Berlin, il liberalismo di fronte alla diversita’
George Crowder intervistato da Elisabetta Ambrosi 6 June 2007

Professor Crowder, nel suo libro sostiene molto bene che il pluralismo di Berlin si trova in tensione dialettica con il suo liberalismo. Può spiegarci come Berlin combinava l’etica liberale “forte” con le diversità? Come mettere insieme universalismo e localismo e difendere i diritti umani di tutti, rispettando allo stesso tempo le particolarità culturali?

Il liberalismo di Berlin sembra essere in tensione con il suo pluralismo perché mentre da un lato implica una classificazione generale di alcuni valori (libertà individuale, tolleranza, ecc.) superiore agli altri, il suo pluralismo sembra dirci che non può esserci una catalogazione di questo tipo. Se i valori sono plurali e incommensurabili, allora ognuno ha la propria forza unica e nessuno può essere tradotto nei termini di un altro o inserito in un ordine compiuto completo che sia valido in ogni caso. A mio parere, Berlin non ha mai risolto questa tensione e, in effetti, non ha mai ammesso realmente che essa fosse il problema che è in realtà. D’altro canto, ha dato alcuni suggerimenti su come la si può risolvere, o affrontare e noi, rispetto a lui, possiamo offrire un resoconto più preciso di come ciò possa essere possibile. Parte della risposta è l’idea di un processo decisionale contestuale (che spiegherò più avanti). Ma Berlin suggerisce anche una possibilità più radicale, che cerco di sviluppare più pienamente e sistematicamente nel mio stesso lavoro. Si tratta dell’idea secondo cui il concetto stesso di pluralismo comporta dei principi etici, i quali non corrispondono a una formula in grado di rispondere a tutte le domande, ma offrono una visione politica che inquadrerà i nostri giudizi contestuali e, per certi versi, persino li modellerà.

L’elemento fondamentale può essere definito “rispetto per la pluralità dei valori”. Se il pluralismo è vero, allora tutti i beni umani genuini sono valutabili allo stesso modo e, prima facie, ognuno ha pari diritto alla nostra attenzione e pari capacità di azione. Ovviamente, in casi particolari, non possiamo ricercare ogni bene allo stesso modo; dobbiamo compiere delle scelte. Queste ultime, comunque, dovrebbero rispettare l’intera gamma dei beni umani. I pluralisti non ignoreranno semplicemente un valore importante o decideranno contro di esso in maniera arbitraria. Il risultato pratico, sostengo, è che il rispetto per la pluralità dei valori chiama in discussione tre principi fondamentali: dovremmo promuovere una maggiore anziché minore diversità di beni all’interno di una singola società; dovremmo aspettarci e tenere conto di un ragionevole disaccordo sui motivi generali della vita (le culture e le religioni) e dovremmo favorire l’autonomia individuale, compresa una forte componente di riflessione critica, come capacità essenziale per compiere delle buone scelte quando valori incommensurabili entrano in conflitto.

Quali sono le implicazioni politiche di questa visione?

Sono di carattere ampiamente liberale. Più specificatamente, il pluralismo liberale sarà redistributivo, forse alla maniera di Rawls, o almeno nell’attenersi all’ampia prospettiva “liberal-egualitaria” di cui Rawls è uno dei maggiori rappresentanti. Nella politica culturale, il pluralismo liberale sarà multiculturalista, sebbene in maniera moderata, ovvero, accetterà un quadro liberal-democratico anziché considerare il liberalismo stesso come fosse semplicemente una forma culturale tra le altre.

Difende la posizione rawlsiana, cioè l’idea di una rigida distinzione tra il giusto e il bene, o preferisce l’idea di Sen di ricercare i valori liberali all’interno delle culture?

Accetto gran parte dell’impulso generalmente “conciliante” sotteso alla distinzione di Rawls tra il giusto e il bene, ma penso che il pluralismo liberale non dovrebbe fingere una completa neutralità tra concezioni del bene. Da un punto di vista pluralista, qualsiasi posizione politica comporta una certa classificazione dei valori preferiti rispetto ad altre alternative, perciò tutte le posizioni politiche propongono, in effetti, una certa considerazione generale del bene. Il meglio a cui possiamo aspirare è una visione politica basata su una classificazione che sia quanto accomodante possibile nei confronti dell’intera gamma dei valori umani e (in secondo luogo) dei modi di vita. Per questa ragione, se mi si offre di scegliere tra Rawls e Sen, sotto questo aspetto, penso di essere più incline verso Sen (e la sua ex collaboratrice Martha Nussbaum). Il suo approccio non rivendica di essere “neutrale”, ma è ancora umanista nell’ambizione di guardare oltre le identità e le prospettive che preoccupano così tanti pensatori contemporanei e di cercare i valori fondamentali che condividiamo come esseri umani. E’ in questo modo che possiamo arrivare a una base razionale per valutare e criticare le pratiche correnti. Credo che ciò voglia dire conservare lo spirito del pluralismo dei valori e che Berlin sarebbe stato d’accordo.

