Ma il prezzo del pane conta piu’ delle riforme
Marco Hamam 24 April 2007

Con il referendum costituzionale è andato in scena il quarto e non ultimo atto della “commedia all’egiziana” dal titolo fikr gadid, “nuovo pensiero”. Secondo i dati ufficiali, il 75,9% degli elettori egiziani ha detto “sì” alla modifica di 34 articoli della Costituzione del 1971. Si è trattato della seconda riforma costituzionale in due anni. È questo il cuore del nuovo pensiero del regime: riformare l’Egitto a partire dalla riforma della costituzione. All’opposizione il piano di riforme stabilito dal nuovo pensiero del regime non piace. Prima del referendum, i partiti della “nuova sinistra”, il Wafd, il Ghad, hanno invitato gli egiziani a boicottare il voto. Al niet dell’opposizione partitica si è aggiunto quello degli 88 deputati dei Fratelli Musulmani e della galassia extra-parlamentare Kifaya ("Basta!"), il movimento per i diritti civili, nato nel 2004 e protagonista della stagione di proteste che ha preceduto la farsa delle presidenziali del 2005.

All’annuncio degli scontati risultati ufficiali, la stessa opposizione, compatta, insieme ai giudici, che da tempo hanno assunto il ruolo di oppositori, ha smascherato il nuovo pensiero, portando le prove di brogli elettorali in grande stile che si registravano anche ai tempi del vecchio pensiero, in una asfittica vita politica egiziana. La protesta dell’opposizione si concentra, in particolare, su tre articoli: l’articolo 5, che cerca di arginare i Fratelli, ribadendo il divieto della creazione di partiti su base religiosa; l’articolo 88, che esclude il controllo della magistratura sulle elezioni, fino ad ora l’unica garanzia di trasparenza; l’articolo 179, che offre ulteriori poteri ad un già plenipotenziario raìs.

Ad uno sguardo ravvicinato, questo quarto atto della commedia non sembra poi così originale. Gli atti precedenti si sono svolti con gli stessi attori e secondo i medesimi canovacci. Sfogliando la stampa egiziana delle ultime settimane, sembra di rileggere i titoli che hanno campeggiato sulle testate di opposizione prima di ognuno dei primi tre atti: la riforma dell’articolo 76 della Costituzione, le elezioni presidenziali e le elezioni parlamentari. L’aria di riformismo che spira sulla terra del Nilo è il prodotto del nuovo pensiero, la nuova filosofia che il Partito Nazionaldemocratico (PND), guidato dal Presidente della Repubblica Husni Mubarak, inaugurò nel 2002, due anni dopo i risultati di elezioni parlamentari nelle quali, per la prima volta in un clima di "democrazia pilotata", il PND perdeva la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. Questo mutamento interno (inaspettato?), coincise con il nuovo clima internazionale, tutt’altro che favorevole, post-11 settembre. Sotto la pressione variabile di Washington, che non ha raggiunto mai i toni anti-siriani e anti-sauditi, Mubarak decise, dopo un ventennio di stagnazione politica pressoché totale, che qualcosa doveva cambiare in Egitto. Percependo il sempre maggiore dissenso interno, Mubarak diede il placet ad una serie di riforme che vennero calate dall’alto da un regime che aveva deciso di doversi sottoporre ad una serie di operazioni chirurgiche per ringiovanirsi la pelle, soprattutto per far piacere agli alleati statunitensi, lanciati nella loro campagna militare planetaria. Dopo tutto, è fisiologico di ogni regime rinnovarsi periodicamente.

Eppure, il tempo ha dimostrato che queste riforme intendono investire l’aspetto più che la sostanza. La modifica dell’articolo 76 della Costituzione, virtualmente, ha aperto la candidatura a tutti i cittadini egiziani. In realtà, una serie di postille capestro rende persino la candidatura di un politico professionista pressoché impossibile. Tutti i limiti del nuovo pensiero si osservarono con le modalità secondo cui si svolse il passato referendum: il braccio militare del regime e i brogli ebbero la meglio sulle intenzioni dei pochi elettori. Nelle presidenziali del 2005 Mubarak superò, con una percentuale bulgara (l’89% dei voti), oppositori-fantasma. Solo Ayman Nur, il giovane oppositore che ora giace nelle patrie galere, racimolò un magro 8%. Ma è con le elezioni parlamentari, nelle quali i Fratelli Musulmani hanno dimostrato di essere, attualmente, l’unica reale alternativa politica, che il nuovo pensiero sembrò sempre più stantìo. Le elezioni registrarono ampie irregolarità, corruzione diffusa con il beneplacito dei militari, voti comprati e truccati, e anche scene di guerriglia quando, in alcuni villaggi, venne vietato alla gente di votare. Le agenzie di stampa immortalarono cittadini egiziani “modello” che, pur di votare, scala alla mano, si scaraventavano nei seggi dalle finestre.

In realtà, la “falla” fondamentale del nuovo pensiero è la mancata presa di coscienza del reale impellente problema che l’Egitto ha bisogno di risolvere subito, che non è l’aumento della pratica democratica. In un Paese in cui ogni 23 secondi nasce una nuova vita, in cui più della metà della popolazione sopravvive con meno di 40 euro al mese e in cui la moneta locale, la ghinea, negli ultimi anni si è deprezzata rispetto al dollaro di più della metà, l’andamento del costo del pane interessa molto di più delle riforme costituzionali o della stessa partecipazione alla politica. Mubarak ha ben presente il problema. Davanti alla proposta del Ministro delle Finanze, Yusef Botros Ghali, di aumentare il prezzo di pane e farina e di abolire la “tessera annonaria” (che permette, a cittadini a reddito basso, di ottenere gratuitamente i beni di prima necessità) per risollevare il debito pubblico, la risposta di Mubarak è stata perentoria: “Se aumentiamo il prezzo del pane, rischiamo la guerra civile”. Evidentemente, la memoria di Mubarak è tornata ai tragici eventi che investirono questo Paese nell’era Sadat. Nel 1977 l’aumento del prezzo del pane scatenò il caos. Fu proclamato il coprifuoco e l’esercito minacciò il golpe qualora il presidente non revocasse immediatamente gli aumenti, decisi per accontentare il Fondo Monetario Internazionale.

Come scrive Wahid Abdel Magid nel suo editoriale di qualche giorno fa sul quotidiano di opposizione “al-Misriyyun”, “la ‘nuova’ pratica del Pnd è tornata ad essere quella che era, anzi rassomiglia sempre più al fare di antiche pseudo-organizzazioni politiche egiziane come al-Ittihad al-Qawmi (L’unione panaraba) dei tempi di Nasser. La pratica politica degli ultimi anni ha spazzato via le tenue speranze di un reale cambiamento all’interno del Paese che risollevasse le sorti degli egiziani, soprattutto dei meno abbienti. Insomma, il nuovo pensiero è defunto, pace all’anima sua”.

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