Tante emozioni, poca comprensione
Steven Livingston 21 July 2008

Questo testo è il discorso tenuto dall’autore alla Conferenza internazionale di Doha, organizzata in Qatar da Reset Dialogues on Civilizations il 26 febbraio 2008.

I media commerciali di informazione sono in crisi. Di recente, Sam Zell, il magnate immobiliarista di Chicago nonché nuovo proprietario del «Los Angeles Times» e del «Chicago Tribune», ha rilasciato questa dichiarazione desolata: «Il business dell’informazione è più che orribile. Se questo è il futuro, non ne abbiamo molto». Questa triste annotazione economica deriva, in larga misura, dal calo delle entrate di fronte alla dura competizione di una gamma vasta e sempre crescente di portali internet e siti web. Come ha notato nel 2005 un rapporto della Carnegie Corporation: «Attraverso i portali internet, i siti, i dispositivi portatili, i blog e la messaggeria istantanea, trattiamo e accediamo all’informazione in modi che sfidano la funzione storica del business delle notizie e sollevano questioni fondamentali sul futuro di questo settore». La nuova tecnologia sta facendo chiaramente breccia nel flusso delle entrate minacciando l’esistenza stessa dei media tradizionali. Nel frattempo, con la loro enfasi sul profitto a ogni costo, i media commerciali non aiutano.

Un sondaggio del 2004 condotto su giornalisti professionisti dal Pew Research Center trovava che quasi la metà dei giornalisti nei media nazionali statunitensi, e quasi altrettanti nei media locali, ritenevano che il giornalismo stesse andando nella direzione sbagliata. I giornalisti professionisti sono convinti che l’accresciuta pressione della bottom line stia «danneggiando seriamente» la qualità delle notizie. La concentrazione sul profitto porta a soddisfare i vizi e a una drammatica immersione nei contenuti più banali. Di conseguenza, i lettori spesso sanno troppo sulla vita personale di Jessica Simpson o sullo stato mentale di Britney Spears, e non abbastanza su Iraq, Kosovo, Afghanistan e altre importanti zone calde del mondo. Secondo un sondaggio recente, solo il 28% degli americani è in grado di individuare correttamente il numero dei caduti statunitensi nella guerra in Iraq (4000 a marzo). Lo stesso sondaggio ha scoperto che la copertura della guerra da parte dei media americani è fortemente diminuita nel 2008 passando dal 15% delle notizie dello scorso agosto, al solo 3% del febbraio di quest’anno.

I canali televisivi d’informazione via cavo (Fox e Msnbc), i siti web e i portali di informazione offrono flussi infiniti di tirate e sentenze di «esperti», ma poco dal punto di vista della raccolta delle notizie serie. Le quasi tre dozzine di uffici della Cnn sparsi nel mondo rappresentano l’eccezione. Riguardo ai portali d’informazione in rete, se si esclude il periodo di Kevin Sites corrispondente di guerra per Yahoo, c’è poca informazione seria al di fuori dei confini – che si vanno riducendo – degli organi tradizionali. Tutti questi elementi sono familiari persino a chi si trova a osservare occasionalmente l’ambiente contemporaneo dei media di informazione. Tuttavia, gli effetti della tecnologia sull’informazione sono più complessi di quanto si è detto finora. Per avere un quadro più completo del business contemporaneo dell’informazione dobbiamo scavare più a fondo nelle conseguenze che la tecnologia ha sulle scelte politiche. Quando lo facciamo, scopriamo un’accentuazione degli eventi drammatici ma disconnessi che accadono nel mondo e che vengono riferiti in un modo che lascia gli spettatori spaventati, confusi e pronti ad attaccare i «malvagi», molto di tutto questo è un fenomeno televisivo. Piuttosto che informati, gli spettatori sono spaventati e confusi. Cosa sta succedendo? Il rapporto della Carnegie Corporation che ho citato poneva l’attenzione sugli effetti della tecnologia sulle abitudini di consumo di notizie. I consumatori di notizie stanno lasciando da parte i giornali e accedono alle loro informazioni on line, o sui computer o su dispositivi portatili. Sebbene questo sia un argomento importante, quello che manca a quest’analisi è una valutazione di come la tecnologia influenzi la raccolta di un particolare tipo di notizia. La sorprendente proliferazione di dispositivi portatili, piccoli e multifunzionali, con varie capacità di raccogliere immagini, ha trasformato la definizione stessa di giornalismo. C’è stato un graduale spostamento delle notizie dall’attenzione sulle dichiarazioni e sulle agende di governo alla visuale drammatica che cattura una realtà immediata da qualche parte nel mondo.