Libertà positiva e libertà negativa: due concetti che ancora oggi provocano discussioni e problemi. Una concezione liberale dello Stato deve essere associata solo al concetto negativo di libertà? Oppure ha bisogno anche di un certo grado di “positività”? Ma quanta “positività” è compatibile con uno stato non-etico e liberale?

Questo aspetto del pensiero di Berlin viene spesso frainteso. Berlin non ha affermato che il solo tipo di libertà coerente e di valore fosse “negativo” (cioè la non-interferenza); egli credeva che la libertà “positiva” (essere governati dalla propria parte “vera” o “autentica”) esprimesse anch’essa un aspetto prezioso e importante della libertà umana. Tuttavia, nel complesso, ammoniva a non attribuire troppo peso ai concetti positivi di libertà, specialmente nella sfera politica, dove riteneva che l’idea negativa fosse più sicura. Quello che lo preoccupava della libertà positiva era che, una volta definita la libertà non semplicemente come il permesso per le persone di fare ciò che vogliono ma piuttosto come la liberazione del “vero io”, c’era il pericolo che individui fanatici e senza scrupoli potessero identificare il “vero io” con il loro programma morale o religioso o politico preferito, imponendolo poi a tutti e chiamandolo “libertà”. Berlin vide un esempio di tutto ciò nel tipo di “libertà” offerta dal mondo comunista negli anni ’50, che condannò giustamente come un abuso grottesco del concetto. Nondimeno, si potrebbe sostenere che Berlin si spinse così avanti nel condannare la logica della libertà positiva e nell’insistere sulla libertà negativa per scopi politici. Lui stesso ammetteva che anche della libertà negativa si poteva abusare, come nelle forme di liberalismo basate su un forte laissez-faire che lasciavano al mercato qualunque cosa. D’altro canto (un argomento che Berlin non chiarisce molto), possono esserci forme di libertà positiva che non sono così vulnerabili al tipo di capovolgimento che Berlin temeva: in particolare, l’idea dell’“autonomia personale” che enfatizza la capacità delle persone di decidere da sole come vivere attraverso un processo di riflessione critica individuale. Questo tipo di libertà positiva ha un posto vitale in una società liberale e gode del sostegno di scrittori come Kant e John Stuart Mill.

Ma la preoccupazione di Berlin riguardo concetti più “densi” o più sostanziali dell’autenticità umana resta valida e significativa. Per questa ragione sarebbe impensierito dal fatto di permettere agli ideali religiosi di entrare in profondità nei principi e nelle istituzioni che governano lo stato. Il pluralismo morale implica che molti valori differenti, e configurazioni di valori, siano legittimi – non in assoluto tutte le configurazioni, perché esistono dei limiti, ma molte. Le persone possono essere ragionevolmente in disaccordo su queste cose. Si può intendere che credi religiosi particolari implichino particolari configurazioni di valori umani – per esempio, la maggior parte dei cristiani contemporanei è impegnata in un ideale di uguaglianza sessuale che sarebbe contestato da molti musulmani contemporanei. Di conseguenza, sarà inevitabile un disaccordo diffuso e ragionevole riguardo le pretese antagoniste di religioni diverse (e di diverse correnti all’interno delle religioni mondiali). Permettere allo stato di essere “catturato” da una qualsiasi di queste pretese significa alienare le altre.

Vuol dire che lo Stato moderno non ha bisogno di una qualche base etica condivisa che lo tenga unito?

No. Una delle caratteristiche del pensiero di Berlin è l’enfasi, insolita per i liberali del tempo, che attribuiva all’importanza, per il benessere umano, di un senso di appartenenza culturale e, in particolare, dell’appartenenza nazionale (in questo, le sue origini ebree sono rilevanti). Ma promuovere un’identità culturale o nazionale condivisa è una cosa, aspettarsi che tutti i cittadini accettino una particolare affinità religiosa, specialmente nelle moderne condizioni multiculturali, è piuttosto diverso.

Arriviamo al Romanticismo e all’Illuminismo: Berlin criticava entrambi, o, a essere precisi, la loro radicalizzazione che, a suo parere, avrebbe avuto conseguenze illiberali. Tuttavia, queste due diverse visioni del mondo sono ancora presenti, anche se in forme diverse (pensiamo, ad esempio, al movimento no-global come a una forma di romanticismo). Come possono le riflessioni e le intuizioni di Berlin aiutarci a individuare queste tendenze nel mondo contemporaneo?

