Un popolo affamato di democrazia
Ahmad Ejaz 22 January 2008

“E’ mancata con un gesto, che ha cambiato la stagione
una persona ha inaridito tutta la città…..”
Così scriveva il poeta. E mai versi sono stati più appropriati per descrivere l’ultimo fotogramma della superba vita di Benazir Bhutto. Una donna fiera che con la mano sposta il velo che le copre una parte del volto e con il mento alto guarda diritto d’innanzi a sé. Poi il boato. Il buio. La corsa in ospedale. La fine. La fine di un sogno. Un’immagine che è ormai un’icona. E rimarrà impressa per sempre negli occhi dei pachistani. Una donna. Uccisa come un uomo. La sua vittoria elettorale era ormai indiscussa. E il suo futuro potere faceva gia paura. Tanti i suoi nemici. Quindi il verdetto: eliminarla. Così, appena un’ora dopo l’assassinio, operai del Comune e polizia hanno lavato via tutte le tracce di sangue con gli idranti. Cancellando in un sol colpo prove e speranze.

Il presidente Musharraf, dopo tutte le sue trasformazioni con gli abiti civili è ora, ancora, meno credibile. Le elezioni dell’8 gennaio, prima confermate poi slittate al 18 febbraio e poi forse ancora spostate, non rassicurano nessuno. Non la comunità internazionale che nel tira e molla delle date interpreta l’incapacità e l’insicurezza di un governo che non sa quale sia la “do right thing”. Non i pachistani che paventano brogli. E ora nel caos più sanguinoso regna l’incertezza. Cosa ne sarà del Pakistan e del suo sogno di democrazia appena sfiorato? Del suo riscatto dopo decenni di colpi di Stato? Ma soprattutto cosa ne sarà del vuoto incolmabile che Benazir Bhutto, lascia con il suo assassinio? Da madre a martire ormai il passo è compiuto. Anche chi non credeva in lei la piange e la rimpiange. Nell’immaginario collettivo è gia la parte migliore del Pakistan. Sì. Perché questa volta il popolo ci credeva. Credeva nel possibile cambiamento. Invece è stato tradito. Tradito e sacrificato sul becero altare dei giochi di potere.

Nel suo precedente mandato, Musharraf aveva iniziato con buoni propositi. Come nel gioco del bastone e la carota aveva allentato le maglie della censura. I media avevano acquisito maggiore libertà. E così free press e circolazione dell’informazione avevano aiutato a rafforzare coscienza politica e giustizia sociale. Poi, prima un gruppo di avvocati ora un movimento nazionale di toghe si sono fatti interlocutori del governo. Reclamavano uno Stato di diritto, primo passo verso lo Stato democratico. Sono stati loro i primi a manifestare contro il licenziamento dei giudici della Corte Suprema e contro lo stato d’emergenza voluti dal Presidente. E sono diventati sostenitori accaniti della politica del PPP (Pakistan People Party), il partito di Benazir. Ora, Musharraf, vuole impedirgli di divenire soggetti politici. A una classe media che avanza, a una borghesia nuova di un paese diviso tra ricchi e poveri, dove adesso la farina è sparita dal mercato e il suo prezzo ha raggiunto il 400% in più alla borsa nera. Prove di rivoluzione. In un Pakistan annichilito da sempre dalla zavorra dei suoi politicanti. Lo Stato Maggiore sta a guardare, il nuovo Generale delle Forze armate, Ashfaq Parvez Kayani, filo-occidentale, non si schiera, evitando quella spaccatura gia esistente al suo interno. Anzi dichiarando l’esercito lontano dai politici. Banco di prova sarà per Kayani ricucire lo strappo con una parte dell’Isi, la famigerata intelligence militare, filo-Taliban. Sicuramente manovre che isolano Musharraf, guardato sempre più in cagnesco anche dal suo partito, la Lega Musulmana di Quaid-e-Azam.

La campagna elettorale va avanti. Il PPP e la Lega Musulmana di Nawaz Sherif, antichi nemici, avanzano ora con un programma unico contro il Presidente e i suoi alleati. Sicuri di vincere solo alla luce di elezioni trasparenti e monitorate dalla comunità internazionale. Il popolo pachistano è certo di brogli elettorali. Così come la maggior parte delle comunità pachistane all’estero. E’ anche per questo che partiti come Insaf di Imran Khan e Jamat Islami, wahabiti filo sauditi, non parteciperanno alle elezioni, boicottando questo governo e pretendendo nuove elezioni accompagnate da un governo provvisorio. Un governo formato dalla rappresentanza di tutti i partiti in Parlamento. A loro si sono uniti anche altri piccoli partiti che compatti chiedono le dimissioni di Musharraf. E la novità di queste elezioni più o meno legittime è l’assenza dei partiti religiosi. La Jmaia Ulmai Islam di Fazal-u- Rehman, filo-Taliban, la cui roccaforte è nel nord del Pakistan, è oramai spaccata al suo interno. E quello spazio verrà occupato ora dal PPP e dall’Awami National Party, nazionalista e vicino all’etnia pashtun.

Dall’Italia la comunità pachistana, preoccupata dal susseguirsi degli eventi, chiede la presenza di osservatori internazionali per scongiurare brogli sicuri. Da Vicenza, Saqib Nazir, Presidente della associazione Aman Society, è certo della illegittimità delle elezioni e ha paura della possibilità di disintegrazione del paese come avvenne nel 1971, con il paese spaccato in due e la successiva perdita dei territori del Pakistan dell’est, oggi Bangladesh. Shaukat Hussain, presidente del PPP in Italia, da Venezia, è convinto del trionfo del suo partito. Mentre da Brescia Basharat Jazbi, rappresentante della Lega Musulmana di Quaid-e-Azam, loda Musharraf e spera in una sua prossima continuità. Da Milano, invece, il giornalista in lingua urdu Yusaf Amin sostiene Nawaz Sherif, aggiungendo che il PPP perderà consensi in seguito alla nomina di Asif Zardari, marito di Benazir Bhutto e già coinvolto in scandali giudiziari, a copresidente del partito. Comunque non si sa come andranno le elezioni. Ma una cosa è certa. Il popolo pachistano è pronto e ha voglia di democrazia.

L’autore, Ahmad Ejaz, è membro della Consulta islamica e uno dei principali esponenti della comunità pachistana in Italia.

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