Per la maggior parte degli ultimi cinquant’anni, in Occidente, le notizie hanno offerto descrizioni di azioni e parole ufficiali. Senza dubbio, questo è ancora vero: in sistemi mediatici chiusi, i media controllati dallo Stato e la censura garantiscono che sia così; in sistemi più democratici, la deferenza riservata alle autorità ufficiali lo incoraggia, anche se non lo garantisce. La maggior parte delle volte, le notizie riflettono le preferenze ufficiali negli argomenti e nei toni. Ma le prove che stanno emergendo suggeriscono che stia accadendo qualcosa di nuovo. Se ci soffermiamo a ripensare a una serie di eventi recenti, iniziamo a chiarire la questione. Quando ripensiamo alle immagini dell’attentato nella metropolitana di Londra del 7 luglio 2005, è probabile che ci ricordiamo figure sgranate di pendolari spaventati. Le fotografie erano state scattate, infatti, non da fotogiornalisti professionisti ma dai passeggeri presi nel corso degli eventi. Possiamo considerare altri esempi. Qualunque dignità si potesse rinvenire nell’affrettata impiccagione di Saddam Hussein, venne colta dalle immagini riprese dalle guardie e dai boia attraverso un telefono cellulare e pubblicate, in tutto il mondo, su un numero interminabile di siti web. Le guardie che sbeffeggiavano Saddam e, di contro, il suo atteggiamento sorprendentemente nobile erano stati ripresi dai telefoni cellulari e postati su internet affinché il mondo vedesse.

Il 26 dicembre del 2004, si verificò un imponente terremoto sotto l’Oceano Indiano appena poco lontano dalla costa indonesiana. Il terremoto di magnitudine 9.0 originò uno tsunami che produsse caos e morte in tutto il bacino dell’Oceano Indiano. Presto, i media di tutto il mondo mostravano una gran quantità di immagini drammatiche prese dai turisti, alcuni dei quali registravano le onde che si avvicinavano e che avrebbero tolto loro la vita nel giro di pochi momenti. All’inizio della guerra in Iraq, all’Amministrazione Bush venne data una sonora lezione sul potere della fotografia amatoriale, quando i soldati fotografarono i prigionieri iracheni di cui si abusava nella prigione di Abu Ghraib. Più che mai, l’informazione è diventata una rassegna di eventi catturati da una telecamera. Cosa c’è dietro questa tendenza e cosa significa per la governance democratica?

Soft news, l’informazione che emoziona ma non spiega

A livello locale negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, «il sangue in prima pagina» è diventato il motto della televisione almeno fin dagli anni Ottanta. Lo studioso di media dell’Università di Harvard, Thomas Patterson si riferisce a questo tipo di notizie con l’appellativo di soft news. Che cosa sono le sono le soft news? Per contrasto, le hard news riguardano l’informazione su «leader importanti, argomenti capitali o stravolgimenti significativi rispetto alla routine quotidiana». Le hard news aiutano i cittadini a capire il mondo che li circonda e contestualizzano gli eventi collocandoli all’interno di un racconto sull’economia, la storia e la cultura; esse offrono quadri storici, analisi, contesto e una conoscenza di base sia degli eventi che degli sviluppi. Le hard news si rivolgono al cervello e non alle emozioni, o almeno non alle sole emozioni. L’informazione che non è caratterizzata da questi tratti è, per definizione, soft news. È l’informazione che mette in evidenza vicende e sviluppi che hanno poco a che fare con gli affari pubblici e che sono «selezionati per la loro capacità di colpire o intrattenere», afferma Patterson. Le soft news «possono distorcere la percezione che le persone hanno della realtà». A livello locale, le soft news sono la copertura di un ennesimo omicidio casuale, di un incidente automobilistico che, per coincidenza, è capitato subito prima o durante un notiziario, o di ogni sorta di evento fortemente drammatico ma insignificante.

