«Sì, El Baradei può fare la differenza»
Paola Caridi intervistata da Elisa Pierandrei 16 June 2010

Il voto del primo giugno per il rinnovo parziale dei membri del Consiglio della Shoura è stato segnato da violenze e accuse di brogli elettorali.

Questo voto è l’occasione per metter gli occhi sull’Egitto, anche se il Consiglio della Shoura non ha i poteri dell’assemblea del popolo [la camera bassa] e il suo rinnovo suscita poco interesse fra gli analisti e la popolazione. L’affluenza alle urne è stata del 30 %. Nei risultati si registra ciò che ci si aspettava e cioè la vittoria del partito dei Mubarak, il Partito Nazional-Democratico. E’ invece interessante notare che dei 15 candidati dei Fratelli Musulmani nessuno è stato eletto. E così il movimento islamico ha sottolineato l’urgenza di accelerare una riforma politica, annunciando subito dopo il suo appoggio al movimento di El Baradei (il Fronte Nazionale per il Cambiamento da lui fondato nel febbraio 2010, ndr).

La vera differenza fra la fase di voto del 2005 e quella in corso è la presenza in Egitto di Mohamed El Baradei. L’ex segretario dell’Aiea potrà fare la differenza?

Prima deve superare una fase di dissenso dentro il cartello che lo sostiene, soprattutto da parte del suo portavoce Hassan Nafaa che lo ha criticato per essere stato settimane fuori dal Paese. Sembra che El Baradei voglia essere sicuro di avere un appoggio esterno, prima di decidere se candidarsi. Se sarà protetto dalla comunità internazionale, che decide che questa transizione eterna alla democrazia egiziana ha bisogno di un candidato diverso dai Mubarak, allora potrebbe condurre il paese al cambiamento. L’opposizione interna egiziana dei Fratelli Musulmani, o quella liberal del cartello di Kifaya, è stata troppo indebolita per fare la differenza. Diciamo che El Baradei è stato un fulmine a ciel sereno che potrebbe indicare una via percorribile.

Guardiamo ai Fratelli Musulmani. Fino a poco tempo fa si presentavano come l’unica alternativa al Partito Nazional-Democratico. Erano sostenuti dagli strati più poveri della popolazione, ma poco gradita agli Stati Uniti, principale “sponsor” del regime egiziano. Oggi sono travolti dalle lotte intestine, con un Consiglio Direttivo che passa dalle mani della corrente più riformista a quella più radicale, isolazionista e conservatrice.

I Fratelli Musulmani non hanno ottenuto spazio per la rappresentatività e hanno subito invece una azione continua di repressione poliziesca. Nei prossimi anni continuerà sì ad essere il movimento di maggioranza nella rappresentanza dell’Islam politico egiziano, ma alla sua destra ci sono e ci saranno forti spinte, se non jihadiste, per lo meno salafite. Rimpiangeremo la mancata decisione nel 2005 (quando vinsero come indipendenti circa 1/5 dei seggi alla Camera Bassa del parlamento, ndr) di portare il movimento ufficialmente dentro la cornice istituzionale del Parlamento egiziano, staccando l’ala politica e trasformandola in un partito come è successo in Giordania. Invece le autorità del Cairo hanno preferito incarcerare anche i rappresentanti dell’area pragmatica come Essam El Aryan e Abdel Munim Abu Al Futuh.

Il tentativo della Freedom Flottilla di portare aiuti umanitari via mare alla popolazione di Gaza si è concluso con un bagno di sangue. L’esito di questa azione ha spinto l’Egitto a riaprire il valico di Rafah con la Striscia di Gaza.

La politica estera di Mubarak nei confronti di Israele è stata sempre quella di mostrarsi leale agli accordi di pace del 1979. Anche se senza entusiasmo. Ma all’Egitto manca una strategia nei confronti dei palestinesi, nonostante abbia assunto l’onere di mediare nei colloqui fra le fazioni, fermi peraltro ad una fase di stallo. Bisogna aggiungere che ciò influisce molto anche sulla posizione della comunità internazionale. Ma, tornando alla sua domanda, Gaza preoccupa Israele tanto quanto l’Egitto. Per motivi molto diversi tra loro, Egitto e Israele hanno un avversario in comune: Hamas. Non ci dimentichiamo che il movimento islamico dei Fratelli Musulmani egiziani è il gruppo dalla cui costola si è formato il movimento di resistenza islamico palestinese. Se il valico di Rafah resta chiuso è per arginare derive islamiste, ma anche perché il Cairo non vuole riprendersi la Striscia su cui ha avuto un protettorato dal 1948 al 1967. Forzando troppo la chiusura del valico teme però una rivolta, come quella del gennaio 2008.

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