“100% armeno, 100% francese”
Il presidente del Cdca francese Harout Mardirossian con Luca Sebastiani 21 February 2007

Il legame tra i due paesi è talmente profondo che la Francia è stata tra i primi a riconoscere il genocidio del popolo armeno per mano dei turchi, e l’Assemblea nazionale ha appena votato un testo di legge che trasforma in reato la negazione di quello sterminio. Cosa vuol dire, oggi, essere armeno in Francia?

Vuol dire sentire d’appartenere ad un popolo millenario con una cultura e una storia ricchissime, ma vuol dire anche sentirsi profondamente ancorati ai paesi della diaspora, là dove cioè gli armeni hanno trovato rifugio dopo il genocidio del 1915. Noi diciamo spesso di essere al cento per cento armeni e al cento per cento francesi.

Quanto è numerosa la vostra diaspora?

Conta oggi più di tre milioni di armeni sparsi per il mondo, lo stesso numero di persone che vivono nella Repubblica d’Armenia. Questa dispersione s’è prodotta in più fasi, ma sostanzialmente è composta dai sopravvissuti del genocidio che hanno trovato rifugio in Europa, in America Latina, in America del Nord e nel Medio Oriente. Nel corso dell’ultimo decennio, dopo la caduta del muro di Berlino e l’indipendenza dell’Armenia ex-sovietica, è cominciato un importante flusso di migrazione economica con destinazione, soprattutto, la Russia. La diaspora armena è anche, però, un insieme di valori, una lingua e un passato comune oltre che delle rivendicazioni identitarie e nazionali comuni: il riconoscimento da parte della Turchia del genocidio armeno e l’indipendenza dei territori dati da Stalin all’Azerbaigian (soprattutto il Karabakh).

Quale causa difende la vostra organizzazione?

La causa armena è un insieme di rivendicazioni che risalgono al diciannovesimo secolo e puntano ad assicurare la sicurezza delle popolazioni armene e la loro aspirazione a gestire il proprio destino. Su questa base si sono innestate le questioni di giustizia legate al non riconoscimento da parte della Turchia del genocidio perpetrato tra il 1915 e 1923 dalle autorità turche e all’attuale politica negazionista di Stato. Lottare per la causa armena vuol dire anche difendere l’indipendenza dell’Armenia di fronte alle aggressioni dei vicini: blocco della Turchia e dell’Azerbaigian, minacce alle minoranze armene in Georgia, regolamento del conflitto dell’Alto Karabakh, distruzione del patrimonio culturale armeno del Nikhitchevan, etc…Infine, direi che la causa armena è anche una comunità di destino che riunisce ovunque nel mondo gli armenofili e i difensori dei diritti dell’uomo perché giustizia sia resa a questo popolo martire. Penso ad esempio, per restare alla Francia dell’inizio del secolo scorso, all’associazione ProArmenia di cui erano membri tra gli altri Jean Jaures, Anatole France e Georges Clemenceau.

L’Assemblea Nazionale francese ha da poco approvato una legge contro il negazionismo del genocidio armeno, che ha fatto molto discutere soprattutto quelli che vi hanno visto un limite alla libertà d’espressione. Che ne pensa?

Si tratta di una legge di pace civile. La legislazione protegge già i cittadini contro la diffamazione, il razzismo, la xenofobia ed è ugualmente logico che protegga contro la peggiore abiezione che possa essere fatta a un popolo, cioè la negazione della sua memoria e del suo passato. Non è una legge che mette in discussione la libertà d’espressione. Al contrario protegge gli storici e i ricercatori contro gli attacchi dei gruppuscoli negazionisti. Inoltre con credo si possa dire che sia una legge che fa la storia, perché la storia del genocidio armeno è già stata scritta dagli storici e i diplomatici sin dal 1915. Non è neanche una legge contro il popolo turco, ma, direi piuttosto, contro il negazionismo dello Stato turco che finanzia e pilota centri di disinformazione in tutto il mondo.

Il presidente della Repubblica Jacques Chirac era piuttosto contrario alla legge per una questione d’opportunità verso la Turchia. Non crede che questa legge possa radicalizzare la posizione turca sul genocidio?

La Turchia deve comprendere che il movimento verso il riconoscimento del genocidio armeno è irremovibile perché risponde prima di tutto alla giustizia e ad una verità storica riconosciuta da tutti. Nella Turchia stessa c’è un movimento di intellettuali che milita perché luce sia fatta su questa dolorosa pagina della storia. Lo Stato turco può continuare a ricattare politicamente, diplomaticamente o economicamente, ma non può fermare il cammino della verità. Il nostro solo timore concerne i rischi che corrono gli intellettuali, come ha mostrato l’assassinio de Hrant Dink. Qui, ancora, è la Turchia che regola il dibattito attraverso l’omicidio e la stigmatizzazione degli intellettuali e dei cittadini d’origine armena.

Come armeno francese, che pensa dell’adesione della Turchia all’Unione europea?

Forse la stupirò, ma io sono favorevole alla candidatura della Turchia all’Unione europea. Né le questioni geografiche, né le questioni culturali o religiose sono dei buoni argomenti per rigettare l’adesione. Questo però non vuol certo dire che l’Europa deve rinnegare i propri valori ed accettare un’adesione senza condizioni. Ci sono tre criteri che permetteranno ai turchi di dimostrare all’Europa che sono capaci di far parte del consesso europeo: il riconoscimento del genocidio armeno, il regolamento della questione di Cipro e la protezione delle minoranze in Turchia, in particolar modo curdi e armeni. Credo inoltre che la chiave di volta per i turchi sia il genocidio armeno: se lo riconoscessero potrebbero entrare nell’Ue nel giro di tre anni.

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