Berlin ha tracciato un’ampia distinzione tra la tradizione dell’Illuminismo e quello che lui definiva “contro-illuminismo”, da cui emerse il movimento romantico. Egli riteneva sia l’illuminismo che il “contro-illuminismo” componenti importanti e preziosi della nostra eredità culturale, ma pensava che ciascuno contenesse elementi pericolosi e distruttivi qualora venisse spinto troppo oltre. E’ precisamente questo che ha portato ai totalitarismi del ventesimo secolo, sia di destra che di sinistra. L’Illuminismo propugna valori ampiamente liberali ma anche, secondo Berlin, la ricerca della verità attraverso il metodo scientifico moderno: osservazione empirica e calcolo matematico. Il contro-illuminismo è definito in parte da un impegno per valori più comunitari, ma anche da una negazione del fatto che il modello scientifico offra la solo strada per la verità. Quando si tratta di spiegare e guidare la condotta umana, le scienze naturali, con il loro approccio impersonale, quantitativo, esterno, offrono soltanto una guida limitata. In campi come la storia, l’etica e la politica, abbiamo bisogno di adottare una “visione interna” non scientifica, che implichi una comprensione empatica e l’interpretazione di prospettive culturali e storiche particolari. E’ solo in questo modo che possiamo apprezzare gli scopi che dirigono la condotta umana. E’ importante aggiungere, comunque, che questo tipo di comprensione è cross-culturale e umanista più che relativista. Berlin credeva che potevamo utilizzare la nostra immaginazione e attingere a un “orizzonte umano” comune di esperienza per capire culture e tempi diversi dai nostri.

Riteneva che entrambe le due tendenze intellettuali avessere un grande valore: dall’Illuminismo trasse i suoi stessi valori liberali e considerava alcuni dei pensatori del contro-illuminismo, in particolare Vico e Herder, come i primi esponenti del pluralismo dei valori. Ma credeva anche che un’enfasi esagerata sullo scientismo dell’illuminismo avesse portato all’utopismo scientifico che aveva favorito il marxismo e, di conseguenza, il comunismo sovietico, e che il particolarismo del contro-illuminismo fosse stato distorto dalla devozione romantica per la cultura, la nazione e lo stato che successivamente avevano dato vita al fascismo.

Queste categorie possono essere applicate al mondo contemporaneo?

Certamente. Direi che possiamo cogliere esempi degli eccessi dello scientismo illuminista in vari tentativi contemporanei di ridurre la comprensione umana a una questione di quantificazione. Un caso nella storia recente è stata la tendenza dei politici americani ,durante la guerra del Vietnam, a misurare il successo di quel conflitto nei termini di una “conta dei morti” – quando un tentativo più umanista di comprensione culturale e storica avrebbe potuto dare risultati migliori. Un altro esempio potrebbe essere la tendenza degli economisti di cercare di misurare il benessere umano in termini di prodotto interno lordo pro capite, quando si può dire che si tratta di una faccenda assai più complessa che implica la considerazione del grado in cui le persone non solo godono di e accedono al reddito, ma a molti beni distinti e incommensurabili. Dal lato del contro-illuminismo è ovvio che varie forme di fascismo e nazionalismo estremo sono ancora tra di noi. Più sottilmente c’è un’ossessione diffusa, specialmente nelle università contemporanee, per approcci eccessivamente particolaristici alla comprensione che a volte implicano esplicitamente il rifiuto del metodo scientifico nel suo insieme, anche nelle spiegazioni del mondo fisico (Berlin ha sempre dato alla scienza il dovuto riconoscimento in questo settore). Mi riferisco alle varie forme di relativismo e anti-umanismo – relativismo culturale, post-strutturalismo, postmodernismo, multiculturalismo estremo ed ecologia profonda, per esempio – che sono fiorite nel corso degli ultimi trent’anni.

Arriviamo al problema dell’incommensurabilità dei beni umani e al pluralismo. La visione di Berlin offre un’immagine tragica del mondo morale che nondimeno è stata acquisita dall’etica contemporanea. L’incompatibilità tra beni ugualmente amati può essere una fonte di profonda tristezza nell’esistenza individuale. Ma quali sono le conseguenze nella vita politica, dove è necessario trovare un accordo tra i valori?