In un’analisi dettagliata dell’informazione statunitense a livello locale, Patterson ha scoperto che le soft news crescono di pari passo con l’aumento della pressione competitiva tra i vari organi d’informazione. Ciò è vero particolarmente dopo l’avvento delle reti d’informazione 24 ore su 24, come la Cnn. Il formato all-news-all-the-time richiede contenuti, ma non semplicemente ogni tipo di contenuto. I notiziari fissi – i programmi serali d’informazione con un orario regolare e prestabilito che hanno definito un’intera generazione d’informazione televisiva – non dipendono dal dramma come attrattiva per gli spettatori tanto quanto i media via cavo. I canali d’informazione via cavo registrano punte di spettatori durante eventi speciali come dibattiti presidenziali, crisi o vicende drammatiche. Negli Stati Uniti l’unica eccezione si può trovare in una manciata di programmi via cavo a orario fisso come il Larry King Live sulla Cnn o Hannity and Colmes su Fox. Per la maggior parte, le «buone notizie» per la televisione via cavo sono il disastro di qualcun altro. Mentre aumentava la richiesta di eventi drammatici per attrarre spettatori, così faceva anche la capacità delle tecnologie di comunicarli. Ciò è stato evidente per la prima volta, a livello locale, negli anni Ottanta. Ogni città americana dispone di due, tre o più emittenti televisive locali, in genere affiliate a uno dei network di informazione nazionali. Secondo Patterson, la porzione di notizie locali prive di una connessione sviluppata con temi politici è aumentata da meno del 35% nel 1980 a quasi il 50% nel 2000. Nello stesso periodo, le notizie sui crimini sono raddoppiate e le hard news sono diminuite proporzionalmente.

Il concetto d’informazione come rottura (breaking) in eventi drammatici fu possibile solo dopo l’adozione di veicoli di trasmissione remota a microonde (caratterizzati da un piccolo furgone con un lungo braccio sporgente dotato di una parabola alla sua estremità) e di altre tecnologie come elementi cruciali nella raccolta delle notizie. La tecnologia ha portato l’informazione al di fuori degli studi, sul campo, dove accadono gli eventi. Nel corso di questo processo, la definizione stessa di informazione è cambiata. Storicamente, l’informazione era costituita da una rassegna di dichiarazioni e azioni ufficiali. Ovviamente tutto questo aveva i suoi svantaggi: fare eccessivo affidamento alle fonti ufficiali lascia le emittenti vulnerabili di fronte alla manipolazione del governo. Ma quando fatta bene, l’informazione così definita era legata alla politica e, almeno a volte, a un dibattito aperto su di essa e sulle linee di condotta. Le soft-news, drammatiche e spinte dagli eventi, riguardano la vicenda in sé e nei suoi momenti peggiori, disconnessa da qualsiasi racconto di più ampio respiro. Si tratta di quelle che lo studioso di media americano W. Lance Bennett definisce «notizie frammentate». Queste ultime mancano del tessuto connettivo necessario a comunicare significati che vanno aldilà della semplice constatazione che nel mondo le cose brutte accadono in maniera inaspettata.

Fin dalla metà degli anni Novanta, i progressi tecnologici hanno preso i fenomeni locali e li hanno globalizzati. La raccolta delle notizie via satellite – espressione a volte utilizzata dai professionisti dell’informazione per indicare l’uso dei satelliti nel dare notizie dal vivo da luoghi remoti e distanti – è stata rivoluzionata dal passaggio alle tecnologie digitali. Forse la migliore illustrazione della mia tesi lo spazio e il costo di un sistema di home audio negli anni Novanta e paragonarlo alle dimensioni e alle possibilità offerte da molti popolari dispositivi audio di oggi. Quello che un tempo riempiva un’intera parete di una stanza oggi entra in una tasca. Allo stesso modo, le attrezzature che nell’era pre-digitale erano necessarie a trasmettere le informazioni televisive dal vivo da un luogo esterno agli studi, un tempo riempivano quasi due dozzine di valigie e il loro trasferimento da Londra, Roma, New York o Atlanta costava decine di migliaia di dollari. Il loro assemblaggio e il loro funzionamento richiedeva anche l’impiego di un gran numero di tecnici. Nel 2001, fa la sua prima apparizione quello che oggi è un elemento comune nei kit per la raccolta delle notizie: il videofonino. I videofonini sono l’unione tra i software di teleconferenza, le comunicazioni via satellite Inmarsat, e piccole videocamere digitali.

