AEDI al 2009 AECI è estremamente interessante, poiché creatività e cultura costituiscono realmente un binomio indissolubile. La cultura è la storia di ognuno di noi, è il nostro tempo presente, il dono che lasciamo alle generazione future. La cultura è la nostra ricchezza inesauribile ed è un bene molto particolare, che più si consuma e più cresce e fa crescere colui che la consuma. Inoltre, cultura e creatività svolgono un ruolo centrale tanto per la promozione dell’identità e della cittadinanza europea, in quanto componenti essenziali di uno sviluppo economico sostenibile – promuovendo la coesione sociale – quanto contribuendo allo scambio economico, al trasferimento di competenze e conoscenze e sostenendo le differenti espressioni culturali.

Ma cos’è la creatività? Tengo a sottolineare che la creatività non dovrebbe essere un fine in sé, bensì uno strumento per produrre nuove idee: creatività e cultura costituiscono un pilastro della qualità sociale, che vorrei intendere come un contesto di comunità libero, giusto, economicamente sviluppato e culturalmente vivo. Se fosse un fine in sé, dovrebbe potersi accettare anche incorporata in attività che esprimono valori non socialmente condivisi (anche le attività criminose talvolta si esplicano in maniera creativa!). Se dunque non è un fine, ma uno strumento, tale strumento deve essere interpretato e filtrato dalla cultura della comunità di riferimento e la creatività dovrebbe essere un modo per perseguire obiettivi dotati di valore e socialmente condivisi. Il valore aggiunto sociale apportato dalla creatività deve perciò essere positivo.

Mi piace ricordare fra le numerose definizioni di creatività che si sono avute nel corso dei secoli, quella elaborata dal premio Nobel per l’economia Herbert Simon che fa riferimento ad un carattere specifico della relazione tra creatività e conoscenza (1986): “Le azioni sono considerate creative quando producono qualcosa che sia originale, interessante o abbia valore sociale. Un elemento originale che sia interessante e di valore sociale rappresenta il fondamento della creatività”. Le riflessioni condotte e i recenti cambiamenti degli approcci internazionali ai temi del dialogo interculturale e della creatività, richiedono un conseguente adeguamento delle politiche culturali a livello regionale e domestico: è necessario che le politiche culturali si intersechino con le politiche di sviluppo economico e che i processi di policy-making tengano conto delle priorità individuate dalla società civile. Nell’insieme si tratta dunque di rinnovare e sviluppare l’agenda politica in maniera da renderla più aderente al contesto attuale e in maniera tale da far convergere gli obiettivi economici con gli obiettivi sociali.

Emanuela Scridel: Economista – Esperto in strategie Internazionali e U.E.

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x