La visione di Berlin, in effetti, è tragica, nel senso che spesso ci troviamo davanti a conflitti tra beni umani fondamentali che implicano perdite inevitabili. Tuttavia pensoche solo in parte è vero che questa visione sia stata accettata dall’etica contemporanea. Il pluralismo dei valori ha avuto la sua influenza per un certo verso, ma le teorie moniste – come l’utilitarismo e il kantismo – sono anch’esse ancora influenti. Inoltre, molto di ciò che viene presentato come “pluralismo” nell’etica contemporanea, anche quando si cita esplicitamente Berlin, non è vero pluralismo ma relativismo, che enfatizza una pluralità non di beni ma di culture e prospettive. Per quanto riguarda le conseguenze politiche del pluralismo, Berlin pensava che dovevamo aspettarci che valori umani fondamentali confliggessero sia nella vita privata che nella politica pubblica. Di fronte a tali conflitti, dobbiamo compiere scelte difficili, nel senso che esse implicano perdite inevitabili, e nel senso che non può esserci alcuna singola regola o principio di comodo che ci dica cosa e come scegliere.

Vuole dire che per Berlin non possiamo compiere alcuna scelta tra beni incommensurabili in conflitto?

Non direi. Affermare che tali conflitti sono tragici non significa dire che la ragione è sempre impotente dinnanzi a essi. Possibili risposte a situazioni tragiche includono sacrifici e compromessi, ma non ogni sacrificio o compromesso è buono esattamente quanto qualsiasi altro. Un’idea chiave a questo proposito è il contesto: per vedere qual è l’opzione migliore, dobbiamo considerare i dettagli della situazione in cui ci troviamo. Ad esempio, sebbene non possa esserci alcuna singola formula che sia valida in ogni caso per ordinare o negoziare la libertà con l’uguaglianza, un equilibrio particolare tra queste ultime può essere il migliore possibile nel contesto di una comunità politica che abbia una certa identità o tradizione e che abbia deciso a favore, diciamo, di un approccio ampiamente redistributivo alla giustizia economica.

Questo tipo di ragionamento pratico (che risale ad Aristotele) non è così chiaro e nitido come sarebbe, in principio, l’applicazione di qualche regola monista, come nel caso dell’utilitarismo. Ma i pluralisti sosterrebbero che non può esserci alcuna scorciatoia in queste materie, poiché le regole come quelle dell’utilitarismo si basano su graduatorie di valori che possono essere contestate. (Questo non significa che i pluralisti non possono utilizzare affatto delle regole; le regole possono ancora essere utili, fintanto che le consideriamo indicazioni provvisorie e perfettibili di best practice). D’altro canto, come ho detto prima, non si tratta di una posizione relativista. Ci sono dei limiti al tipo di compromesso che i pluralisti possono accettare. Berlin indicava due possibili limiti: innanzitutto, l’universalità di almeno alcuni valori umani, sebbene questo sia un limite molto debole, poiché i valori genuinamente universale devono essere assai generici; in secondo luogo, le tradizioni della nostra società.

Per concludere, nel panorama della filosofia politica contemporanea (‘900), quali sono stati il ruolo e l’importanza di Isaiah Berlin nello “sradicare” il pensiero ideologico? Quanto, in altre parole, la sua definizione e critica del monismo sono uno strumento prezioso oggi per smascherare tipologie molto differenti di pensiero ideologico – anche se siamo nell’era post-ideologica? Quali sono, secondo lei, i “monismi” moderni?

Il noto saggio di Berlin “Due concetti di libertà” (1958) presentava una vivace argomentazione a favore dei valori della democrazia liberale contro quelli dell’autoritarismo politico nel contesto della Guerra Fredda. Ma il saggio ha una rilevanza che continua e che va aldilà di quelle circostanze storiche a causa della sua analisi dell’idea di libertà e della sua difesa del “pluralismo” morale contro il “monismo”. Il pluralismo morale è l’idea che i valori umani sono in ultima analisi plurali e incommensurabili anziché, come nella visione monista, soggetti a una singola formula che risponde a tutte le domande etiche. Secondo Berlin, il monismo non solo è falso rispetto alla nostra comune esperienza del conflitto di valori, ma è anche un’idea pericolosa perché incoraggia le persone a credere che per tutti gli esseri umani c’è un solo modo giusto di vivere – un invito all’autoritarismo culturale e politico che può essere utilizzato, ad esempio, per indirizzarsi ai vari fondamentalismi religiosi che ci affliggono oggi. Ma ci sono anche forme meno drammatiche e forse più pervasive di monismo: per esempio, vari tipi di analisi economica e politica pubblica che riducono tutte le considerazioni normative al denominatore comune del costo-beneficio monetario o dell’utilità. Il pluralismo di Berlin ci mostra che anche questo tipo di pensiero riduttivo, che nega il valore distintivo e intrinseco dei diversi beni umani, dovrebbe essere messo in discussione.

Traduzione di Martina Toti

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