Se l’informazione è frammentata, aumenta la violenza

Le immagini in qualche modo sgranate ma dal vivo che vediamo nelle cronache da luoghi distanti, a copertura di battaglie, terremoti e altre calamità del genere, offrono esempi di videofonini all’opera. Il dato importante è che tutti gli strumenti necessari a trasmettere immagini drammatiche dal vivo sui cosiddetti breaking events che accadono nel mondo, si sono ridotti dalle tonnellate trasportate nei cargo a qualcosa che ha le dimensioni di un computer portatile da tenere con sé come bagaglio a mano. Inoltre, il costo stesso della strumentazione, e il suo uso, rappresentano solo una frazione dei costi imposti dagli strumenti di due decenni fa. Questa tendenza spinge le notizie sul campo e verso una nuova definizione incline a enfatizzare gli eventi immediati, uno dopo l’altro in un flusso infinito di crisi. Tuttavia, le tecnologie utilizzate dagli organi d’informazione costituiscono solo una piccola parte della più ampia gamma di dispositivi che nutrono il flusso di notizie sugli eventi. Se i giornalisti professionisti non sono presenti per catturare un evento, ci sarà qualcuno con una videocamera, un telefono cellulare o una fotocamera digitale. Dispositivi di un tipo o di un altro creano un ambiente ricco di quelli che potremmo definire sensori. Tra il 2005 e le proiezioni del 2010, ci si aspetta che le vendite di telefoni cellulari in Africa aumentino del 29,6% fino ad arrivare a 45.061,2 (per mille unità). Nello stesso periodo, ci si aspetta che le vendite in America Latina salgano del 36,6%. Nel complesso, nel 2009 le vendite annuali globali di cellulari multifunzionali dovrebbero superare il miliardo. Gli analisti dell’industria stimano che per la fine dell’anno 2,6 miliardi di cellulari, quasi tutti in grado di registrare eventi con camere di vario tipo, verranno utilizzati in tutto il mondo. Se accade qualcosa da qualche parte del mondo, ci sono buone possibilità che nei paraggi ci sia qualcuno che lo registri e pubblichi le immagini su una serie di siti web o attraverso gli organi di informazione regionali.

Quali sono gli effetti politici di questa dieta a base di crisi? Lo studioso dei media dell’Università di Stanford, Shanto Iyengar ha studiato gli effetti di quelle che lui definisce notizie episodiche. L’informazione episodica ha le stesse caratteristiche di quelle che Patterson chiama soft news e Bennett notizie frammentate: eventi drammatici, disconnessi, che fluiscono attraverso gli schermi televisivi con poche o nessuna indicazione di contesto o significato e spiegazione più profondi. Attraverso una serie di esperimenti di laboratorio attentamente costruiti, Iyengar ha scoperto che le persone esposte a questo tipo di notizie mostrano una maggiore inclinazione a sostenere reazioni semplici o ingenue agli eventi. In politica estera, le persone esposte a notizie episodiche tendono a sostenere reazioni bellicose a eventi distanti. Uccidere «chi fa del male» diventa la soluzione preferita dal punto di vista di persone a cui mancano nozioni storiche o di contesto – esattamente ciò che le soft news, le notizie frammentate, episodiche, spinte dagli eventi non hanno.

La tendenza a sostenere risposte politiche violente può essere una conseguenza di notizie apprese come l’ultimo breaking event. Ovviamente non c’è bisogno di dire – ma andrebbe detto comunque – che questa è soltanto una parte della storia. Pochi al di fuori dell’Amministrazione Bush non avrebbero voluto che si scattassero le fotografie degli abusi di Abu Ghraib. Allo stesso modo, è stato solo perché i passeggeri della metropolitana di Londra, quella mattina del luglio 2005, scattarono le fotografie che il mondo esterno ebbe un’idea dell’orrore che provarono. Nei loro momenti migliori, le fotografie scattate da miliardi di dispositivi diffusi nel mondo creano un nuovo livello di trasparenza negli affari globali. Vengono rivelati gli abusi di diritti umani, vengono colti l’agonia della guerra, il dramma dei colpi di Stato, dei terremoti e di altre crisi. Contemporaneamente, però, non dovremmo perdere di vista il deterioramento del discorso pubblico sulla politica moderna. Un flusso di eventi disconnessi non è informazione: è rumore.

Steven Livingston è docente di Media, Public Affairs and International Affairs presso la George Washington University, Washington D.C.

Traduzione di Martina Toti

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